I NAS di Parma accertano attività di contaminazione ed adulterazione del parmigiano reggiano DOP prodotto con latte contenente valori di aflatossina M1 notevolmente maggiori del limiti fissati dalla legge. Sequestro confermato dalla Cassazione.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo - Presidente -
Dott. TARDIO Angela - Consigliere -
Dott. BONITO F. Maria - rel. Consigliere -
Dott. LOCATELLI Giuseppe - Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
T.F. N. IL (OMISSIS);
avverso l'ordinanza n. 2/2015 TRIB. LIBERTA' di PARMA, del
06/02/2015;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA
SILVIO BONITO;
sentite le conclusioni del PG Dott. TROMBETTI Pietro il quale ha
chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
La Corte:
Fatto
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con ordinanza del 6 febbraio 2015 il Tribunale di Parma, adito ai sensi degli artt. 309 e 324 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame proposta da T.F., legale rappresentante del caseificio sociale Bardi, avverso il decreto di sequestro probatorio delle forme di formaggio prodotte in data 4 febbraio 3014 (per la difesa) il 9.9.2013 (per l'ordinanza impugnata), decreto emesso dal P.M. in data 14.1.2015.
A sostegno del provvedimento il Tribunale, richiamando l'attività di indagine promossa dal NAS di Parma per l'accertamento di attività di contaminazione ed adulterazione del parmigiano reggiano DOP prodotto con latte contenente valori di aflatossina M1 notevolmente maggiori del limiti fissati dalla legge ed in particolare dal regolamento CE n. 1881 del 2006, precisava: è innanzitutto infondata l'eccezione difensiva in ordine al mancato avviso della fissazione dell'udienza camerale a T.F., giacchè tale avviso è stato notificato presso lo studio del difensore di fiducia suo domiciliatario, contestualmente a quello notificato al difensore stesso; va poi richiamata, ai fini della ricorrenza del fumus relativo ai reati che si assumono commessi (artt. 416, 440, 479, 516 e 479 c.p.) l'ordinanza cautelare, nella quale sono dettagliatamente descritti i fatti di causa, la corposa attività di SIT rese da impiegati, dipendenti di alcune aziende agricole, intercettazioni telefoniche, acquisizioni di analisi di campioni e di certificazioni attestanti esiti delle analisi diversi da quelli reali; nel caso in esame non è rilevante la circostanza, difensivamente valorizzata, che il T. non comparirebbe in tali indagini, giacchè la ritualità del sequestro probatorio, finalizzato cioè alla ricerca della prova, è assicurata dalla ricorrenza di un nesso pertinenziale tra la res sequestrata e le ipotesi di reato ipotizzate;
l'aflatossina M1 è sostanza tossica e cancerogena, nonostante il diverso opinare difensivo, in quanto derivato da quella B1; priva di pregio è la tesi difensiva secondo cui allo stato le forme sequestrate non possono essere riferite al parmigiano reggiano dappoichè non ancora esaurita l'epoca della stagionatura;
attendibile è il metodo cd. "Elisa" utilizzato per le analisi.
2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione il T., nella qualità, assistito dai difensori di fiducia, i quali nel suo interesse sviluppano cinque motivi di impugnazione.
2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente la nullità insanabile ed assoluta, in relazione all'art. 179 c.p.p., per l'omesso avviso di fissazione dell'udienza all'interessato, sul rilievo che una medesima notifica risulta eseguita, a mezzo di una sola "pec", sia al difensore di fiducia, sia all'interessato, domiciliato presso il difensore detto.
2.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente la omessa valutazione dei motivi di riesame presentati all'udienza, in particolare osservando: all'udienza del 6.2.2015 la difesa ha presentato i motivi di ricorso, per iscritto, sinteticamente illustrandoli in sede di discussione e corredandoli di documenti e di relazione tecnica del prof. S.; il tribunale non ha considerato tali motivi scritti, come peraltro confermato dalla stessa motivazione impugnata, dove si nega la presentazione di tali motivi scritti; di qui il vizio motivazionale denunciato.
2.3 Col terzo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione dell'art. 253 c.p.p., sul rilievo che il decreto di sequestro probatorio del PM non risulta vagliato, nè prima nè dopo, dal GIP, nè può il tribunale per il riesame sostituirsi ora allo stesso GIP nella motivazione e nella individuazione del fumus.
2.4 Col quarto motivo di ricorso denuncia invece la difesa ricorrente violazione dell'art. 253 c.p.p. e art. 324 c.p.p., comma 3, perchè non enunciato dal P.M. il fatto reato all'interessato, con ciò rendendogli impossibile la difesa in relazione all'accusa mossagli ed al fumus del reato ritenuto a suo carico; osserva ancora la difesa che il P.M. ha semplicemente elencato le norme penali che si assumono violate e richiamato una ordinanza cautelare che non ha riguardato il T., omettendo poi di trasmettere la nota informativa del NAS a cui il GIP ha fatto riferimento per relationem; di qui, per il ricorrente, la violazione del diritto difensivo in ordine alla prova del fumus, da ritenersi inesistente nel caso concreto.
2.5 Col quinto ed ultimo motivo di ricorso denuncia infine la difesa ricorrente violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 2 e art. 253 c.p.p. e la insufficienza dei motivi addotti per ravvisare nella fattispecie il fumus, in particolare osservando: a) il p.m., per errore, ha scambiato le analisi sul latte come analisi su campioni di pasta di formaggio e le forme sequestrate non sono parmigiano reggiano dappoichè non ancora conclusa la complessa e lunga stagionatura; di qui l'impossibilità di configurare il reato sub art. 516 c.p.; non esiste alcun limite di legge per la aflotissina M1; il limite indicato dal pm fa riferimento alla raccomandazione del Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare riferito ai formaggi a pasta tenera; che il latte contenga concentrazione di aflatossina M1 non dimostra comunque che automaticamente la stessa concentrazione sia presente nel formaggio a pasta dura, per il quale il predetto comitato nazionale ha auspicato l'avvio di studi; il p.m. contesta condotte proprie della fase di utilizzazione del latte e non già riferibili al prodotto finito, per il quale occorrerebbero esami specifici su campioni specifici, allo stato mai eseguiti; il sequestro penale in discussione è la duplicazione di quello sanitario già eseguito; b) le modalità seguite per l'esame del campione di latte, col metodo cd. Elisa, non sono attendibili e possono dare risultati diversi; c) il prelievi dei campioni andava fatto al momento della ammissione del latte crudo nel caseificio di trasformazione; d) le forme sequestrate erano in fase di maturazione e stagionatura secondo le indicazioni del disciplinare e della normativa comunitaria e soltanto con l'apposizione del marchio può ritenersi realizzato il parmigiano reggiano; le modalità di produzione porterebbero alla eliminazione naturale di qualsiasi elemento inquinato nocivo ovvero alterato.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Infondata è, in particolare, la prima censura di natura processuale.
Va in primo luogo rammentato, con Cass., SS.UU., 28.4.2011, n. 28551, Pedicone, rv. 250121 che la notificazione di un atto all'imputato o ad altra parte privata, in ogni caso in cui possa o debba effettuarsi mediante consegna al difensore, può essere eseguita con telefax o altri mezzi idonei a norma dell'art. 148 c.p.p., comma 2 bis, là dove per "altri mezzi idonei" deve attualmente ricomprendersi la notifica a mezzo sistema telematizzato secondo regolamentazione normativa dello Stato, eppertanto anche la notifica a mezzo PEC. Quanto poi allo specifico della doglianza difensiva, giova rammentare l'ormai consolidato e costanze indirizzo giurisprudenziale di legittimità (Cass., Sez. 2, n. 38058 del 18/07/2014, Rv. 260853) secondo cui non è nulla, ma meramente irrituale, la notificazione (anche a mezzo fax per l'insegnamento di cui innanzi) avvenuta mediante consegna al difensore di fiducia domiciliatario di un'unica copia dell'atto da notificare, con l'espressa indicazione in esso dei destinatari specificamente individuati nell'imputato e nel difensore (Conformi: N. 14012 del 2008 Rv. 240138, N. 36020 del 2011 Rv.
250777, N. 43532 del 2012 Rv. 253822). L'eccezione difensiva va pertanto rigettata.
3.2 Del tutto generico è invece il secondo motivo di ricorso, giacchè non indicati i motivi di impugnazione che si assumono essere stati ignorati dal giudice del riesame e quale incidenza essi hanno avuto sulla decisione di cui al ricorso di legittimità.
In assenza pertanto delle precisazioni dette, la doglianza si appalesa.
3.3 Altresì manifestamente infondato è il terzo motivo di impugnazione.
Il sequestro probatorio è atto al di fuori del processo e non ha natura cautelare, ma si inserisce nella mera attività di indagine, di guisa che non soggiace alla disciplina sul contraddittorio di fonte costituzionale (art. 111 Cost.). In tal senso e per dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale là dove non prevede la norma (art. 253 c.p.p.) un preventivo controllo giurisdizionale si veda: Cass., sez. 3, 15.10.2002, n. 40974, rv. 222908.
3.4 Infondato giudica ancora il Collegio il quarto motivo di doglianza. Giova rammentare, con Cass. Sez. 5, n. 13594, 27/02/2015, Rv. 262898, che l'obbligo di motivazione con il quale deve essere sostenuto, a pena di nullità, il decreto di sequestro probatorio in ordine alla ragione per cui i beni possono considerarsi il corpo del reato ovvero cose ad esso pertinenti ed alla concreta finalità probatoria perseguita, con l'apposizione del vincolo reale, deve essere modulato da parte del pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto è ricondotto, alla relazione che le cose presentano con il reato, nonchè alla natura del bene che si intende sequestrare.
Ebbene, nel caso in esame il decreto impugnato rende palese ogni aspetto della vicenda nel quale si inserisce, la realizzazione di un prodotto alimentare con sostanze vietate dalla legge perchè cancerogene, l'aflatossina M1 contenuta nel latte conferito per la produzione del formaggio, ed il sequestro delle forme realizzate con tali modalità si appalesa del tutto pertinente con la condotta di reato sulla quale si stanno svolgendo le indagini e con la natura del prodotto sequestrato. In ogni caso appare oggettivamente incontestabile perchè di immediata percezione, la "diretta" connessione probatoria tra il vincolo di temporanea indisponibilità del bene sequestrato ed il corretto sviluppo della attività investigativa.
Di qui l'oggettiva incongruenza dei rilievi difensivi in ordine alla limitazione dei diritti difensivi perchè non chiariti i limiti dell'accusa, viceversa di palese evidenza come peraltro dimostrato dalla puntuale e diffusa difesa articolata con l'impugnazione in esame.
E' del tutto irrilevante, infine, che il T. non compaia tra i destinatari della misura della custodia cautelare ovvero che non risultino trasmesse dalla procura al tribunale per il riesame le informative del NAS richiamate dal GIP attesi i limiti alla motivazione del sequestro probatorio derivanti dalla natura del provvedimento.
3.5 Manifestamente infondato è, infine, il quinto motivo di impugnazione.
Con esso, infatti, la difesa illustra esclusivamente profili di merito peraltro estranei alla funzione del sequestro probatorio, relativi al sistema di analisi, alla tossicità della aflatossina M1, alla individuabilità della forma sequestrata come parmigiano reggiano, questioni tutte, quelle appena elencate, congrue con la difesa dal merito delle accuse ed oggi del tutto ininfluenti sulla legittimità del sequestro per cui è causa, non potendosi negare la ricorrenza del fumus di una accusa di aver utilizzato latte con sostanza cancerogena per la formazione del formaggio sequestrato e che per provare tale accusa ed ai fini delle indagini è necessario ed opportuno il vincolo reale chiesto ed ottenuto dal P.M..
4. Alla stregua di quanto sin qui esposto il ricorso va pertanto rigettato ed il ricorrente condannato, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 2015.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2015
02-11-2015 11:36
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