Carcere: determinazione dello spazio minimo intramurario: non può essere inferiore a 3 metri quadrati.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 dicembre 2014 – 23 aprile 2015, n. 17014
Presidente Cortese – Relatore Magi
In fatto e in diritto
1. In data 12 dicembre 2012 il Magistrato di Sorveglianza di Cosenza ha respinto il reclamo generico proposto da G.M. ai sensi dell'art. 35 ord.pen..
La decisione riguarda in realtà una serie di reclami presentati tra il 20 aprile 2012 e il 22 giugno 2012 aventi ad oggetto tematiche diverse tra loro. In particolare, le doglianze sono così sintetizzate nel provvedimento:
a) difficoltà di lavare i propri indumenti e impossibilità di usufruire del servizio di lavanderia esterna;
b) mancanza di un farmaco necessario per la cura di una patologia di cui il detenuto è portatore e richiesta di contribuire alla spesa per il suo acquisto;
c) insufficienza dello spazio vitale in cella e fittizia distinzione tra celle fumatori e non fumatori.
Ad avviso del Magistrato di Sorveglianza, le doglianze sono tutte infondate. Si osserva in particolare che il G. :
- non ha formulato rituale domanda per usufruire del servizio di lavanderia esterna;
- ha ricevuto il farmaco necessario per la sua patologia (equivalente a quello richiesto) senza sostenere alcun costo;
- è allocato in camera detentiva prevista per sei persone, in linea con quanto prescritto dalla legge;
- si trova in una cella per fumatori.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione - con personale sottoscrizione - G.M. .
Nel ricorso si lamenta la mancata risposta ad alcune delle doglianze e, pertanto, l'incompletezza del provvedimento.
Al di là di una serie di riferimenti a circostanze di fatto, il detenuto essenzialmente prospetta:
- di aver chiesto l'allocazione in una cella singola per non fumatori a tutela delle sue condizioni di salute;
- la inadeguatezza del farmaco sostitutivo rispetto a quello da lui richiesto;
- l'assenza delle condizioni di spazio intramurario richieste dalla CEDU per garantire la legalità della detenzione.
3. Il ricorso è in parte fondato, per le ragioni che seguono.
3.1 A seguito della decisione emessa dalla Corte Costituzionale n. 26 del 1999 il ricorso per cassazione avverso il rigetto dei reclami proposti dai detenuti ai sensi dell'art. 35 ord. pen. è ammissibile nella misura in cui sì verta in tema di indebita limitazione di diritti soggettivi (si vedano, tra le molte, Sez. VII n. 23379 del 12.12.2012, rv 255490; Sez. VII n. 23377 del 12.12.2012, rv 255489). La stessa decisione n. 26 del 1999 della Corte Cost. muove dal presupposto dell'esistenza di situazioni giuridiche soggettive che, per loro natura, non possono essere disconosciute in virtù della intervenuta restrizione di libertà ed in via generale le indica nei “diritti” suscettibili di essere lesi per effetto del potere dell'amministrazione di disporre, in presenza di particolari presupposti indicati dalla legge, misure speciali che modificano le modalità concrete del trattamento di ciascun detenuto o per effetto di determinazioni amministrative prese nell'ambito della gestione ordinaria della vita del carcere.
Da tale generale previsione deriva che per poter individuare la natura della posizione giuridica soggettiva, meritevole di tutela giurisdizionale, deve aversi riguardo da un lato alla tipologia di interesse del soggetto che sì assume lesa (posto che soltanto gli interessi che ineriscono a beni essenziali della persona e che rappresentano la proiezione di diritti fondamentali dell'individuo possono essere qualificati in termini di diritti soggettivi) dall'altro alla conformazione normativa del potere esercitato dall'amministrazione (posto che lì dove la norma primaria conferisce un potere discrezionale all'amministrazione non può parlarsi di violazione di un diritto soggettivo ma al più di interesse legittimo, direzionato alla verifica del corretto utilizzo di tale potere discrezionale). Ora, nel caso in esame mentre la doglianza relativa alle condizioni di utilizzo della lavanderia esterna non può essere qualificata in termini di “diritto soggettivo”, le altre questioni poste dal detenuto rientrano pienamente in tale ambito, trattandosi di situazioni tali da incidere sul diritto alla salute e sul diritto a condizioni detentive in linea con il divieto di trattamenti inumani. Ciò comporta la necessità di valutare la congruità e chiarezza delle risposte fornite dal Magistrato di Sorveglianza su tali temi.
3.2 Circa la somministrazione del farmaco “sostitutivo” il ricorso è infondato, posto che non vi è motivo di dubitare della idoneità del farmaco somministrato al detenuto (basato sul medesimo principio attivo) e la prospettazione di indoneità dello stesso non è supportata da alcuna allegazione.
Diversamente, per quanto attiene la verifica dello spazio intramurario e la stessa allocazione del detenuto, il provvedimento impugnato non affronta realmente i temi posti nei reclami.
3.3 Va ricordato che nella sentenza pilota dell'8 gennaio 2013, caso Torreggiani, emessa dalla CEDU circa la determinazione dello spazio minimo intramurario da assicurare a ogni detenuto perché lo stato non incorra nella violazione del divieto dei trattamenti inumani e degradanti, stabilito dall'articolo 3 della Convenzione per fa salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (adottata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848) si è affermato che tale spazio non può essere inferiore a tre metri quadrati. Da ciò deriva che l'orientamento giurisprudenziale funge, allo stato, da parametro di riferimento rispetto ad una disciplina normativa obbiettivamente carente.
Con particolare riferimento agli spazi intramurari, infatti, l'articolo 6 dell'Ordinamento penitenziario prescrive, al comma primo, che "i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti devono essere di ampiezza sufficiente..." e, al comma secondo, che "i locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti".
La corrispondente disposizione dell'art. 6 del Regolamento penitenziario non contiene alcuno standard o parametro metrico in ordine alle dimensioni dei locali destinati al soggiorno dei detenuti e delle celle di pernottamento. Anche alla luce di criteri elaborati dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti, la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, mediante plurimi arresti, ha fissato canoni particolari in funzione di specifici standard dimensionali in ordine alla superficie degli spazi intramurari.
Ciò posto, adito dalla doglianza del detenuto, di sottoposizione a trattamento inumano o degradante, per essere ristretto in ambienti carcerari di ampiezza così esigua da non soddisfare i requisiti minimi della abitabilità intramuraria fissati dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, il giudice del reclamo è chiamato ad accertare e valutare la condizione di fatto della carcerazione; e tale valutazione è operata esclusivamente alla stregua dei canoni e degli standard giurisprudenziali, in difetto di alcuna disposizione normativa e tampoco legislativa o codicistica. Nel caso in esame il provvedimento si limita ad affermare che la camera detentiva è in linea con quanto prescritto dalla legge., senza precisare qual'è la sua superficie in rapporto al numero delle persone che la occupano. Si tratta di risposta non adeguata, per quanto detto sopra. Inoltre non si comprende dalla lettura del provvedimento impugnato se il detenuto ha chiesto l'allocazione in una cella per fumatori (il che renderebbe inammissibile la doglianza) o se la richiesta era di essere allocato in una cella per fumatori (come sostenuto nel ricorso). In tale seconda ipotesi la risposta fornita nel provvedimento impugnato non sarebbe adeguata, posto che anche tale aspetto è indubbiamente correlato alla tutela del diritto alla salute.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al punto concernente l'allocazione del ricorrente e rinvia per nuovo esame sul punto al Magistrato di Sorveglianza di Cosenza; rigetta nel resto il ricorso.
25-04-2015 09:15
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