Reati tributari. Applicabilita' delle presunzioni del processo tributario nel processo penale.
Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-04-2014) 10-06-2014, n. 24319
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente -
Dott. MARINI Luigi - Consigliere -
Dott. SAVINO Mariapia Gaetana - Consigliere -
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
L.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 16/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del 02/04/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/04/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gioacchino Izzo, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente L.A., con sentenza del 02.04.2013, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 18.07.2011, ritenuta la sola recidiva infra-quinquennale, rideterminava la pena in anni 1 e mesi 4 di reclusione confermando nel resto.
Il Tribunale di Milano aveva dichiarato l'imputato responsabile del reato previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, perchè, in qualità di socio unico della G.B.H. Electronics, in concorso con il coimputato di D.P.P., al fine di evadere le imposte sui redditi ed iva, ometteva di presentare la dichiarazione annuale relativa all'anno 2004 con evasione d'imposta pari ad Euro 1.809.010,00 di IVA e 2.984.864,00 di IRPEG, la dichiarazione annuale relativa all'anno di imposta 2006 con conseguente evasione d'imposta pari ad Euro 244.431,00 di IVA e 403.213,00 di IRPEG, fatti commessi in Milano negli anni di imposta sopra indicati, nonchè del reato previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10, perchè, in qualità di socio unico della G.B.H. Electronics, in concorso con il coimputato D.P.P., al fine di evadere le imposte sui redditi ed iva, occultava ovvero distruggeva le scritture contabili e i documenti di cui è obbligatoria la conservazione in modo da rendere impossibile la ricostruzione dei redditi e del volume di affari, fatti commessi in (OMISSIS) anni di imposta 2004, 2005, 2006, e ritenuta la continuazione la recidiva reiterata ed infraquinquennale, lo condannava alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, con le pene accessorie.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, l'imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
a. illogicità della sentenza impugnata - errata vantazione delle risultanze istruttorie anche in riferimento all'impiego di prove inutilizzabili - errata applicazione della legge processuale penale - omessa motivazione.
Il ricorrente opera un'accurata ricostruzione dei fatti e dell'iter dell'accertamento fiscale subito, deducendo l'inutilizzabilità nell'ambito del processo penale delle presunzioni legali previste nella disciplina tributaria.
Rileva l'imputato che le indagini tributarie svolte sarebbero state particolarmente superficiali e non avrebbero consentito nemmeno di rintracciare i soggetti responsabili della società oggetto della verifica fiscale, che sono stati irreperibili per tutta la durata del procedimento amministrativo.
Vi sarebbe una totale assenza di elementi, quali fatture e dichiarazioni di persone informate, a sostegno dell'accertamento induttivo compiuto dalla Guardia di Finanza.
Secondo l'imputato la Corte avrebbe eluso le doglianze mosse in appello ed avrebbe fornito una motivazione illogica, laddove ha concluso che i beni acquistati dalla società, sarebbero stati venduti senza nemmeno passare dai magazzini della stessa società.
Il ricorrente riporta testualmente le deposizioni testimoniali, sostenendo che il loro contenuto appare diverso a quanto riportato in sentenza. Rileva l'assoluta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti, in quanto non verbalizzate e soprattutto non citate e sentite in dibattimento.
Si duole che nella sentenza impugnata sarebbero stati utilizzati elementi elaborati dalla Guardia di Finanza, che non possono essere considerati documenti e soprattutto sarebbero privi di riscontri oggettivi.
Errata sarebbe stata poi l'acquisizione al dibattimento del verbale di constatazione con la qualifica di documento, dal momento che erano emersi indizi di reità e, pertanto, lo stesso non sarebbe utilizzabile con efficacia probatoria.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
Motivi della decisione
1. I motivi sopra ricordati sono tutti manifestamente infondati e pertanto il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che il ricorrente non ha in alcun modo sottoposto ad autonoma e argomentata confutazione.
E' ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, Cannavacciuolon non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, rv. 255568; sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv.
253849; sez. 2, n. 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, rv. 230634; sez. 4, n. 15497 del 22.2.2002, Palma, rv. 221693).
3. La Corte territoriale, in merito all'eccezione di inutilizzabilità del verbale di contestazione, rileva che nello stesso, a differenza di quanto afferma il ricorrente, la rilevanza penale dei fatti emerge soltanto a conclusione della verifica amministrativa, allorquando si accerta sia l'omessa dichiarazione che l'avvenuto superamento della soglia di punibilità.
Ancora, nella sentenza impugnata si rileva che la verifica effettuata non è stata induttiva, in quanto basata sulle dichiarazioni fiscali effettuate dalle società venditrici, e si ribadisce la piena utilizzabilità della dichiarazione resa dal commercialista della società sull'avvenuta riconsegna all'imputato delle scritture contabili, perchè aveva riguardato elementi necessari all'ispezione ed acquisiti prima dell'inizio dell'indagine penale.
Va ricordato peraltro per quanto riguarda le presunzioni tributarie, che per giurisprudenza consolidata di questa Corte Suprema in materia di reati tributari, il giudice, nella formazione del suo convincimento, è certamente tenuto all'osservanza dei canoni giuridici che in linea generale governano l'acquisizione, la verifica e la valutazione dei dati probatori; e, perciò, in mancanza di elementi oggettivi, - documenti, deposizioni testimoniali ecc. - non può ignorare la cosiddetta prova logica e neppure le presunzioni secondo la normativa tributaria, avvalendosi, in tal caso, dei dati ontologici, processualmente acquisiti, con una libera valutazione ai fini probatori anche sulla base delle regole di esperienza, senza rimettersi alle valutazioni effettuate da parte degli uffici finanziari.
Ne deriva la possibilità di ricorso alla presunzione - intesa come particolare disciplina probatoria che consente, per la ricostruzione di un maggior reddito, di ritenere esistenti determinati fatti in via induttiva - quale accertamento cosiddetto induttivo espressamente facoltizzato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, in presenza di determinate violazioni di obblighi tributari: anche se, ovviamente, dovendo essere oggetto di autonoma considerazione critica da parte del giudice penale, non può essa svolgere nel processo penale quella stessa funzione "cogente" del convincimento del giudicante che, invece, riveste nella valutazione del giudice tributario (così questa sez. 3, n. 1576 del 3.5.1995, P.M. in proc. Spini, rv. 202479).
E' stato poi precisato che, ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice può fare legittimamente ricorso ai verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza ai fini della determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, nonchè ricorrere all'accertamento induttivo dell'imponibile quando le scritture contabili imposte dalla legge siano state irregolarmente tenute (così questa sez. 3, n. 5786 del 18.12.2007 dep. 6.2.2008, D'Amico, rv. 238825).
E' ancora più recentemente è stato ribadito che ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, il giudice può legittimamente avvalersi dell'accertamento induttivo dell'imponibile compiuto dagli uffici finanziari (sez. 3, n. 24811 del 28.4.2011, Rocco, rv. 250647; conf.
sez. 3 n. 28053 del 9.2.2011, Cartera, non mass.), ivi compreso quello operato mediante gli studi di settore (sez. 3, n. 40992 del 14.5.2013, Ottaiano, rv. 257619).
Costante è anche la giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo cui in tema di reati tributari il giudice può legittimamente basarsi, per accertare la penale responsabilità dell'indagato per le omesse annotazioni obbligatorie ai fini delle imposte dirette e dell'I.V.A., sull'informativa della Guardia di Finanza che abbia fatto ricorso ad una verifica delle percentuali di ricarico attraverso una indagine sui dati di mercato e ricorrere anche all'accertamento induttivo dell'imponibile quando la contabilità imposta dalla legge (come nei casi di specie) sia stata tenuta irregolarmente (sez. 3, n. 729 dei 15.12.1995 dep. 23.1.1996, Holbling, rv. 203691).
In altra pronuncia si è precisato che il giudice può legittimamente fondare il proprio convincimento, in tema di responsabilità dell'imputato per omessa annotazione di ricavi, sia sull'informativa della G.d.F. che abbia fatto riferimento a percentuali di ricarico attraverso una indagine sui dati mercato, che sull'accertamento induttivo dell'imponibile operato dall'ufficio finanziario quando la contabilità imposta dalla legge non sia stata tenuta regolarmente.
Ciò a condizione che il giudice non si limiti a constatarne l'esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in esso evidenziati, ma proceda a specifica, autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti aliunde (sez. 3, n. 1904 del 21.12.1999, dep. 21.2.2000, Zarbo, rv. 215694).
4. Parimenti si può dire che il ragionamento del giudice del merito è coerente e logico, e pertanto la motivazione è immune da vizi di legittimità, laddove afferma che la mercè era venduta senza passare dai magazzini della società, in quanto è stato accertato che si trattava di una società che effettuava, in qualità di intermediario, acquisti via internet da società estere con consegna diretta all'acquirente finale. Tale circostanza risulta essere stata accertata attraverso i dati registrati, a fini fiscali, direttamente dalle società venditrici.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2014
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