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Sentenza

Genitore offende il docente della figlia in consiglio di classe e lo colpisce con uno schiaffo.
Genitore offende il docente della figlia in consiglio di classe e lo colpisce con uno schiaffo.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 settembre 2015 – 7 gennaio 2016, n. 127
Presidente Sabeone – Relatore Lignola

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza dei 17 febbraio 2014 il Giudice di pace di Brescia condannava alla pena di giustizia G.R., per i delitti di lesioni personali lievi ed ingiuria, commessi in danno di M.G., insegnante della figlia, nel corso di un consiglio di classe.
2. Ha proposto appello l'imputato, con atto sottoscritto anche dal difensore, avv. L.P., deducendo l'omessa pronuncia sulla congruità dell'offerta di 2,500€ ex art. 35 del D. Lgs. 274/2000 prima delle formalità di apertura del dibattimento; l'erronea applicazione dell'art. 594 cod. pen., poiché la frase contestata ("il sei politico se lo può infilare nel culo") non tata udita da alcun teste; l'erronea applicazione dell'art. 599 cod. pen., poiché in precedenza il docente aveva tenuto una condotta antigiuridica, dando un calcio ad un banco e così colpendo la ragazza all'anca e nel corso della seduta aveva ripetutamente provocato l'imputato, interrompendone l'intervento ed insultandolo, per cui ricorrevano i presupposti di entrambe le esimenti previste dalla norma; l'erronea applicazione dell'art. 582 cod. pen., poiché dall'istruttoria non emerso che l'imputato colpito la vittima con un pugno, ma forse con uno schiaffo, il che avrebbe dovuto indurre il PM a modificare il capo di imputazione; il mancato riconoscimento delle attenuanti di cui agli artt. 62, n. 2 e 6 cod. pen., per la provocazione subita e per il ravvedimento operoso, rappresentato dalle scuse presentate immediatamente e dall'offerta di 2.500€ prima del giudizio; il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, in considerazione del sincero pentimento, della condotta processuale, della natura lievissima delle lesioni cagionate.
3. II Tribunale di Brescia, con ordinanza del 30 settembre 2014, dichiarava inammissibile l'appello proposto dall'imputato, rilevato che ai sensi dell'art. 37 dei D. Lgs. 274/2000 le sentenze di condanna alla pena pecuniaria che non contengano capi civili (per difetto di costituzione di parte civile) non sono appellabili.
4. Contro l'ordinanza propone ricorso l'imputato, con atto sottoscritto personalmente, con il quale si deduce violazione dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen. poiché il giudice di appello avrebbe dovuto trasmettere l'impugnazione alla Corte suprema, previa riqualificazione della stessa come ricorso.

Motivi della decisione

1. Correttamente il Tribunale di Brescia ha ritenuto che la sentenza dei Giudice di pace fosse inappellabile ex art. 37 del decreto legislativo 274/2000, non essendo stata pronunciata condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile ed avendo il primo giudice applicato una pena pecuniaria; erroneamente, però, ha ritenuto di poter dichiarare inammissibile l'impugnazione.
2. In materia di disposizioni generali sulle impugnazioni, l'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., stabilisce la duplice regola della irrilevanza della qualificazione data dalla parte all'impugnazione e dell'obbligo del giudice incompetente, al quale l'impugnazione è stata proposta, di trasmetterla al giudice competente. Da tali disposizioni la giurisprudenza di legittimità ha tratto il principio secondo cui, allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l'atto non deve svolgere accertamenti al fine di individuare quale sia il mezzo di impugnazione effettivamente voluto dall'interessato, ma deve limitarsi, a norma dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l'oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l'esistenza di una voluntas impugnationis, consistente nell'intento di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, al giudice competente (Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221).
La giurisprudenza successiva (Sez. 5, n. 21581 del 28/04/2009, Mare, Rv. 243888; Sez. 1, n. 33782 del 08/04/2013, Arena, Rv. 257117; Sez. 5, n. 7403 del 26/09/2013 - dep. 17/02/2014, Bergantini, Rv. 259532) si è ormai attestata sull'indirizzo delineato dalle Sezioni Unite; l'ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio.
2. Va esaminata quindi l'impugnazione, proposta avverso la sentenza del Giudice di pace di Brescia, previa qualificazione della stessa come ricorso per cassazione.
Tale impugnazione risente palesemente del fatto che si intendeva proporre appello avverso la sentenza del Tribunale e quindi si chiedeva un riesame del merito della vicenda processuale.
Come si è visto, l'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., stabilisce che l'impugnazione è ammissibile, a prescindere dalla qualificazione data ad essa, per un ovvio principio di conservazione dei mezzo di impugnazione impropriamente denominato. La diversa qualificazione non determina, però, una modificazione per così dire "funzionale" dell'impugnazione, altrimenti si attribuirebbe sostanzialmente alla parte la possibilità di appellare sentenze ritenute dal legislatore inappellabili.
I contenuti possibili dell'impugnazione restano quindi sempre quelli del ricorso, ex art. 606 cod. proc. pen..
3. Tanto premesso, le censure sollevate dal ricorrente, peraltro in maniera generica, non tengono conto che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare, in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell'interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo.
Anche a seguito della modifica dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell'iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all'annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata.
4. L'atto di impugnazione, riqualificato come ricorso, va allora dichiarato inammissibile.
4.1 La doglianza riguardante l'omessa pronuncia sulla congruità dell'offerta di 2,500€ ex art. 35 del D. Lgs. 274/2000, è manifestamente infondata, poiché, anche se in sentenza il giudice di pace esclude che la causa estintiva si sia perfezionata, a causa dell'opposizione della persona offesa, dal verbale di udienza del non risulta alcuna richiesta in tal senso, ma solo un tentativo di conciliazione; d'altra parte, come osservato anche recentemente dalle Sezioni Unite di questa Corte, l'art. 35 del D. Lgs. 274/2000 prevede come presupposto dell'estinzione del reato, "la riparazione del danno cagionato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato", per cui tra le due condotte previste nel testo della disposizione non vi è alternatività, dovendo tali esigenze essere entrambe soddisfatte ai fini dell'operatività del meccanismo estintivo (Sez. U, n. 33864 del 23/04/2015, Sbaiz, Rv. 264239). II legislatore ha escluso qualsiasi automatismo per l'esplicazione degli effetti estintivi, subordinando la pronuncia ad una valutazione di idoneità della condotta risarcitoria e riparatoria posta in essere dall'imputato, la quale richiede comunque la completa riparazione del danno cagionato dal reato e l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, che se può prescindere dal positivo apprezzamento della parte lesa, non può fare a meno della positiva valutazione dei giudice. Valutazione che nel caso di specie è mancata e che ben si comprende alla luce dello sviluppo successivo della motivazione.
Il giudice ha ritenuto l'episodio di una certa gravità, poiché avvenuto in una istituzione scolastica, la quale per la funzione educativa deve essere tenuta immune da qualsiasi atto di violenza verbale o fisica, nell'ambito di un consiglio di classe, alla presenza degli altri professori e dei rappresentanti dei genitori, per cui evidentemente il mero versamento di una somma di denaro non era in grado di eliminare le conseguenze dannose del reato.
4.2 Le altre doglianze sono tutte inammissibili, poiché sollecitano una valutazione di merito delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale, non consentita in questa sede di legittimità.
Il Giudice di pace ha escluso in punto di fatto qualsiasi provocazione da parte dell'insegnante e la ricorrenza della reciprocità delle offese, per cui la richiesta formulata in sede di impugnazione di rivalutare la ricorrenza deli esimenti previste dall'art. 599 e delle attenuanti di cui all'art. 62, n. 2 e n. 6, cod. pen. è inammissibile.
Anche il diniego delle attenuanti generiche è congruamente valutato, in considerazione della gravità dei fatto, come sopra evidenziato, tenuto conto che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 3, n. 44071 dei 25/09/2014, Papini, Rv. 260610).
La violazione del principio di correlazione tra accusa e decisione, per avere l'imputato colpito il docente con uno schiaffo e non con un pugno è poi palesemente insussistente, atteso che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ribadita in più occasioni dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619) per aversi mutamento dei fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione dei principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso I"'iter" dei processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. Come appunto avvenuto nel caso di specie.
5. In conclusione, allora, l'appello proposto da G.R., riqualificato come ricorso, va dichiarato inammissibile, con le conseguenze di cui all'art. 616 cod. proc. pen., in relazione alle spese del giudizio ed alla condanna in favore della cassa delle ammende di una somma di mille euro.

P.Q.M.

annulla senza rinvio l'ordinanza del Tribunale di Brescia impugnata e, qualificato l'appello come ricorso, lo dichiara inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Avv. Antonino Sugamele

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