Una famiglia, a seguito di interruzione della fornitura, rimuove i sigilli per poter tornar a fruire della somministrazione d’acqua. No allo stato di necessità se a distanza di 50 metri dall'abitazione c'è una fontanella pubblica.-
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 settembre – 2 ottobre 2014,
n. 41069
Presidente Savani – Relatore Micheli
Ritenuto di fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Livorno (sezione distaccata di Portoferraio) assolveva F.N. e C.F. dal reato di furto aggravato loro ascritto, ritenendo ravvisabile nel caso di specie la causa di giustificazione prevista dall'art. 54 cod. pen.
I fatti si riferiscono al presunto allaccio abusivo alla rete idrica, realizzato dai due imputati dopo l'interruzione della fornitura da parte della competente Azienda Servizi Ambientali, con rimozione forzata dei sigillo ivi apposto, per poter tornare a fruire della somministrazione di acqua a servizio della abitazione da loro condotta in locazione. Secondo il giudice di merito, i fatti dovevano considerarsi pacificamente realizzati (e non negati dalla difesa dei prevenuti), ma dovevano intendersi decisive le seguenti circostanze:
dopo la nuova Interruzione della somministrazione, conseguente all'accertata rimozione del sigillo sul contatore, il Sindaco del Comune interessato aveva emesso una ordinanza con la quale disponeva l'immediato ripristino dell'allaccio, in virtù di una segnalazione dei servizi sociali che avevano evidenziato la situazione di grave disagio e precarietà in cui versava quel nucleo familiare, e del carattere di prima necessità del servizio afferente l'erogazione dell'acqua (visto che la coppia aveva due figli minori, uno dei quali neonato);
- la F. era in quel periodo in gravidanza, ed una teste aveva riferito di averla vista recarsi a prendere l'acqua presso una fontanella distante circa 50 metri, per mezzo di bottiglie da 2 litri.
Secondo il Tribunale, la presenza di bambini in tenerissima età e l'obiettiva rilevanza dell'uso di acqua per le esigenze primarie di igiene ed alimentazione della famiglia portavano a ritenere che gli imputati si fossero «trovati in presenza della necessità di salvare non solo se stessi, ma soprattutto i loro figli dal pericolo grave ed attuale di un danno consistente in rischio di malattie conseguenti alla mancanza di acqua, tant'è che l'amministrazione comunale ha ritenuto di doversi far carico del costo dell'acqua ad uso degli imputati, ripristinandone l'erogazione». Nella motivazione della sentenza, il giudicante precisava infine che la situazione di precarietà evidenziata dai servizi sociali non potesse intendersi dipendente da una libera e voluta scelta degli imputati, apparendo «verosimilmente conseguenza dell'attuale momento di crisi del mercato dei lavoro».
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze, deducendo con motivo unico l'erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 54 cod. pen.
Ad avviso del Pubblico Ministero ricorrente, detta norma non avrebbe dovuto trovare applicazione «a un caso in cui: - la mancata erogazione dell'acqua in casa era fronteggiabile [...] mediante l'accesso alla fontanella pubblica, distante soli 50 metri dall'abitazione; - ben avrebbe potuto provvedere al trasporto di un quantitativo sufficiente di acqua, se l'imputata era incinta, il suo compagno; - neppure gli Imputati hanno eccepito lo stato di necessità, essendo rimasti contumaci, di tal che nulla è dato sapere sulle condizioni economiche degli stessi, se lavorassero o fossero in una situazione di disoccupazione volontaria».
Mancando quindi la prova del requisito della inevitabilità della commissione della condotta, come pure del fatto che gli imputati versarono In una condizione di impossibilità di corrispondere il prezzo della fornitura dell'acqua, la scriminante in parola sarebbe stata erroneamente ravvisata, risultando dall'istruttoria dibattimentale che il pericolo di un danno grave fosse in concreto evitabile, sia pure «a costo di scomodità e disagio. Né rileva che il Comune si sia addossato le spese dell'acqua, poiché un conto è rispondere alle esigenze dei cittadini in difficoltà, altro giustificare la commissione di reati in situazioni fronteggiabili altrimenti».
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
Le argomentazioni adottate dal giudice di merito per ritenere configurabile la causa di giustificazione prevista dall'art. 54 cod. pen. appaiono infatti erronee sul piano della corretta applicazione della norma penale, che richiede l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo (v. Cass., Sez. VI, n. 28115 del 05/07/2012, Sottoferro, in tema di illecita occupazione di un bene immobile): gli elementi in fatto evidenziati dal Tribunale attestano invece che gli imputati non si trovarono costretti, essendo questo lo specifico addebito loro contestato, a ricorrere alla rimozione dei sigilli apposti al contatore. Per garantirsi l'approvvigionamento di acqua dopo l'interruzione della fornitura, essi potevano infatti contare su una fonte pubblica sita a distanza obiettivamente modesta dalla loro abitazione (come in concreto fecero, a prescindere dalla pur comprensibile scomodità - ma non impossibilità - di curare quell'incombenza, o dal rilievo che ci pensò la F. pur essendo incinta); ovvero, già dopo l'apposizione dei ricordati sigilli essi avrebbero potuto rivolgersi al Comune per chiedere, come effettivamente accaduto dopo la seconda interruzione conseguente all'accertamento dei reato, che l'amministrazione si facesse carico delle spese di quella somministrazione.
L'annullamento della sentenza Impugnata deve essere disposto individuando il giudice di rinvio nella Corte di appello competente per il giudizio di secondo grado, vertendosi in un caso di ricorso per saltum.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Firenze. Così deciso il 19/09/2014.
04-10-2014 12:29
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