Petrosino. Maltratta la convivente ed i figli sottoponendoli a continue vessazioni e ad un insostenibile e penoso regime di vita familiare.
Corte appello Palermo, sez. IV, 17/05/2016, (ud. 16/03/2016, dep.17/05/2016), n. 1385
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Palermo IV Sezione Penale
Composta dai Signori:
Presidente - Mario Fontana
Consigliere - Renato Zichittella
Consigliere - Michele Calvisi
Il 16/03/2016 con l'intervento del Pubblico Ministero rappresentato dal Sostituto
Procuratore Generale della Repubblica Dott.ssa Vi. Sa. e con l'assistenza
del Cancelliere Rosa Anna Sulli
Ha emesso e pubblicato la seguente:
SENTENZA
Nel procedimento penale contro:
(omissis...)
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza resa in data 1.2.2013, il Tribunale di Marsala in composizione monocratica ha condannato C.M. alla pena di mesi 10 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, ristoro del danno cagionato alla costituita parte civile, liquidato in complessivi € 10.000,00, oltre alla rifusione delle spese di relativa costituzione, liquidate in € 1.800, da pagare in favore dello Stato, in relazione al reato di cui all'art. 612-bis c.p. ascritto al capo a) della rubrica; del reato di lesioni aggravate di cui al capo b), così qualificata l'imputazione di cui agli artt. 582 e 583 c.p. e del reato di inosservanza degli obblighi di assistenza familiare contestato al capo e), però erroneamente indicato dal primo giudice come capo c) -, ritenuta la continuazione tra gli stessi.
L'imputato era stato tratto a giudizio in relazione ai seguenti reati:
a) artt. 81 co. 2,572 e 612-bis c.p. perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, maltrattava la convivente L.G. ed i figli C.G., A. e G., sottoponendoli a continue vessazioni e ad un insostenibile e penoso regime di vita familiare-In Petrosino almeno fino al mese di Febbraio 2010;
b) artt. 81 co. 2,61 n. 2,582,585,594 e 612 c.p. -In Petrosino in data 11.8.2009;
c) artt. 61 n. 2e612 c.p. -in Petrosino il 20.11.2009;
d) artt. 81 co. 2,61 n. 2,594 e 612 c.p. -in Petrosino il 1.2.2010
e) artt. 61 n. 2 e 570 c.p. per aver omesso di assolvere agli obblighi inerenti alla potestà genitoriale, rimanendo per la maggior parte fuori dalla casa familiare senza essere impegnato in attività lavorativa e facendo mancare ai predetti congiunti il mantenimento economico, dopo la cessazione della convivenza con la L.-In Petrosino almeno fino al mese di Febbraio 2010.
Mentre lo ha assolto dal reato di cui all'art. 572 c.p. contestato al capo a) della rubrica, perché il fatto non sussiste e lo ha prosciolto dai reati di ingiuria(capi b - d) e minaccia (capi b - c - d), perché estinti a seguito di rimessione della querela.
Hanno proposto rituale appello i difensori dell'imputato e della parte civile L.G..
La difesa dell'imputato ha lamentato che il primo giudice:
1) avrebbe dovuto assolvere l'imputato ex art. 530 cpv. c.p.p. dal reato ascritto al capo a) della rubrica, perché il fatto non sussiste o comunque non costituisce reato.
Come dichiarato dalla stessa p.c., all'udienza dell'11.11.2010, costei ha ripreso la convivenza con l'imputato.
Manca l'offensività del fatto, essendo emerso un quadro di disagio familiare, tuttavia insufficiente ad integrare gli estremi di un condotta vessatoria abituale;
2) avrebbe dovuto assolvere l'imputato dal reato di cui al capo b) ex art. 530 cpv. c.p.p.
Il primo giudice non ha verificato la credibilità della teste L. che, a dire della difesa, aveva presentato le denunce in un momento di disperazione ed esasperazione;
3) avrebbe dovuto assolvere dal reato di cui al capo e) perché il fatto non sussiste o comunque non costituisce reato, non essendo stato accertato, nel caso di specie, se fossero venuti a mancare i mezzi di sussistenza ed in considerazione del fatto che, risolta la convivenza, la L. non aveva fatto ricorso al competente giudice minorile per la determinazione degli obblighi economici;
4) mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, attesa la non grave entità dei fatti contestati all'appellante, ed avrebbe dovuto ritenere prevalenti o quanto meno equivalenti le circostanze attenuanti di cui all'art. 62 n. 6 c.p. e quelle generiche;
5) mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
Con sentenza resa in data 16.4.2014 la sezione III penale di questa Corte ha respinto l'appello e confermato l'impugnata sentenza.
Con ricorso per cassazione il difensore dell'imputato ha dedotto:
1)la nullità della sentenza per erronea applicazione ed interpretazione dell'art. 612-bis c.p
2) la nullità per erronea applicazione ed interpretazione degli artt. 56,582 e 585 c.p.;
3) la nullità della sentenza per mancanza della motivazione in relazione al punto III dell'atto di appello nonché per violazione ed erronea applicazione dell'art. 570 c.p.
Con sentenza n. 44360/15 resa in data 1.4.2015, la Sez. V pen. della S.C. ha accolto il solo terzo motivo di gravame.
La Corte di legittimità ha rilevato che correttamente il giudice di primo grado aveva rilevato che in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare la minore età dei figli, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza e che il reato sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l'altro genitore, ma il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di tale doglianza, implicando anche delle valutazioni di merito inibite al S.C. determina l'annullamento della sentenza di appello, anche se limitatamente al reato di cui al capo e) della rubrica.
Tanto premesso e nel solco del giudizio di rinvio demandato dalla Corte regolatrice, ritiene questa Corte territoriale infondato il terzo motivo di gravame, dedotto dalla difesa dell'imputato in seno all'atto di appello.
Con tale motivo di appello la difesa ha lamentato che il Tribunale avrebbe dovuto assolvere l'imputato dal reato di cui al capo e) perché il fatto non sussiste o comunque non costituisce reato, quantomeno ex art. 530 co. 2 c.p.p.
L'istruttoria dibattimentale, sostiene la difesa, non ha consentito di accertare che fossero venuti meno i mezzi di sussistenza ai figli minori, in considerazione del breve periodo di separazione dei conviventi e che nessuno di loro aveva fatto ricorso al giudice civile per la disciplina delle obbligazioni economiche nei confronti dei figli minori.
In relazione a tale fattispecie di reato, la Terza sezione penale di questa Corte ha ritenuto provata la penale responsabilità dell'odierno appellante, grazie alle dichiarazioni rese dalla madre della persona offesa, L.P., e, addirittura, dalla stessa sorella dell'imputato, C.A..
Tanto premesso, questa Corte rileva come la p.c. L.G. abbia dichiarato che l'imputato, dal mese di Luglio 2009, l'aveva abbandonata insieme ai figli ed alla di lui madre che era rimasta a vivere con loro; che avevano tre figli; che durante la convivenza non le aveva dato quasi niente, cioè 20 - 50 € ogni quindici giorni; che l'imputato fa il panettiere e lavora messo in regola; che lo stesso faceva uso di stupefacenti; che, dopo il suo allontanamento da casa, aveva dato alla figlia 50 €, dopo 15 giorni ne aveva dati altri 20 € alla figlia più piccola ed altri 10 € ancora all'altra figlia piccola,
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di bisogno di un minore il quale, appunto perché tale, non è in grado di procacciarsi un reddito proprio, è un dato di fatto incontrovertibile per cui entrambi i genitori sono tenuti a provvedere per ovviarvi. Quando la condotta violatrice dell'art. 570 c.p. si esplichi nell'omettere, da parte di un genitore, la prestazione dei mezzi di sussistenza ai figli minori, il reato sussiste anche quando l'altro genitore provveda in via sussidiaria ai bisogni della prole (Cass. sez. VI pen.,21.3.96/4.6.96 n. 5525).
Or dunque, la omissione dell'elargizione dei mezzi di sussistenza ai tre figli minori si desume da quanto dichiarato dalla p.c. e dalla di lei madre ed ancor più emblematicamente da quanto ammesso dalla stessa sorella dell'imputato, C.A., che ha riferito come il fratello non desse soldi ai familiari.
L'imputato all'epoca del fatto era dotato di reddito da lavoro e si era limitato a dare ai figli solo piccoli donativi in denaro, privandoli dei necessari mezzi di sussistenza, nonostante l'intervento economico della loro madre che aveva, con difficoltà, cercato di alleviare il disagio economico dei figlioletti.
A nulla rileva che la L. non fosse mai ricorsa al competente giudice civile per fare fissare, a carico dell'imputato, un congruo assegno alimentare in favore dei figli minori, essendo tale fatto non dirimente dell'obbligo di assistenza gravante sul padre.
Del tutto inconferente appare, peraltro, l'argomentazione difensiva che la separazione tra i due fosse durata poco tempo, atteso che dalle risultanze processuali non emerge che i due ex conviventi si fossero poi riconciliati ed avesse ripreso la loro comunanza di vita.
Dunque, tale superstite motivo di gravame va rigettato, siccome del tutto infondato.
Pur non essendo stato oggetto di annullamento da parte della S.C. il diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena inflitta, questa Corte ritiene, in questa sede di giudizio di appello, che comunque l'odierno imputato non sia meritevole della concessione delle predette circostanze e del beneficio anzidetto, in considerazione dei suoi precedenti penali e della mancanza di alcuna apparente resipiscenza, non avendo provveduto, neppure a distanza di tempo, a colmare, anche parzialmente, tale debito economico accumulato nei confronti degli incolpevoli figli.
L'impugnata sentenza va, pertanto, confermata e l'odierno appellante va condannato al pagamento delle ulteriori spese processuali di questo grado del giudizio.
Non vanno liquidate spese processuali nei confronti della parte civile, posto che la stessa non ha concluso all'udienza di discussione.
Va riservato, infine, il termine di cui in dispositivo, per il deposito della motivazione della sentenza, in considerazione della gravità della imputazione.
PQM
P.Q.M.
Visto l'art. 627 c.p.p.; decidendo su rinvio della Corte di Cassazione sull'appello proposto da (omissis...) avverso la sentenza resa nei suoi confronti dal Tribunale di Ma. in composizione monocratica in data 1 febbraio 2013, conferma la appellata sentenza e condanna l'appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Visto l'art. 544, comma 3, c.p.p.; indica in giorni novanta il termine entro il quale saranno depositate le motivazioni della sentenza.
Così deciso in Palermo, il 16 marzo 2016.
Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2016.
19-08-2016 14:12
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