Strage di Capaci.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 febbraio – 13 marzo 2014, n. 11957
Presidente Esposito – Relatore Rago
Fatto e diritto
1. Con ordinanza del 17/10/2013, il Tribunale del Riesame di Caltanissetta rigettò l'appello proposto da T.L. - indagato per il reato di strage aggravata (c.d. strage di (…)), fabbricazione e porto di esplosivi - avverso l'ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, in data 05/06/2013, aveva rigettato l'istanza di revoca della misura di custodia cautelare in carcere applicata al T. in data 08/04/2013.
2. Il Tribunale, ritenne che il ricorrente fosse stato attinto da gravità indiziaria in relazione ai reati di strage e fabbricazione e porto di esplosivi, sulla base del seguente compendio probatorio.
2.1. le dichiarazioni di S. : S.G. - all'epoca dei fatti facente parte di Cosa Nostra - iniziò la sua collaborazione con la giustizia nel 2008 e narrò una serie di fatti fino ad allora rimasti sconosciuti.
Il tribunale, dopo avere, innanzitutto, spiegato le ragioni per le quali lo S. doveva ritenersi intrinsecamente attendibile, ha sintetizzato le dichiarazioni rese dal collaboratore in ordine alla strage di (…), nei termini di seguito indicati.
Lo S. aveva riferito di avere partecipato alla prima fase della progettazione della strage, e cioè alla fase del reperimento e lavorazione dell'esplosivo.
Una parte dell'esplosivo, dopo essere stato recuperato da due fusti cilindrici di metallo occultati in mare a (omissis) appena sotto la superficie dell'acqua e legati con una fune, fu trasportato in un magazzino della (…) dove incominciò la lavorazione (estrazione; frantumazione; setacciatura).
Dopo poco tempo, sopraggiunsero sia "(…)" C. che T.R. , i quali, resosi conto che l'esplosivo sino a quel momento lavorato era troppo poco, decisero di incrementare il numero di persone addette a tale attività: infatti, a detta dello S. , era evidente che il C. ed il T. avevano urgenza di portare a compimento il lavoro che era stato loro commissionato.
Sempre secondo lo S. , “il C. e il T. più volte si erano recati nel posto dove avveniva la lavorazione dell'esplosivo, limitandosi sempre ad un'attività di supervisione di quanto stava avvenendo anche perché, secondo S. , all'epoca impegnati in altre operazioni per conto del gruppo”.
Terminata questa prima operazione, “si era posta la necessità di reperire altro materiale e si era proceduto, quindi, con un secondo carico questa volta, però, presso il porticciolo della (omissis) .
Anche in questa occasione, come riferito sempre dallo S. , erano stati lui, B. , P. , C. e lo stesso T. a recarsi in tale luogo con una moto ape del L.N. che, poi, era stata usata per trasportare l'esplosivo recuperato sempre a casa della zia del collaboratore [...]”; una volta terminata la lavorazione (durata venti giorni), “lo S. era stato incaricato dal C. di provvedere al trasporto dell'esplosivo, segmento della condotta alla quale il T. era rimasto estraneo”.
2.2. i riscontri oggettivi: il Tribunale ha indicato come riscontri oggettivi alle dichiarazioni dello S. :
a) il rinvenimento, da parte degli inquirenti, del magazzino presso il quale, all'inizio, fu trasportato l'esplosivo ed eseguita una parte della lavorazione;
b) le perizie eseguite nel corso dei vari processi, avevano concluso, con certezza, che la carica esplosiva impiegata per l'attentato, era costituita da due distinti tipi di esplosivo: euranfo 77, proveniente da cava (così come aveva dichiarato l'altro collaboratore Br.Gi. ), e tritolo tratto da residuati bellici come, appunto, aveva dichiarato lo S. il quale aveva anche riconosciuto in foto gli ordigni bellici come quelli del tipo da lui visti e prelevati, per la successiva lavorazione, presso (omissis) e, in un secondo momento, presso la (…).
2.3. riscontri soggettivanti: il tribunale, infine, ha indicato come riscontri a carico del ricorrente:
a) la partecipazione del T. alla c.d. missione romana: “a febbraio del 1992, R.S. , d'accordo con gli altri personaggi di spicco dell'organizzazione, decideva di inviare nella capitale, un gruppo di affiliati al fine di valutare la fattibilità del progetto [ndr: l'attentato al giudice F. ] in quella sede [ndr: cioè a (…), dove il giudice F. lavorava presso il Ministero della Giustizia]; in effetti, come hanno riferito univocamente i collaboratori di giustizia Si.Vi. e G.F. , che vi avevano preso pari personalmente, a detta fase aveva partecipato, tra gli altri, proprio il T. , partecipazione che il giudice della misura cautelare ha correttamente utilizzato come riscontro al racconto dello S. , ritenendo provata la circostanza che l'appellante nel momento in cui partecipò alla fase della lavorazione dell'esplosivo, poi impiegato per commettere l'attentato ai danni del giudice F. , fosse perfettamente a conoscenza di quale fosse l'impiego di quanto era stato ricavato dagli ordigni bellici provenienti da (omissis) e dalla (...)”;
b) la partecipazione del T. alla c.d. "strage di via (…)" per la quale è già stato condannato all'ergastolo: il Tribunale, ha osservato che “la partecipazione a detta ultima strage, avvenuta, come noto, soltanto 57 giorni dopo quella di (…), con le medesime modalità e al fine di realizzare lo stesso scopo, a cui il T. , prese parte attiva, da piena conferma, della condivisione da parte di quest'ultimo del disegno perseguito dall'organizzazione di eliminare i due magistrati [...]”;
c) il ruolo del T. in "Cosa Nostra": sul punto, il tribunale, dopo avere rilevato che il ricorrente, pacificamente - per come risultava dalle convergenti dichiarazioni rese da numerosissimi collaboratori di giustizia - era inserito, in forma organica, sin dagli anni '80, nella famiglia di (omissis) con un ruolo di spessore, avendo partecipato anche alla commissione di omicidi: quindi, era credibile che in lui l'organizzazione ponesse pieno affidamento anche nella predisposizione della strage.
3. Avverso la suddetta ordinanza, l'indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la manifesta illogicità della motivazione sotto i seguenti profili:
3.1. le dichiarazioni accusatorie rese dallo S. , erano poco caratterizzanti ed evanescenti e comunque erano state travisate perché lo S. non aveva mai riferito che il ricorrente era stato presente anche alla macinatura della seconda partita di esplosivo e cioè quella prelevata presso il porticciolo della (…); in ogni caso, le operazioni di manipolazioni dell'esplosivo erano avvenute un mese prima della strage e, quindi, fra i due suddetti fatti, non vi poteva essere alcuna correlazione;
3.2. insussistente doveva ritenersi l'elemento psicologico in quanto dalle propalazioni dello S. nulla si poteva inferire neppure a livello logico;
3.3. non vi poteva essere alcuna correlazione fra la trasferta compiuta dal ricorrente a (…) alla fine del (omissis) e finalizzata a controllare il giudice F. , sia perché non vi era alcuna contiguità temporale con la strage avvenuta mesi dopo sia perché si trattava di un episodio neutrale e come tale inidoneo a costituire riscontro alle dichiarazioni dello S. ;
3.4. il Tribunale non aveva spiegato per quale ragione la circostanza che il ricorrente fosse stato condannato, con sentenza definitiva, all'ergastolo per la strage di via (…) (in cui perì il giudice Bo. ), costituiva riscontro alla partecipazione anche alla strage di (…).
4. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.
4.1. le dichiarazioni dello S. : il ricorrente, non ha contestato l'attendibilità delle dichiarazioni rese dallo S. ; ha sostenuto, però, che quelle dichiarazioni fossero poco probanti ai fini di ritenere il suo coinvolgimento nella strage, tanto più che egli aveva partecipato solo alla lavorazione della prima partita di esplosivo essendo rimasto estraneo alla seconda.
La censura del ricorrente, tendente a minimizzare le dichiarazioni dello S. , è infondata.
Lo S. , infatti, ha riferito che:
a) il T. avrebbe dovuto essere presente al primo recupero dell'esplosivo a (omissis) , ma, siccome non era arrivato all'appuntamento, l'esplosivo fu ugualmente prelevato;
b) il T. , subito dopo che era iniziata la lavorazione dell'esplosivo, si presentò, insieme al C. , svolgendo "un'attività di supervisione", tant'è che decise, una volta che si rese conto che veniva impiegato troppo tempo, di incrementare il numero di persone addette alla lavorazione dell'esplosivo;
c) il T. , fu colui che, dopo avere appurato che la prima partita di esplosivo era insufficiente, si recò, insieme allo S. e ad altri soggetti, a prelevare altro esplosivo presso il porticciolo della (…): il ricorrente, quindi, rimase estraneo solo al trasporto di quest'ultima partita di esplosivo.
Sulla base delle suddette dichiarazioni dello S. , si può quindi affermare che:
a) il T. partecipò alla fase del reperimento e lavorazione di tutto l'esplosivo e non solo di quello prelevato a (omissis) : non è vero, quindi, che rimase estraneo al reperimento della seconda partita in quanto, relativamente a quest'ultima partita, non partecipò solo alla fase del trasporto;
b) il T. , non ha spiegato perché c'era fretta nella lavorazione dell'esplosivo, perché aveva un ruolo di supervisore, perché, infine, decise che la prima partita di esplosivo era insufficiente e che ne occorreva dell'altro;
c) la circostanza che le operazioni di manipolazioni dell'esplosivo erano avvenute un mese prima della strage, non depone a favore della tesi difensiva, per la semplice ed ovvia ragione che i preparativi per un attentato di quella fatta, non si potevano improvvisare in poco tempo. E, sul punto, è significativo che ricorrente mise fretta al gruppo di persone che stava lavorando l'esplosivo proprio perché, evidentemente, sapeva che l'esplosivo sarebbe servito da lì a poco.
4.2. la cd "missione romana": il fatto è pacifico e, come si è detto, quella "missione" era stata ordinata da R. “al fine di valutare la fattibilità del progetto” ossia l'attentato al giudice F. .
Il ricorrente, ha minimizzato e banalizzato la suddetta circostanza sostenendo che si trattava di una “condotta non punibile in quanto non sussumibile all'interno della soglia minima del tentativo penalmente rilevante”.
È evidente l'equivoco in cui cade il ricorrente.
Nessuno ha mai ipotizzato che quella "missione" costituisse una fase dell'attentato: molto più semplicemente quell'episodio costituisce un grave indizio in ordine alla conoscenza che il T. aveva avuto dell'intenzione di R. di attentare alla vita del giudice F. : altra spiegazione alternativa lo stesso ricorrente non ha saputo dare se non quella di ritenere la missione romana un elemento a valenza neutra.
Di poco momento, infine, è la reiterazione dell'obiezione secondo la quale la distanza temporale fra i due avvenimenti renderebbe il suddetto indizio irrilevante: sul punto, va ribadito che una strage di natura "epocale" come quella di via (…) non la si improvvisa in poco tempo.
4.3. la partecipazione alla strage di via (…): è vero che si tratta di due episodi differenti, ma il tribunale, ribattendo alla censura del ricorrente, ha osservato che la strage di via (…) è strettamente concatenata a quella di (…) essendo avvenuta “con le medesime modalità e al fine di realizzare lo stesso scopo” (cfr pag. 12 ordinanza): sul punto, il ricorrente, in pratica, nulla ha saputo obiettare.
4.4. Il ruolo apicale ricoperto in Cosa Nostra: il ricorrente si duole del fatto che il tribunale avrebbe desunto un grave inizio di colpevolezza dalla circostanza che egli aveva dei precedenti penali e che, quindi, tale conclusione contrasterebbe con i principi costituzionali.
Anche tale enfatica censura è fuorviante.
Il tribunale non ha affatto affermato che i precedenti penali costituiscono un indizio di colpevolezza per il diverso reato di strage: il tribunale ha solo sostenuto che il ricorrente rivestiva un ruolo apicale nell'ambito della cosca mafiosa alla quale apparteneva e che, quindi, per Cosa Nostra, era un personaggio su cui fare affidamento per le operazioni importanti. Questa considerazione, unita alla circostanza degli stretti contatti che il ricorrente aveva proprio con il gruppo di mafiosi che, successivamente, fu riconosciuto colpevole della strage, costituiva un'ulteriore “conferma che si trattava di un personaggio nel quale l'organizzazione poneva pieno affidamento e che di conseguenza ben poteva essere impiegato per commettere la strage” di via (...) (...): l'affermazione, quindi, non ha nulla di illogico né viola alcuna norma in tema di valutazione degli indizi.
5. In conclusione, la sequenza cronologica degli eventi ai quali il T. partecipò (missione romana; recupero e preparazione di un enorme quantitativo di esplosivo) antecedenti di pochi mesi alla strage di (...) (...); la partecipazione alla strage di Via (...) (...)XX che venne effettuata dopo appena 57 giorni con le stesse modalità e con le stesse finalità di quella di (...) (...); la personalità ed il ruolo svolto nell'ambito di quella parte di Cosa Nostra coinvolta in entrambe le stragi, ha portato, quindi, il Tribunale a ritenere che “il T. fosse certamente consapevole dell'enorme capacità distruttiva dell'esplosivo che veniva lavorato dallo S. e dagli altri” al cui lavoro egli sovraintendeva.
Quanto alla pretesa mancanza di indizi sull'elemento psicologico, va osservato che il Tribunale (pag. 7) ha valorizzato: a) la "missione romana" alla quale il ricorrente partecipò, indice sicuro del fatto che il T. era ben conscio del fatto che Cosa Nostra aveva deciso di eliminare il giudice F. ; b) la stretta vicinanza temporale fra la suddetta missione e la successiva fase della ricerca e lavorazione dell'ingente quantitativo di esplosivo, indice del fatto che a Cosa Nostra quell'esplosivo serviva in tempi ristretti per compiere un attentato (o più attentati) fuori dall'ordinario come, appunto, quello ai danni del giudice F. che, essendo sorvegliatissimo, richiedeva un eccezionale impiego di mezzi ed uomini.
Sotto il profilo giuridico, infine, il tribunale ha anche illustrato, in modo ineccepibile alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. 42990/2008 riv 241824) le ragioni per le quali, a tutto concedere, non è necessario che il ricorrente fosse a conoscenza della vittima designata, “essendo la strage un delitto a soggetto passivo indifferenziato (purché vi sia la volontà di uccidere almeno una persona), sebbene, alla luce delle considerazioni fatte, a giudizio di questo collegio deve ritenersi certo che egli fosse stato messo al corrente che il progetto era proprio quello di uccidere il giudice F.G. con le modalità efferate poi effettivamente impiegate” Si tratta, quindi, di una motivazione amplissima che, sia in fatto che in diritto, ha spiegato i motivi per cui il ricorrente deve ritenersi raggiunto da un compendio probatorio più che sufficiente al fini dell'emissione della misura cautelare inframuraria.
6. Il ricorso del ricorrente va, pertanto, disatteso sotto un duplice profilo.
Innanzitutto, il ricorrente, ricorrendo alla notoria tecnica retorica del frazionamento della prova al fine di meglio confutarla, non ha fatto altro che isolare i singoli indizi indicati dalla Corte a sostegno della decisione, e li ha confutati uno per uno.
Sul punto va osservato quanto segue.
È ben noto che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ai fini dell'adozione della misura cautelare personale è sufficiente un qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari "gravi indizi di colpevolezza" (art. 273/1 cod. proc. pen.) non corrispondono agli "indizi" intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall'art. 192, comma secondo, cod. proc. pen., non richiamato dall'art. 273 comma primo bis, cod. proc. pen. il quale, invece, rinvia solo ai commi 3 e 4 dell'ari:. 192 cod. proc. pen.: ex plurimis Cass. 7793/2013 Rv. 255053; Cass. 18589/2013 Rv. 255928; Cass. 26764/2013 Rv. 256731.
Nel caso di specie, tuttavia, ritiene questa Corte che gli indizi evidenziati dal Tribunale siano non solo gravi ma anche precisi e concordanti e che il tribunale si sia correttamente attenuto ai criteri di valutazione dei medesimi indicati da questa Corte di Legittimità.
Il procedimento logico di valutazione degli indizi si articola, infatti, in due distinti momenti.
Il primo, è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente, tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza.
Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall'esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto che “nella valutazione complessiva ciascun indizio (notoriamente) si somma e, di più, si integra con gli altri, talché il limite della valenza di ognuno risulta superato sicché l'incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria, e l'insieme può assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto [...] che - giova ricordare - non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica) quando sia conseguita con la rigorosità metolodogica che giustifica e sostanzia il principio del c.d. libero convincimento del giudice” (Cass., Sez. Un. 4 febbraio 1992, n. 6682, rv. 191231).
Le linee dei paradigmi valutativi della prova indiziaria sono state recentemente ribadite dalle Sezioni Unite che hanno evidenziato che il metodo di lettura unitaria e complessiva dell'intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può, perciò, prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Cass. Sez. Un. 12 luglio 2005, n. 33748, rv. 231678): in terminis sulla valutazione della prova indiziaria Cass. 42482/2013 Rv. 256967.
Ora, come si può notare da quanto illustrato, il Tribunale del Riesame ha evidenziato a carico del ricorrente un compendio costituito da una serie di indizi gravi (perché il fatto noto ha una rilevante contiguità logica con i fatti ignoti), precisi (perché il fatto noto è indiscutibile e certo) e concordanti (perché tutti gli indizi, si muovono nella stessa direzione), che, valutati unitariamente, acquistano una forza ancora maggiore contribuendo a formare un quadro probatorio che, secondo la incensurabile valutazione del Tribunale, è univoco.
Alla stregua di quanto appena detto, il tentativo del ricorrente di frazionare il quadro indiziario evidenziato dal tribunale, va, quindi, disatteso.
In secondo luogo, le censure riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute null'altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dal Tribunale il quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.
In altri termini, la ricostruzione effettuata dal tribunale e la decisione alla quale è pervenuto deve ritenersi compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilita di apprezzamento”: infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999 rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.
Sul punto va, infatti ribadito che l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev'essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze: ex plurimis SSUU 24/1999: il che, per quanto detto, non è nella fattispecie in esame.
In conclusione, l'impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
RIGETTA il ricorso e
CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda a norma dell'art. 94 ter disp. att. cod. proc. Pen..
15-03-2014 11:12
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