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Sentenza

Tribunale di Marsala. Ricettazione di due box metallici. Conferma condanna dalla Cassazione.
Tribunale di Marsala. Ricettazione di due box metallici. Conferma condanna dalla Cassazione.
Cassazione penale  sez. II 11/12/2014 ( ud. 11/12/2014 , dep.16/01/2015 ) 
Numero:     1931
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                           SEZIONE SECONDA PENALE                        
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. GENTILE          Mario   -  Presidente   -                     
    Dott. CASUCCI          Giulian -  Consigliere  -                     
    Dott. CAMMINO          Matilde -  Consigliere  -                     
    Dott. GALLO            Domenic -  Consigliere  -                     
    Dott. CARRELLI PALOMBI R. -  rel. Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                  B.G. nato a (OMISSIS); 
    avverso la sentenza del 28/6/2013 della Corte d'appello di Palermo; 
    visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; 
    udita  la relazione svolta dal Consigliere Dr. Roberto Maria Carrelli 
    Palombi di Montrone; 
    udito  il  Pubblico  Ministero in persona del  Sostituto  Procuratore 
    generale,  Dott. Galli Massimo, che ha concluso chiedendo il  rigetto 
    del ricorso. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza in data 28/6/2013, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del 11/10/2011 del Tribunale di Marsala, condonata la pena irrogata nei confronti di B. G. ai sensi della L. n. 241 del 2006 nella misura di mesi otto e giorni tredici di reclusione, confermava, nel resto, la decisione di primo grado con la quale lo stesso era stato riconosciuto responsabile del reato di cui all'art. 648 c.p. e condannato alla pena di anni due di reclusione ed Euro 600,00 di multa.

    1.1. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l'atto d'appello, in punto di riconosciuta responsabilità dell'imputato in ordine al reato allo stesso ascritto, in punto di qualificazione giuridica del fatto, non essendo stata riconosciuta l'integrazione della contravvenzione di cui all'art. 712 c.p. nonchè in punto di trattamento sanzionatorio con riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 648 cpv. c.p..

    2. Avverso tale sentenza propone ricorso l'imputato, sollevando i seguenti motivi di gravame: mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alle specifiche doglianze formulate con i motivi di appello con particolare riferimento alla al rinvenimento del bene in possesso del ricorrente in epoca immediatamente prossima alla commissione del furto, alla mancata qualificazione del fatto come illecito contravvenzionale ai sensi dell'art. 712 c.p., potendo addebitarsi al ricorrente solo un comportamento colposo per mancata diligenza in ordine all'accertamento della legittima provenienza del box metallico, al mancato riconoscimento dell'ipotesi di cui all'art. 648 cpv. c.p., nonchè alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    3. Il ricorso deve essere rigettato per essere infondate le questioni proposte. Segnatamente la Corte territoriale ha, adeguatamente, dato atto della sussistenza in capo all'imputato dell'elemento soggettivo del delitto di ricettazione, valorizzando il comportamento assunto dallo stesso in relazione all'accertato possesso dei due box metallici, ritenuto, legittimamente, sintomatico di una volontà di occultare la provenienza degli stessi. Con tale argomentare la sentenza impugnata si è adeguata al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, citato anche nella sentenza impugnata, secondo il quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorchè siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Ed in tal senso questa Corte ha più volte affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell'imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata - o non attendibile - indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008, Nardino, Rv. 241458; sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv. 248265). Nella sentenza, appunto, impugnata l'assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione dei box metallici di cui al capo d'imputazione, risultati di provenienza delittuosa, si pone come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito. Del resto, come questa Corte ha recentemente affermato (Sez. U. n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246324; sez. 1 n. 27548 del 17/6/2010, Screti, Rv. 247718) l'elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell'agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, nè potendo consistere in un mero sospetto.

    Ed inoltre nella sentenza impugnata vengono valorizzati quali ulteriori elementi idonei a fondare la sussistenza dell'elemento materiale e di quello psicologico del delitto di ricettazione: si tratta della presenza sui box di segni identificativi che ne rendevano sicura l'individuazione come proprio quelli che erano stati sottratti alla persona offesa nonchè della contiguità temporale del ritrovamento degli oggetti con la data del furto.

    Quanto poi alla qualificazione giuridica del fatto, dalla lettura della sentenza impugnata ed in particolare dall'analisi sopra riportata effettuata dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza dell'elemento materiale e di quello psicologico del delitto di ricettazione si evince con tutta evidenzia l'impossibilità di configurare il fatto nell'ambito dell'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 712 c.p.. E la scelta effettuata dai giudici di merito si pone in linea con la costante giurisprudenza dei questa Corte, condivisa dal Collegio, in base alla quale in tema di ricettazione, ricorre il dolo nella forma eventuale quando l'agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa accettata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l'ipotesi contravvenzionale dell'acquisto di cose di sospetta provenienza (sez. 2 n. 45256 del 22/11/2007, Rv. 238515). Nel caso di specie, appunto, ragionevolmente, è stato evidenziato come l'imputato non avesse fornito alcuna indicazione in ordine al soggetto che gli avrebbe fornito i box in questione. Quanto alla qualificazione del fatto come furto, la doglianza risulta proposta per la prima volta in Cassazione in modo, peraltro del tutto generico ed in assenza di elementi di fatto idonei a supportare l'argomentazione difensiva. Ed anche con riguardo al mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata i cui all'art. 648 cpv. c.p., le motivazioni svolte dal giudice d'appello non risultano viziate da illogicità manifesta e forniscono esaustiva motivazione, facendosi correttamente riferimento ad una valutazione complessiva del fatto reato effettuata attraverso un contestuale apprezzamento di tutti quegli elementi che rientrano nella fattispecie delittuosa ed in particolare al valore non lieve dei box.

    Con riferimento, infine, al trattamento sanzionatorio, il giudice di appello ha ritenuto adeguata la pena irrogata dal primo giudice, considerandola bene perequata rispetto al reale disvalore del fatto, rilevando di non potere concedere le attenuanti generiche alla luce dei numerosi e gravi precedenti penali già riportati dall'imputato e dell'assenza di elementi positivi da valorizzare nella direzione auspicata dal ricorrente. E sul punto, conformemente all'orientamento espresso più volte da questa Corte, deve rilevarsi che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'art. 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchè la stessa motivazione, purchè congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (Sez. 6 n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419; sez. 2 n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163).

    4. Al rigetto del ricorso consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
    PQM
    P.Q.M.

    Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

    Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2014.

    Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2015
Avv. Antonino Sugamele

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