Violenza sessuale continuata e pluriaggravata.
Cassazione penale sez. II
Data:
03/07/2014 ( ud. 03/07/2014 , dep.16/07/2014 )
Numero:
31206
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Ciro - Presidente -
Dott. CASUCCI Giuliano - Consigliere -
Dott. IASILLO Adriano - Consigliere -
Dott. VERGA Giovanna - Consigliere -
Dott. ALMA Marco Mari - est. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.M., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2732/13 in data 2/10/2013 della Corte di
Appello di Bologna;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. ALMA Marco Maria;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FODARONI Maria Giuseppina, che ha concluso chiedendo
dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dell'imputato, Avv. VEZZADINI Stefano, che ha
concluso riportandosi ai motivi di ricorso del quale ha chiesto
l'accoglimento.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 2/10/2013 la Corte di Appello di Bologna in parziale riforma della sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Forlì in data 12/7/2012 ha ridotto la pena inflitta a B.M. in anni 12 di reclusone ed Euro 1.800,00 di multa.
Confermando nel resto l'impugnata sentenza e condannando l'appellante al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile costituita.
Il B. era, infatti, stato condannato dal Giudice di prime cure in quanto ritenuto responsabile dei reati di violenza sessuale continuata e pluriaggravata (artt. 81 e 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., nn. 2 e 4 e art. 609 septies, comma 4, n. 4), rapina pluriaggravata (art. 628 c.p., commi 1 e 3, nn. 1 e 2), sequestro di persona (art. 605 c.p.), lesioni personali (art. 582 c.p., art. 585 c.p., comma 1, art. 576 c.p., n. 1 e art. 61 c.p., n. 2) e tentativo di violenza privata (artt. 56 e 610 c.p.) ai danni di S.E..
Fatti commessi in (OMISSIS).
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell'imputato, deducendo:
1. Inosservanza ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) dell'art. 192 c.p.p.. Contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Lamenta, in particolare, il ricorrente che vi sarebbe una carenza assoluta di prova in ordine alla violenza sessuale subita dalla persona offesa a causa dell'assenza di positivi riscontri medico - ginecologici sulla stessa.
Le dichiarazioni della persona offesa non sarebbero suffragate da alcun riscontro circa le violenze subite, nè di tale assenza di riscontri è stata fornita nell'impugnata sentenza valida argomentazione.
Ancora, secondo il ricorrente, la persona offesa avrebbe reso in più occasioni dichiarazioni non corrispondenti alla realtà (quali ad esempio quella di essere i fatti avvenuti in un ambiente privo di illuminazione ed in cui le tapparelle erano abbassate) alle quali la Corte territoriale non ha attribuito il giusto peso tenuto conto che le finestre dell'abitazione nella quali si sono svolti i fatti sono prive di oscuranti. Inoltre, non sarebbero credibili le dichiarazioni rese dalla persona offesa nella parte in cui la stessa ha sostenuto di aver creduto l'imputato di origine italiana e, ancora, con riguardo alle motivazioni per le quali sarebbero stati ritrovati i documenti della stessa presso l'abitazione del B., circostanza quest'ultima che troverebbe in realtà una più ragionevole spiegazione nel fatto che la donna abbia dimenticato i documenti personali ed altri oggetti di sua proprietà presso l'abitazione dell'imputato stesso. I lacci con i quali la donna sarebbe stata legata, come si evince delle immagini in atti, sono risultati troppo corti per poter realmente assolvere il compito attribuito agli stessi dalla presunta vittima e tale denunciata irragionevolezza non è stata in alcun modo presa in considerazione dalla Corte territoriale, con ciò determinando una lacuna argomentativa dell'impugnata sentenza.
Ancora, la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare sulle ragioni per le quali l'imputato, nonostante il tempo che avrebbe avuto a disposizione prima dell'intervento delle forze dell'ordine, non ha provveduto ad eliminare le tracce delle presunte violenze e soprusi, lasciando i coltelli posizionati accanto al letto, i lacci appoggiati sul tavolo utilizzato per consumare i pasti ed altri oggetti proprio nei posti indicati dalla persona offesa. E' poi erroneo il riferimento contenuto in sentenza al cellulare della donna che sarebbe stato ritrovato in possesso dell'imputato al momento della sua cattura così come illogicamente motivata è la sentenza laddove laconicamente afferma "sembra inoltre che il telefonino di cui la S. disponeva le fosse stato lasciato perchè privo di credito". Illogica, sempre secondo il ricorrente, appare la motivazione della sentenza impugnata laddove sostiene che la donna fu sospinta con forza ed all'improvviso in casa, mentre la stessa parte civile aveva si dichiarato che l'imputato, una volta giunti davanti al portone della propria abitazione, l'aveva improvvisamente afferrata e dopo averla colpita con uno schiaffo, l'aveva strattonata trascinandola all'interno della casa ma ciò è incompatibile con il fatto che l'imputato nell'occasione spingeva una bicicletta.
Addirittura erronea sarebbe la motivazione ove riferisce che all'atto del fermo i soggetti che inseguivano l'imputato erano chiaramente dei militari proprio perchè lo stesso venne fermato da agenti in borghese.
2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 2, lett. b).
- Mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata merita censura in punto di determinazione della pena per quanto attiene ai reati contestati all'imputato. Nella stessa non si sarebbero tenute in minimo conto le doglianze avanzate dalla difesa che avrebbero dovuto portare la Corte a ritenere concedibili le circostanze attenuanti generiche ed ogni altra possibile attenuante, eventualmente ritenendole equivalenti alle contestate aggravanti così da adeguare la pena ai fatti reato, considerata l'interessenza degli elementi soggettivi e oggettivi. Ingiustificatamente sarebbe, quindi, stata negata l'imputato la concessione delle predette circostanze attenuanti generiche ed ogni altra attenuante concedibile, quale l'attenuante del danno di particolare tenuità in riferimento alla rapina contestata trattandosi indiscutibilmente di beni di modico valore. Vi sarebbe, infine, la violazione del disposto di cui all'art. 81 c.p., comma 1, avendo la Corte territoriale ritenuto più grave il reato di violenza sessuale rispetto a quello di rapina mentre, in base all'orientamento prevalente della Corte Suprema, per determinare la violazione più grave occorre aver riguardo alla previsione normativa astratta delle pene edittali previste.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Deve osservarsi che il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito anche dopo la Novella. La modifica normativa dell'art. 606 c.p.p., lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006 n. 46 ha lasciato infatti inalterata la natura del controllo demandato la corte di Cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito.
Al giudice di legittimità resta tuttora preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è - e resta -giudice della motivazione.
Nel caso di specie va anche ricordato che con riguardo alla decisione in ordine all'odierno ricorrente ci si trova dinanzi ad una ed.
"doppia conforme" e cioè doppia pronuncia di eguale segno per cui il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione della motivazione del provvedimento di secondo grado.
Il vizio di motivazione può infatti essere fatto valere solo nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione ha riformato quella di primo grado nei punti che in questa sede ci occupano, non potendo, nel caso di ed. "doppia conforme", superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. Sez. 4^, sent. n. 19710/2009, Rv. 243636;
Sez. 1^, sent. n. 24667/2007; Sez. 2^, sent. n. 5223/2007, Rv 236130).
Nel caso in esame, invece, il giudice di appello ha esaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al Giudice per le indagini preliminari e, dopo aver preso atto delle censure dell'appellante (di fatto le medesime che vengono riproposte anche innanzi a questa Corte Suprema), è giunto, con riguardo alla posizione dell'imputato, alla medesima conclusione della sentenza di primo grado, sottolineando come dalle prove assunte è emersa l'assoluta credibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni, oltre che non essere caratterizzate da ragioni di astio nei confronti dell'imputato e, anzi, evidenziando un'iniziale (quanto umanamente comprensibile - ndr.) ritrosia nell'accusarlo, sono caratterizzate da "rilevantissimi" riscontri (puntualmente elencati in sentenza).
Attraverso il motivo in esame il ricorrente intende prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza, come quella impugnata, che appare congruamente e coerentemente motivata proprio in punto di responsabilità del ricorrente, che ha affrontato tutti i punti di doglianza oggi riproposti innanzi a questa Corte Suprema e che vi ha dato risposte congrue, assolutamente logiche e non contraddittorie.
Condivide, pertanto, in toto l'odierno Collegio il rilievo contenuto nella sentenza impugnata nella quale la Corte territoriale ha evidenziato che la difesa si sofferma su elementi di contorno, "peraltro valutati atomisticamente ... evidenziando circostanze di segno neutro o del tutto marginali che non inficiano il cuore" della credibilità della persona offesa.
In sostanza e sullo sfondo, il ricorrente, attraverso l'estrapolazione di alcuni elementi risultanti dal fascicolo processuale (come detto certamente non in grado di elidere la granitica solidità dell'ipotesi accusatoria e di mettere in dubbio l'intrinseca logicità dell'impianto motivazionale della sentenza impugnata) tenta di proporre, peraltro in via ipotetica, una ricostruzione alternativa a quella operata dai giudici di merito, legata all'esistenza di rapporti "consenzienti" tra le parti, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perchè sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (V., con riferimento a massime di esperienza alternative, Cass. Sez. 1^ sent. n. 13528 del 11.11.1998 dep. 22.12.1998 rv 212054).
Deve solo aggiungersi che, con riferimento al reato contestato al capo a), questa Corte ha affermato (ed il Collegio condivide l'assunto) che "ai fini della formazione del libero convincimento del giudice, ben può tenersi conto delle dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, sulla quale può essere, anche esclusivamente, fondata l'affermazione di colpevolezza dell'imputato, purchè la relativa valutazione sia adeguatamente motivata. E ciò vale, in particolare, proprio in tema di reati sessuali, l'accertamento dei quali passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi" (Cass. Sez. 4^, sent. n. 30422 del 21.6.2005, dep. 10.8.2005, rv 232018). In realtà, giova ribadirlo, nel caso in esame i riscontri oggettivi alle dichiarazioni della persona offesa, sono plurimi e solidi.
2. La doglianze di cui al secondo motivo di ricorso si rivelano, poi, manifestamente infondate.
Quanto alla determinazione della pena ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale, che ha peraltro ridotto la sanzione irrogata dal Giudice di prime cure, ha adeguatamente motivato evidenziando di aver tenuto conto del fatto che la condotta dell'imputato è connotata da particolare gravità e dall'assenza di ogni sintomo di resipiscenza da parte dello stesso il che non consente di giustificare il riconoscimento delle invocate attenuanti.
Tale valutazione si presenta non censurabile in punto di diritto atteso che, secondo i principi di questa Corte - condivisi dal Collegio - ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli - come è avvenuto nel caso concreto - spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo. Anche con riguardo alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, riferibile al contestato reato di rapina la Corte territoriale ha evidenziato come la predetta circostanza, nonostante che il compendio fu di "modesta entità", non può essere riconosciuta in relazione al gravissimo contesto nel quale la stessa è maturata.
Detta valutazione è corretta in punto di diritto in quanto, da un lato questa Suprema Corte ha stabilito che "la circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, ricorre solo quando il danno patrimoniale subito dalla parte offesa come conseguenza diretta e immediata del reato sia di valore economico "pressochè irrilevante" (Cass. Sez. 2^, sent. n. 15576 del 20/12/2012, dep. 04/04/2013, Rv.
255791) che è cosa diversa dalla "modesta entità" e, dall'altro, che "ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità rilevano, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata" (Cass. Sez. 6^, sent. n. 30177 del 04/06/2013, dep. 12/07/2013, Rv. 256643).
Quanto, infine, al residuo motivo di doglianza riguardante il fatto che la Corte territoriale avrebbe erroneamente operato nell'ottica di cui all'art. 81 c.p., avendo ritenuto più grave il reato di violenza sessuale rispetto a quello di rapina mentre, va ricordato che, in base all'orientamento prevalente di questa Corte Suprema, per determinare la violazione più grave occorre aver riguardo alla previsione normativa astratta delle pene edittali previste. Ciò premesso, va detto che la relativa doglianza difensiva è evidentemente frutto di una svista nella quale è caduto il ricorrente risultando testualmente dal provvedimento impugnato che il reato più grave preso in considerazione per la determinazione della pena base sulla quale operare gli aumenti per la continuazione è quello di rapina (aggravata) e non quello di violenza sessuale.
Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2014
24-08-2014 12:28
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