Porto di più armi comuni di sparo utilizzate per compiere un raid dimostrativo. Azione effettuata con finalità camorristiche.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 06-10-2015) 01-12-2015, n. 47488
Fatto - Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIEFFI Severo - Presidente -
Dott. CASSANO Margherita - Consigliere -
Dott. CASA Filippo - Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
Dott. MAGI Raffaello - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
A.A. N. IL (OMISSIS);
avverso l'ordinanza n. 3324/2015 TRIB. LIBERTA' di NAPOLI, del 23/06/2015;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Angelillis C., che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Davino C., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con ordinanza emessa in data 23 giugno 2015 il Tribunale di Napoli - costituito ai sensi dell'art. 309 c.p.p. - confermava nei confronti di A.A. il titolo cautelare rappresentato dalla ordinanza emessa dal GIP della medesima sede in data 29 aprile 2015.
In detto titolo risulta contestato il reato di porto (quale concorrente/istigatore) di più armi comuni di sparo utilizzate per compiere un raid dimostrativo presso un luogo sito in (OMISSIS), con l'aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 (strumentante dell'azione con le finalità del clan camorristico diretto, tra gli altri, dallo stesso A.A.). In (OMISSIS).
La decisione di conferma è essenzialmente fondata sugli apporti dichiarativi resi da An.Ca. e An.Ga., soggetti intranei al clan Abbinante divenuti collaboratori di giustizia.
L'episodio, nel suo complesso, è stato inquadrato nell'ambito del conflitto insorto tra il gruppo Abbinante (federato con gli Abete - Notturno - Aprea) e quello della Vanella Grassi (a sua volta espressione di diversa alleanza camorristica) per il controllo militare delle diverse "piazze di spaccio" dislocate sul territorio di (OMISSIS).
Il 4 luglio del 2012 si verificò il ferimento di un aderente al gruppo Abbinante, tal E.G.. La risposta del gruppo fu - secondo le fonti riportate - quella di "attaccare" armi in pugno la vela celeste, piazza di spaccio gestita dal clan contrapposto dei Leonardi.
Il Tribunale afferma che i due collaboranti furono "protagonisti attivi" del raid.
Entrambi hanno riferito che l'iniziativa venne presa dai capi A.A. e M.G..
An.Ca. afferma di aver fatto la "battuta alle vele", insieme al fratello, e di essersi allontanato dopo una prima fase dell'assalto armato. Solo in un secondo momento seppe da un altro affiliato che la vela era stata "conquistata" e che il fratello era rimasto sul posto. Riferisce che l'ordine proveniva direttamente da A.A. e M.G..
An.Ga. conferma di aver preso parte al raid e riferisce che A.A. dette l'ordine di fare l'irruzione.
Il Tribunale esamina le obiezioni difensive e le ritiene non idonee a smentire detto incrocio narrativo.
In particolare si afferma che L.F., appartenente al gruppo contrapposto, ha sì affermato di aver saputo della presenza di uno solo dei fratelli An. al raid ma trattasi di conoscenza de relato, mutuata da un soggetto ( B.M.) della cui presenza sul posto non vi è precisa contezza.
Si afferma altresì che il fatto - narrato da altro collaborante - della autonomia decisionale di M.G. nell'ambito del clan non esclude che nel caso in esame - come riferito dai collaboranti - l'ordine fosse stato impartito anche da A. A..
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - A.A., deducendo vizio di motivazione ed erronea applicazione della disciplina regolatrice in tema di gravità indiziaria.
Nel ricorso si ripropongono le obiezioni disattese dal Tribunale.
Si afferma che il gruppo dei "sette palazzi" - che assaltò la vela - si muoveva, secondo il collaborante Ma. su ordine di M. G..
Si rievoca il contributo narrativo di L.F..
Si opera una complessiva rilettura dei contributi narrativi dei collaboranti An. e si afferma che il Tribunale ne ha distorto i contenuti.
Secondo la difesa non è esatto affermare che entrambi i fratelli An. erano sul posto ed inoltre le versioni - apprezzate in modo più ampio - non sarebbero coincidenti circa l'indicazione del mandante del raid nella persona di A.A..
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile, per la manifesta infondatezza dei motivi addotti, tesi peraltro a contestare il merito delle valutazioni operate dal Tribunale, con richiesta di rielaborazione probatoria che appare, in quanto tale, estranea al perimetro legale della fase di legittimità.
Il Tribunale ha infatti logicamente motivato circa la ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell' A., esaminando le doglianze difensive in modo congruo e disattendendone i contenuti.
A fronte di tale percorso motivazionale non si rinvengono vizi in diritto e le doglianze proposte mirano, in realtà, ad ottenere una rivalutazione dei dati conoscitivi.
Va infatti evidenziato che la ricostruzione indiziaria è basata su un incrocio narrativo tra più fonti dichiarative "interne" al contesto criminale in cui viene inquadrata l'azione ( An. C. e An.Ga.), con piena applicabilità dei canoni valutativi di cui all'art. 192 c.p.p., comma 3.
Ciò comporta la necessità di tener conto, già nella presente fase, dei criteri elaborati da questa Corte di legittimità al fine di attribuire valore probatorio a simili elementi di prova.
E' evidente, infatti, che lì dove emergano già in sede cautelare elementi di reale contraddizione o di "smentita" della narrazione di uno o più collaboranti, risulta inibito il fenomeno di reciproca asseverazione di tali dati dichiarativi, con impossibilità di formulazione di una corretta ed equilibrata prognosi di condanna.
Ma nel caso in esame i pretesi elementi di contraddizione risultano esclusi con motivazione puntuale e logica.
Non è un fuor d'opera, pertanto, evidenziare gli approdi cui è pervenuta - di recente - questa Corte, a Sezioni Unite, in punto di valutazione di più fonti dichiarative caratterizzate dalla sottoposizione alla cautela valutativa in questione (si trattava, nel caso risolto dalle Sezioni Unite, di più chiamate in reità de relato, ma le argomentazioni espresse riguardano in via generale il fenomeno dell'incrocio narrativo tra più fonti caratterizzate dalla particolare condizione di non assimilabilità alla figura del testimone).
Se si pone mente alla ratio della cautela valutativa, imposta circa l'affidabilità probatoria delle dichiarazioni sottoposte al regime di cui all'art. 192 c.p.p., comma 3, si comprende agevolmente quale sia il rilievo del metodo valutativo da seguire nell'ipotesi in cui ci si trovi di fronte a più dati istruttori accomunati da tali caratteristiche ontologiche.
Se infatti è corretto ipotizzare il reciproco incremento probatorio, tra diverse chiamate in correità o in reità de relato, ciò chiama in causa la constatazione di tipo logico per cui quando più fonti, dotate di piena autonomia sul piano della esperienza percettiva, finiscono con il riferire fatti tendenzialmente coincidenti nel loro nucleo essenziale, ciò aumenta oggettivamente le probabilità che i fatti narrati corrispondano al vero.
Ma tale assunto è strettamente correlato alla verifica non solo in punto di attendibilità generica del dichiarante, quanto da operarsi sul versante della coerenza e costanza narrativa, nonchè sulla ricorrenza degli ulteriori presupposti messi in rilievo - da ultimo - nella evocata decisione Sez. U. n. 20804/2013 del 29.11.2012 (rv 255143 - 255145) intervenuta sul tema.
Nella indicata pronunzia (a sua volta punto di approdo di precedenti orientamenti che risulta inutile citare) pur constatandosi l'assenza di una "catalogazione gerarchica in senso piramidale" dei tipi di prova, sganciata dal concreto contesto processuale, e pur riaffermandosi, in via generale, il valore e l'immanenza del principio del libero convincimento, si pone particolare attenzione al rigore metodologico che deve governare un simile procedimento valutativo e al correlato "aggravio" dell'onere motivazionale.
In termini generali, la valutazione congiunta delle chiamate risulta significativa - a fini di dimostrazione del fatto - lì dove ricorrano:
- la convergenza delle chiamate in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione;
- l'indipendenza delle medesime, intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente o di altri condizionamenti inquinanti;
- la specificità nel senso che la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e deve riguardare sia il fatto nella sua oggettività che la riferibilità dello stesso all'incolpato, fermo restando che deve privilegiarsi l'aspetto sostanziale della concordanza delle plurime dichiarazioni di accusa sul nucleo centrale e più significativo della questione fattuale da decidere;
- l'autonomia genetica, vale a dire la derivazione non ex unica fonte onde evitare il rischio della circolarità della notizia, che vanificherebbe la valenza dell'elemento di riscontro esterno e svuoterebbe di significato lo stesso concetto di convergenza del molteplice.
Ora, nel caso in esame il Tribunale risulta aver compiuto corretta applicazione di tali principi, posto che vi è espressa ed analitica motivazione circa la effettiva convergenza sul nucleo essenziale delle diverse narrazioni, con specifico apprezzamento (alla pagina 4 del provvedimento impugnato) delle doglianze difensive.
Ed invero, in riferimento all'episodio in trattazione, entrambi i dichiaranti non soltanto hanno affermato di aver preso parte (sia pure con diversa intensità) all'assalto armato, ma hanno riferito in modo convergente ed autonomo sulle modalità di ricezione dell'ordine, indicando l' A. quale soggetto che aveva elaborato (sia pure in accordo con il M., secondo An.Ca.) la strategia di attacco.
La diversa ricostruzione proposta dalla difesa, oltre a pretendere una rielaborazione dei materiali dimostrativi, tende ad elevare a principio generale un diverso assetto dei poteri decisionali narrato da altro collaborante, il che - come osservato dal Tribunale - non coglie la dimensione dell'episodio, sorto ed inquadrato come "reazione" dell'intero cartello camorristico in esame all'avvenuto ferimento di un soggetto affiliato al gruppo Abbinante.
Appare pertanto del tutto logica la considerazione, in fatto, di una decisione presa da più soggetti in riferimento al "particolare significato" rivestito dall'azione oggetto di ricostruzione.
Il ricorso, pertanto, non si confronta in modo adeguato con i contenuti dimostrativi del provvedimento impugnato e per quanto sinora affermato, va dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell'Istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2015
15-12-2015 23:37
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