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Sentenza

Diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche motivate sul comportamento post factum (negazione dei fatti) e sull'asserito comportamento di prevaricazione nei confronti della vittima. Illegittimità.
Diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche motivate sul comportamento post factum (negazione dei fatti) e sull'asserito comportamento di prevaricazione nei confronti della vittima. Illegittimità.
Cassazione penale, sez. III, 10/12/2015, (ud. 10/12/2015, dep.29/01/2016),  n. 3867 

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE TERZA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. FIALE    Aldo            -  Presidente   -                     
Dott. MOCCI    Mauro           -  Consigliere  -                     
Dott. SOCCI    Angelo Matteo   -  Consigliere  -                     
Dott. LIBERATI Giovanni        -  Consigliere  -                     
Dott. GAI      Emanuela   -  rel. Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
       E.S.O., nato in (OMISSIS); 
avverso la sentenza del 05/12/2014 della Corte d'appello di Bologna; 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai; 
udito  il  Pubblico  Ministero, in persona del Sostituto  Procuratore 
generale   dott.   MAZZOTTA  Gabriele  che  ha   concluso   chiedendo 
l'inammissibilità del ricorso. 
                 


Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5 dicembre 2014, la Corte d'appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bologna, che lo aveva condannato in relazione ai reati di cui all'art. 609-bis c.p., art. 609 ter c.p., comma 1, n. 5 quater e artt. 582 e 585 in relazione all'art. 576 c.p., commi 1 e 2 e art. 61 c.p., n. 2, riduceva la pena inflitta a E.S.O. e confermava nel resto la sentenza.

In particolare, il giudice di secondo grado, dopo aver disposto la rinnovazione del dibattimento per l'audizione del teste dott. M., medico dell'ospedale (OMISSIS), ha confermato l'affermazione della responsabilità del ricorrente sul presupposto che: 1) la ritrattazione della persona offesa, nel corso dell'esame dibattimentale, era mendace, cosi come le dichiarazioni della madre, del di lei fratello, entrambe in contrasto con quelle rese nella fase delle indagini e in contrasto, queste ultime, anche con quelle rese dal fratello del ricorrente, 2) erano utilizzabili le dichiarazioni rese dal teste dott. M., nel corso del dibattimento di appello in applicazione dell'art. 195 cod. proc. pen., che aveva confermato quelle a lui rese, nell'immediatezza del fatto, dalla persona offesa durante la visita in ospedale e che erano state riportate nel referto medico, non ricorrendo l'inutilizzabilità della testimonianza de relato perchè era stato disposto l'esame del teste diretto (persona offesa) e questa aveva reso l'esame. La Corte territoriale ha, poi, disatteso, ritenendole infondate, tutte le censure svolte nei motivi di appello inerenti alla dedotta difficoltà di espressione e comprensione della persona offesa in quanto straniera, all'incompatibilità delle lesioni con la violenza sessuale, e l'eccezione di inutilizzabilita delle dichiarazioni rese dal fratello della persona offesa minorenne, ai sensi dell'art. 351 c.p.p., comma 1-ter.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'Avv. Elisabetta D'Errico, difensore di fiducia di E.S.O., e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

2.1. Violazione della legge processuale e vizio di motivazione di cui all'art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), in relazione alla corretta applicazione dell'art. 351 c.p.p., comma 1-ter, art. 500 c.p.p., comma 2 e art. 533 c.p.p., comma 1. La corte territoriale avrebbe violato l'art. 351 c.p.p., comma 1-ter per aver utilizzato le dichiarazioni rese da persona minorenne (fratello della persona offesa) raccolte dalla P.G. senza ausilio di uno psicologo; avrebbe utilizzato quale prova dei fatti parti delle denuncia-querela acquisita al fascicolo del dibattimento ai soli fini di verifica della procedibilità. In particolare la motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria nella parte in cui, dopo aver escluso l'applicazione del disposto di cui all'art. 500 c.p.p., comma 4, avrebbe finito per utilizzare, comunque, parti di dichiarazioni contenute nella denuncia querela e utilizzate per le contestazioni nel corso dell'esame dibattimentale. La motivazione della sentenza presenterebbe profili di contraddittorietà laddove la corte avrebbe utilizzato le dichiarazioni rese dalla persona offesa nell'immediatezza del fatto e riportate dai sanitari dell'Ospedale (OMISSIS), sanitari che avevano rilevato, nella relazione medica del (OMISSIS) a firma M. e C., le difficoltà di comprensione della persona offesa. La sentenza sarebbe illogicamente motivata con riferimento alla compatibilità delle lesioni refertate sulla donna e sul ricorrente con la denunciata violenza sessuale ed avrebbe, poi, omesso di considerare il contenuto degli sms scambiati tra le parti, come tradotti dall'interprete nel corso dell'esame dibattimentale (pag. 89,90,91 della trascrizione udienza 13/3/2014, all. 3 al ricorso) che proverebbero il pentimento della persona offesa per la propalazione di una falsa accusa. Infine, la corte avrebbe omesso di valutare il contenuto dei tabulati da cui erano emersi, per il giorno del fatto, ben 14 contatti a partire dal mattino.

2.2 Violazione della legge penale e vizio di motivazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche per avere il giudice di appello illogicamente negato le circostanze fondando il diniego sul comportamento negativo post factum improntato ad un'ostinata negazione della propria responsabilità dimostrando totale assenza di autocritica proiettata addirittura a prevaricazione morale sulla vittima.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è parzialmente fondato nei termini di cui in motivazione. Con il primo motivo il ricorrente articola una pluralità di censure: la violazione di legge processuale in relazione all'art. 351 c.p.p., comma 1 ter e art. 500 c.p.p., comma 4, e l'illogicità e contraddittorietà della motivazione per aver utilizzato le dichiarazioni contenute nella denuncia querela, che qui vengono trattate secondo l'ordine svolto nel ricorso.

1.1. Manifestamente infondata è la censura sull'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal fratello minorenne, avanti alla P.G., in assenza di un esperto in psicologia o psichiatria infantile nominato dal P.M. in violazione dell'art. 351 c.p.p., comma 1-ter. Premesso, in fatto, che dalla lettura della sentenza impugnata risulta che il fratello minorenne della persona offesa (anni 17 e mesi 11) era stato sentito sulle lesioni e sullo stato emotivo della sorella quando era rientrato a casa poco dopo il fatto, e dunque su un reato, quello di lesioni, non ricompreso nell'elenco contenuto nell'art. 351 c.p.p., comma 1-ter, la corte territoriale ha correttamente escluso l'inutilizzabilità delle stesse richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui l'inosservanza di tale disposizione non comporta nullità delle dichiarazioni assunte, ma può assumere rilievo ai fini di una responsabilità disciplinare e può incidere sulla valutazione di attendibilità dei contenuti valutativi (Sez. 3, n. 3651 del 10/12/2013 non massimata) principio che va, in questa sede, ribadito e confermato.

1.2. Con il primo motivo la difesa censura, poi, la decisione della Corte di merito in ordine alla utilizzabilità processuale delle prove dichiarative provenienti dalla persona offesa per violazione dell'art. 500 c.p.p., comma 2. La corte territoriale, in considerazione del fatto che le iniziali accuse contenute nella denuncia querela, del 27/10/2014, erano state ritrattate nel corso dell'esame dibattimentale, avrebbe comunque utilizzato, in violazione dell'art. 500 c.p.p., comma 2, parte di quelle contenute nelle denuncia querela utilizzata per le contestazione e acquisita ai fini della procedibilità, e quelle rese sempre dalla persona offesa nell'immediatezza dei fatti, ai sanitari riportate nella relazione dell'ospedale.

Va osservato che la corte ha argomentato l'inverosimiglianza della ritrattazione della persona offesa, l'inattendibilità delle dichiarazioni dibattimentali della di lei madre, in quanto incoerenti e contraddittorie rispetto a quelle rese nelle indagini; ha poi confermato il giudizio di falsità delle dichiarazioni dei parenti (fratello della persona offesa e fratello del ricorrente) espresso dal Tribunale di Bologna che aveva inviato gli atti in Procura per il reato di cui all'art. 372 cod. pen.. Ma, come si evince dalla lettura della sentenza (pag. 8), ha correttamente escluso l'utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni della persona offesa per la prova del fatto, dando rilievo, invece, alle dichiarazioni rese dal medico dott. M. che confermavano quelle rese dalla persona offesa nell'immediatezza dei fatti ai sanitari e che erano state riportate nella relazione medica del (OMISSIS).

Dalla lettura della sentenza impugnata emerge chiaramente che il giudice di appello ha correttamente confermato l'ordinanza del giudice di primo grado, in data 24/4/2014, che aveva rigettato la richiesta del P.M. di acquisizione della querela ai sensi dell'art. 500 c..p.p., comma 4 stante l'assenza dei presupposti per l'utilizzazione quale prova delle precedenti dichiarazioni, ed ha ribadito che l'acquisizione della querela al fascicolo del dibattimento era finalizzata alla verifica della condizione di procedibilità e della credibilità della persona offesa a fronte delle contestazioni ai sensi dell'art. 500 c.p.p., comma 2. Da ciò risulta pertabulas l'infondatezza della censura in merito alla violazione delle regole processuali in tema di utilizzazione delle prova dichiarativa non sussistendo la violazione dedotta.

La corte di merito ha, invece, dato rilievo probatorio al contenuto dichiarativo della relazione medica, ma dopo aver disposto, ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., l'esame del medico a cui quelle dichiarazioni erano state rese. Le dichiarazioni della persona offesa sono state confermate, nel corso del dibattimento, dal teste M., medico in servizio presso l'ospedale (OMISSIS) il giorno del fatto, a cui la persona offesa aveva raccontato, nell'immediatezza, la violenza subita e le modalità della stessa, dichiarazioni che vennero riportate nella relazione medica.

Correttamente, la Corte, ha utilizzato e posto a base della decisione di condanna le dichiarazioni rese dal teste M., esaminato quale teste de relato sulle dichiarazioni rese nell'immediatezza dei fatti dalla persona offesa al medesimo, ma solo a seguito dell'esame del teste de relato che le aveva raccolte, nel dibattimento d'appello e sono state utilizzate in applicazione del disposto di cui all'art. 195 cod. proc. pen..

Come ha osservato la Corte territoriale, nel caso in esame, si era prospettato un contrasto tra la versione fornita dalla persona offesa a dibattimento e quella fornita dal dott. M. (medico che le aveva raccolte nell'immediatezza dei fatti) individuato quale teste de relato rispetto alla dichiarazioni della persona offesa e, correttamente la Corte, ha disposto l'esame del teste di riferimento sulla violenza sessuale. Nell'ambito del proprio discrezionale di valutazione delle varie dichiarazioni, ha ritenuto attendibili con motivazione adeguata e congrua, le dichiarazioni rese dal medico rispetto a quelle rese nel dibattimento della persona offesa per la prova del fatto di violenza sessuale.

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, più volte espresso dalla Corte di cassazione, in tema di rapporti tra prove dichiarative di eterogenea natura, ed in particolare ha fatto corretta applicazione del principio, anche di recente confermato, secondo cui in tema di testimonianza indiretta, qualora la persona alla quale il testimone ha fatto riferimento sia stata chiamata a deporre e abbia escluso la veridicità di quanto riferito dal teste de relato, il giudice può riconoscere attendibilità all'una o all'altra deposizione in base al principio generale del libero convincimento, non essendo stata posta dal legislatore una gerarchla tra i detti mezzi di prova (Sez. 3, del 27/11/2014 n. 16898, P.F.N.; Sez. 6, del 5.3.2004 n. 26027, Pulcini, Rv. 229967; Sez. 3, del 30.11.2007 n. 2010, Vitiello, Rv. 338626;

Sez. 1, del 7.10.2010 n. 39662, Valpiani, Rv. 248478). La motivazione offerta dalla Corte di merito, oltre che conforme ai canoni ermeneutici sopra riferiti è anche sorretta da argomentazione diffusa, adeguata e priva di illogicità avendo dato rilievo alla circostanza che le dichiarazioni de relato sulla descrizione della violenza sessuale erano collimanti e trovavano conforto nella relazione medica e nella piena compatibilità delle lesioni riportate, sia della persona offesa che dal ricorrente, con la descrizione della violenza sessuale come raccontata al teste.

1.3. Parimenti infondato è il motivo concernente l'omessa valutazione degli sms e contatti telefonici (pag. 6) prodotti dalla difesa nel giudizio di primo grado la cui rilevanza è stata disattesa dal Tribunale (pag. 4) con motivazione adeguata e congrua, avendo il giudice di primo grado argomentato che i ripetuti sms e contatti telefonici confermavano l'avvenuto litigio che era perfettamente compatibile con l'epilogo della violenza sessuale .commessa nel pomeriggio. In applicazione del principio secondo cui, in presenza di cd. doppia conforme, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (per tutte, Sez. 2, n. 34891 del 16.05.2013, Vecchia, Rv. 256096; Sez. 3, n. 13926 del 1.12.2011, dep. 12.4.2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2.1994, Albergamo, Rv. 197250), deve ritenersi insussistente il vizio denunciato integrandosi le due motivazione ed avendo il primo giudice argomentato sul punto con motivazione immune da vizio logico e non censurabile nel giudizio di legittimità.

2. Fondato è il motivo attinente all'illogicità della motivazione della sentenza sul diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche perchè motivate - come emerge dalla sentenza impugnata - sul comportamento post factum (negazione dei fatti) e sull'asserito comportamento di prevaricazione nei confronti della vittima. La Corte d'appello ha ritenuto di non riconoscere le circostanze attenuanti generiche in ragione del negativo comportamento post factum che sarebbe dimostrativo dell'assenza di autocritica addirittura proiettato ad una ulteriore prevaricazione morale sulla vittima che ne annientasse le lecite esigenze di ribellione e reazione. La censura è fondata poichè non v'è alcun obbligo di verità in capo all'imputato, il quale ben può scegliere di difendersi mentendo e da questo non può trarsi l'elemento negativo ai fini del diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; in ogni caso non risulta poi, dal tenore della sentenza, sulla base di quali emergenze processuali i giudici abbiano tratto la prova del comportamento di prevaricazione dell'imputato nei confronti della vittima, trattandosi di affermazione apodittica.

4. La sentenza deve, pertanto, essere annullata limitatamente al profilo del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna per un nuovo giudizio.
PQM
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Bologna.

Rigetta nel resto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2016
Avv. Antonino Sugamele

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