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Sentenza

Rapina pluriaggravata. Tentato omicidio pluriaggravato continuato. Danneggiamento seguito da incendio aggravato continuato. violenza privata aggravata. Associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro il patrimonio e l'incolumità pubblica e, riuniti i delitti per la continuazione, ritenuta per tutti la contestata recidiva
Rapina pluriaggravata. Tentato omicidio pluriaggravato continuato. Danneggiamento seguito da incendio aggravato continuato. violenza privata aggravata. Associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro il patrimonio e l'incolumità pubblica e, riuniti i delitti per la continuazione, ritenuta per tutti la contestata recidiva
Cassazione penale  sez. I   
Data:10/01/2014 ( ud. 10/01/2014 , dep.26/02/2014 ) 
Numero:    9284

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. CHIEFFI  Severo          -  Presidente   -                     
    Dott. ZAMPETTI Umberto         -  Consigliere  -                     
    Dott. CAIAZZO  Luigi Pietro    -  Consigliere  -                     
    Dott. CASSANO  Margherita -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. CASA     Filippo         -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                   L.F.P. N. IL (OMISSIS); 
                  F.E. N. IL (OMISSIS); 
              V.S. N. IL (OMISSIS); 
                P.G. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la  sentenza  n.  3076/2011 CORTE APPELLO  di  BOLOGNA,  del 
    01/10/2012; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 10/01/2014 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. MARGHERITA CASSANO; 
    Udito  il Procuratore Generale in persona del Dott. MAZZOTTA G.,  che 
    ha  concluso per l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio 
    limitatamente  al  delitto di cui all'art. 416 c.p.  con  conseguente 
    rideterminazione della pena e il rigetto nel resto dei ricorsi  degli 
    imputati; 
    Uditi   i   difensori  avv.  Spigarelli  e  Collalto  per       L., 
    Cristofori e Gianzi per        F., Aricò e Perrone per       P., 
    Coppi   e   Cristofori  per       V.,  che  hanno   chiesto   tutti 
    l'accoglimento dei ricorsi e l'annullamento della sentenza impugnata. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. L'1 ottobre 2012 la Corte d'appello di Bologna confermava la sentenza emessa il 20 gennaio 2011 dal locale Tribunale che aveva dichiarato F.E., L.F.P., P. G., V.S. colpevoli dei delitti, contestati in forma concorsuale, di rapina pluriaggravata (art. 110, art. 628, comma 3, ipotesi prima, seconda, terza), tentato omicidio pluriaggravato continuato (art. 61 c.p., n. 2, art. 81 cpv. c.p., art. 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 56 c.p., art. 575 c.p., art. 576 c.p., n. 1, art. 577 c.p., n. 3), danneggiamento seguito da incendio aggravato continuato (art. 61 c.p., n. 2, art. 81 cpv. c.p., art. 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 424 c.p.), violenza privata aggravata (art. 61 c.p., n. 2, art. 81 cpv. c.p., art. 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 610 c.p.), ricettazione aggravata continuata (art. 61 c.p., n. 2, art. 81 cpv. c.p., art. 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 648 c.p.), associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro il patrimonio e l'incolumità pubblica e, riuniti i delitti per la continuazione, ritenuta per tutti la contestata recidiva (infraquinquennale per L.; specifica, reiterata, infraquinquennale per F. e P., reiterata per V.S.), aveva condannato F.E. e V. S. alla pena di venti anni e due mesi di reclusione ciascuno, L.F.P. alla pena di venti anni e otto mesi di reclusione, P.G. alla pena di venti anni e dieci mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, dell'interdizione legale per il tempo della pena e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

    2. Da entrambe le sentenze emergeva la seguente ricostruzione dei fatti.

    Il 30 giugno 2008, intorno alle ore 21, al km 32.700 dell'autostrada del sole "A 14" direzione nord, poco oltre il casello di Castel San Pietro Terme, un gruppo di persone armate e travisate assaltava due furgoni blindati, rispettivamente delle ditte "Battistolli" e "Coopservice", impadronendosi di denaro e assegni per un ammontare pari a oltre tremilioniottantamila Euro, trasportati dal furgone della ditta "Battistolli", la cui lamiera veniva tagliata mediante una moto troncatrice. Il blocco del sistema di apertura impediva, invece, l'accesso al furgone della ditta "Coopeservice".

    I rapinatori viaggiavano a bordo di cinque mezzi rubati e di due veicoli "puliti", questi ultimi utilizzati per la fuga dopo la consumazione dell'azione.

    Alcune auto (una "Lancia Thema" e una "BMW") viaggiavano immediatamente dietro i due furgoni blindati, mentre altre due (una "Lancia Thema" e una "Mercedes"), munite di lampeggiante, procedevano di poco distanziate e si occupavano, una volta accesi i quattro indicatori di posizione,, di fermare, mediante l'ausilio di una paletta simile a quelle in dotazione alle forze dell'ordine, il traffico dei veicoli che sopraggiungevano alle spalle dei due furgoni portavalori, ponendosi trasversalmente rispetto all'asso stradale all'altezza del km 34 del medesimo tratto autostradale. Dalle due vetture scendevano quattro individui, dotati di giubbotti antiproiettile e travisati con passamontagna e sottocasco che lasciavano scoperti solo occhi e bocca, i quali, con la minaccia di armi a canna lunga del tipo mitragliatore, si facevano consegnare dagli occupanti dei diversi mezzi bloccati le rispettive chiavi, che venivano gettate in un fosso adiacente o sull'opposta carreggiata sì da impedirne il rapido recupero. In tale contesto gli assalitori non esitavano a colpire con il calcio delle armi il parabrezza delle auto i cui occupanti esitavano ad accedere alle loro richieste.

    Quindi, i quattro uomini davano alle fiamme, dopo averla cosparsa di benzina, una delle due macchine usate per bloccare il traffico e si allontanavano con l'altra in direzione dei furgoni portavalori.

    Contemporaneamente la "Lancia Thema" e la "BMW" affiancavano i due furgoni blindati portavalori, che viaggiavano ad una velocità compresa tra gli 80 e i 100 km orari. Gli occupanti delle due auto iniziavano a sparare a raffica - sporgendosi dai finestrini - con fucili mitragliatoli "kalashnikov" alla fiancata dei mezzi per poi concentrarsi verso gli pneumatici e il vano motore, continuando a fare fuoco mentre con le proprie autovetture superavano i furgoni, i quali erano costretti ad arrestarsi poco dopo. Gli aggressori, almeno sei persone armate, travisate e dotate anch'esse di giubbotti antiproiettile, scendevano, quindi, dalle vetture e proseguivano l'attacco esplodendo un elevatissimo numero di colpi contro le guardie giurate, bloccate all'interno dei furgoni. Quattro uomini, tutti in possesso di armi lunghe tipo mitragliatore e uno di una pistola, accerchiavano il furgone della ditta "Coopservice" ed esplodevano dalle rispettive posizioni ad altezza d'uomo numerosi colpi che provocavano gravi danni al parabrezza, incrinandolo, e ferendo le guardie giurate, raggiunte dalla schegge.

    Gli uomini che viaggiavano sul furgone della ditta "Coopservice" si arrendevano e, deposte le armi, scendevano dal mezzo. Soltanto in questo momento gli assalitori cessavano il fuoco e, sempre sotto la minaccia delle armi, sottraevano alle guardie giurate le armi, i giubbotti antiproiettile, i telefoni cellulari, i portafogli e le costringevano a stendersi al suolo. Come in precedenza accennato, il blocco del sistema di apertura impediva ai rapinatori di impossessarsi dei valori custoditi nel furgone.

    Il mezzo della ditta "Battistolli" veniva attaccato, a sua volta, da due uomini, travisati e dotati di armi lunghe che esplodevano numerosi colpi d'arma da fuoco in direzione delle guardie giurate, rimaste chiuse all'interno del mezzo, da cui si rifiutavano di scendere. I colpi venivano esplosi in direzione del parabrezza;

    cessavano quando gli occupanti si chinavano verso terra per poi riprendere immediatamente quando le guardie accennavano a rialzare la testa. Nel frattempo il vano portavalori veniva tagliato e svuotato del suo contenuto.

    Terminato l'assalto, i rapinatori si allontanavano con i mezzi rubati che, eccezion fatta per un furgone "Fiat Ducato", venivano poco dopo abbandonati e dati alle fiamme in corrispondenza di un cavalcavia.

    Quindi proseguivano la fuga con le autovetture "pulite", una delle quali usciva al casello di Bologna Arcoveggio insieme al furgone "Fiat Ducato", facente parte del gruppo di mezzi rubati.

    Il giorno successivo, ossia l'1 luglio 2008, anche tale furgone veniva dato alle fiamme e rinvenuto in via Benazza a Bologna a seguito della segnalazione di un cittadino. Il materiale custodito all'interno del veicolo del mezzo, costituito da indumenti, passamontagna, guanti in parte integri, materiale plastico e cartaceo non andava completamente combusto tant'è che, previa catalogazione dei reperti, veniva sottoposto a rilievi fotografici e tecnici e ad accertamenti volti a rilevare eventuali impronte digitali.

    3. Entrambe le Corti territoriali evidenziavano che l'identificazione degli odierni ricorrenti quali responsabili dei delitti in precedenza indicati si fondava sulle rilevazioni dei dati del sistema di controllo della velocità "tutor", sull'analisi delle immagini registrate dalle telecamere di controllo del traffico nel tratto autostradale compreso tra Rimini e Bologna Arcoveggio, sull'esame incrociato di tali dati con le risultanze dei tabulati telefonici, delle tessere Viacard, dei relativi ticket e del sistema "telepass" interessanti il medesimo tratto autostradale.

    3.1. Dal complesso di questi atti risultava che il 30 giugno 2008, in orario compatibile con i tempi d'assalto e nel tratto autostradale percorso dai furgoni portavalori (entrambi dotati di sistema g.p.s.) transitava in strettissima sequenza spazio-temporale un gruppo di veicoli che in parte precedevano e in parte seguivano i due furgoni portavalori. Il gruppo marciava compatto, senza soluzione di continuità, ed era composto dalle quattro autovetture rubate utilizzate nell'assalto e da due auto, una "Renault Clio" intestata a Lo.Sa. (sorella di L.F.P.) e una "Ford Focus", intestata a S.M. (fratello di Pa., pregiudicato della zona di Cerignola). Queste ultime due auto precedevano di pochi istanti i due furgoni portavalori assaltati e si collocavano in testa ad un corteo di mezzi composto dai due blindati e chiuso dagli altri veicoli rubati, usati per la commissione della rapina.

    La "Lancia Thema" data alle fiamme il giorno della rapina e facente parte del convoglio di veicoli al seguito dei due furgoni blindati portavalori aveva attivato, il 23 giugno 2008 (ossia in epoca successiva al furto dell'auto e antecedente alla rapina), il "telepass" installato sul veicolo, segnalando l'ingresso al casello di Castel San Pietro Terme, benchè fosse stato prelevato il biglietto per il pagamento ordinario. In questa occasione la "Lancia Thema" usciva dall'autostrada al casello di Rimini Nord, pagando il pedaggio con la tessera "viacard" a scalare recante il n. (OMISSIS).

    In orario compatibile con la presenza della suddetta auto e nella stessa zona, ossia nel tratto compreso tra i caselli autostradali di Castel San Pietro e Rimini nord, altri quattro veicoli pagavano il pedaggio autostradale con tessere "viacard" a scalare aventi numeri consequenziali (OMISSIS). Insieme con la "Lancia Thema" entravano, quindi, in autostrada a Rimini nord, alle ore 20,11 altri veicoli che uscivano al casello di Castel San Pietro a breve distanza l'uno dall'altro, rientravano immediatamente dopo in autostrada dallo stesso casello e uscivano a quello di Rimini nord contemporaneamente. Viceversa, l'auto utilizzante la tessera "viacard" (OMISSIS) (in uso a L.) partiva prima, entrava a Rimini nord alle 19,17, seguiva, tallonandoli, i furgoni portavalori da Cesena a Bologna San Lazzaro per poi compiere il viaggio di ritorno, rientrando al casello di Bologna San Lazzaro e uscendo al casello di Rimini nord, dove si ricongiungeva con gli altri mezzi.

    Verificando i dati registrati dai sistemai g.p.s. installati sui furgoni blindati, emergeva che il 23 giugno 2008 i cinque veicoli avevano compiuto lo stesso tragitto dei furgoni portavalori, entrati a Cesena e usciti a Castel san Pietro secondo la stessa direzione di marcia, ma entrando in ritardo rispetto a quelli. Dai dati "telepass" risultava che i portavalori entravano in autostrada alle ore 20,02, seguiti dall'auto che usava la tessera "viacard" (OMISSIS) (in uso a L.).

    L'elemento che collegava i movimenti del 23 giugno 2008 con quelli del successivo 30 giugno era rappresentato dalla riscontrata presenza della "Lancia Thema" nel gruppo di auto componenti il convoglio.

    Infatti, la "Lancia Thema" entrata la casello di Rimini nord il 23 giugno 2008 alle ore 20,11 insieme con gli altri quattro veicoli, utilizzando la tessera "viacard" (OMISSIS) era la stessa poi data alle fiamme nel corso della rapina del 30 giugno 2008.

    Dalle indagini svolte in relazione ai fatti del 30 giugno 2008 emergeva che, nel lasso di tempo compreso tra le ore 19,52 e le ore 19,54, entrava in autostrada, in rapida successione, un gruppo di veicoli.

    L'analisi dei biglietti rilasciati al casello e delle tessere "viacard" permetteva di stabilire che la tessera (OMISSIS) era abbinata, in entrata, ad un'autovettura, mentre all'uscita era abbinata ad un furgone e, dall'altro, che la tessera (OMISSIS) non compariva il 23 giugno 2008, bensì solo il 30 giugno 2008.. Entrambe le tessere risultavano utilizzate, in data 30 giugno 2008, per pagare il pedaggio autostradale al casello di Bologna Arcoveggio e risultavano acquistate presso la stessa area di servizio (Sillaro est).

    Risultava, inoltre, che la tessera "viacard" (OMISSIS), il 26 giugno 2008, veniva utilizzata da una delle vetture componenti il gruppo che effettuava il sopralluogo del 23 giugno 2008, nonchè il 26 giugno 2008 per pagare il pedaggio di un percorso compreso tra i caselli autostradali di Termoli e Cerignola e per saldare il pedaggio autostradale Cerignola est-Rimini, risultando in quell'occasione associata alla "Renault Clio" intestata a Lo.Sa..

    La tessera (OMISSIS), utilizzata da uno dei veicoli del gruppo che il 23 giugno 2008 percorreva gli stessi tragitti dei furgoni portavalori, risultava avere effettuato svariati percorsi tra il 20 e il 24 settembre tra i caselli autostradali di Rimini nord, Rimini sud, Imola e Casalecchio. A tale tessera veniva associata l'auto "Renault Clio" (diversa da quella intestata a Lo.Sa.) che, fino al 31 luglio 2008, era di proprietà di T.G., detta C., moglie di L.F.P. e, successivamente, veniva ceduta a M.D., padre di M.F..

    Sulla base di questi elementi i giudici di merito argomentavano che le tessere "viacard" con numeri immediatamente sequenziali - (OMISSIS) - erano state utilizzate nel seguente modo: la prima dalla "Lancia Thema" rubata, presente sia in occasione del sopralluogo del 23 giugno che della rapina del 30 giugno 2008, la seconda era stata impiegata il 23 giugno 2008 sia per il percorso di sopralluogo tra Rimini nord e Castel San Pietro (e ritorno) e, il 26 giugno 2008, per il percorso tra Termoli e Cerignola; la terza tessera era stata usata dal veicolo che, subito dopo la rapina, usciva a Bologna Arcoveggio insieme al furgone Fiat Ducato.

    3.2. L'analisi dei dati registrati dalle celle telefoniche irradianti il tratto autostradale teatro della rapina, l'ingresso e l'uscita dei furgoni portavalori e il luogo ove era stato dato alle fiamme il furgone "Fiat Ducato" permetteva, a sua volta, di individuare tre utenze ((OMISSIS)) attivate da persone di Cerignola presso il medesimo "dealer" di Barletta; queste tre utenze, il 23 e il 30 giugno 2008, realizzavano un traffico a "circuito chiuso", ossia comunicavano soltanto fra di loro e venivano utilizzate esclusivamente in tali date.

    Dalle indagini esperite emergeva, inoltre, che tra il 16 e il 19 giugno 2008 venivano attivate altre quattro utenze ( (OMISSIS)) presso il "dealer" Trilogia di Rimini, posto a meno di un chilometro di distanza da una di quelle che, ad avviso dei giudici di merito, costituiva una delle basi logistiche del gruppo. Le quattro utenze erano tutte intestate ad un cittadino senegalese ( N.C.).

    L'utenza (OMISSIS) sia in data 16 giugno 2008 (subito dopo la sua attivazione) che il 23 giugno 2008 (data della prova generale dell'assalto) risultava localizzata rispettivamente presso la sede della ditta "Battistolli" di Cesena e lungo il percorso seguito dai furgoni blindati sino a Bologna.

    3.3.L'analisi congiunta dei dati dei tabulati telefonici e delle tessere "viacard" evidenziava che le autovetture che componevano il convoglio erano partite sia in data 23 giugno che il 30 giugno 2008 da Rimini, città dove avevano fatto ritorno il 23 giugno 2008.

    3.4. L'analisi dei tabulati, delle celle agganciate dalle utenze telefoniche mobili, il contenuto dei colloqui captati, i servizi di osservazione e pedinamento portavano all'individuazione di due basi logistiche: un appartamento posto in via (OMISSIS) a Rimini, di proprietà di V.A., che risultava locato, con contratto del 17 marzo 2008, a M.F. e, successivamente, con contratto del 4 giugno 2008 (integrato il 15 luglio 2008) a C. M.. A dibattimento V.A. riconosceva in aula L. come la persona che, con il nome di C.M., aveva affittato e utilizzava l'appartamento anche quando questo risultava affittato a M.F. e che egli aveva reiteratamente visto presso la suddetta abitazione. Con maggiori perplessità indicava, invece, in F. il soggetto a lui noto come M.F..

    La seconda base logistica era costituita dall'appartamento di via (OMISSIS) a Bologna, preso in affitto da G.F. (separatamente giudicato) che, durante le trattative per la stipula del contratto, era accompagnato da V.S..

    A seguito dell'arresto, in data 22 ottobre 2008, di S.P., persona vista in più occasioni in compagnia di L.F. P. e presente presso gli appartamenti di via (OMISSIS) a Rimini e di via (OMISSIS) a Bologna e del rinvenimento in suo possesso (tra l'altro) di tre mazzi di chiavi con telecomando gli inquirenti giungevano all'individuazione di due garage in via (OMISSIS) a Bologna. Quello situato al n. (OMISSIS), i cui utilizzatori avevano sostituito la serratura originaria con una diversa, veniva aperto con il telecomando trovato in possesso di S.P.. All'interno di esso venivano trovati un piede di porco, un'"Audi" rubata il 4 marzo 2008 a Moglia (Mantova), una "Mercedes" sottratta il 10 giugno 2008 a Cologne (Brescia); entrambe le auto, "diesel", presentavano targhe modificate con nastro isolante per falsarne i dati originali e contenevano tessere "viacard" che risultavano utilizzate per pagare il pedaggio autostradale in occasione del tentativo di rapina del 6 ottobre 2008 ai danni di un furgone portavalori della ditta "Civis Augustus" di Rimini e due bottiglie di benzina.

    Nell'altro garage venivano scoperte numerose armi, risultate compatibili con quelle che avevano sparato in occasione della rapina del 30 giugno 2008, nonchè nel corso di una rapina avvenuta il 9 giugno 2008 a Bergamo ai danni della ditta "B4", cinque giubbotti antiproiettile, uno dei quali (marca "Madmax" con matricola n. 51 scritta a pennarello) risultava sottratto alle guardie giurate durante la rapina del 30 giugno 2008 e l'altro ad una guardia giurata nel corso della rapina avvenuta a Bergamo il 9 giugno 2008.

    Venivano altresì rinvenute e sequestrate due mototroncatrici a scoppio, un lampeggiante blu del tipo utilizzato dalle forze dell'ordine, una radio ricetrasmittente portatile della Polizia di Stato sintonizzata sulle frequenze del centro autostrade Reggio Emilia e relativo caricabatterie, nonchè la serratura originaria del garage.

    Le intercettazioni svolte e le testimonianze acquisite consentivano di accertare che l'abitazione di via (OMISSIS) e i due garage di via (OMISSIS) logistiche erano stati oggetto di quattro tentativi di accesso al fine di recuperare quanto ivi custodito.

    Un primo tentativo di accesso all'appartamento di via (OMISSIS) da parte di G.F. falliva a causa della sostituzione (avvenuta il 23 ottobre 2008) della chiave del cancello di ingresso.

    A tale riguardo veniva richiamata la testimonianza dell'agente immobiliare G.A., cui G.F. si era rivolto per affittare appartamento e garage "ad una squadra di muratori che dovevano fare lavori edili". Il teste riferiva che, nella settimana tra il 26 e il 31 ottobre 2008, era stato contattato telefonicamente da G.F. il quale lamentava di avere avuto problemi con l'appartamento locato a causa della rottura di un cancello d'ingresso. La richiesta non aveva esito, in quanto G.A. aveva invitato G.F. a rivolgersi al proprietario, c.m..

    Un secondo tentativo di accesso presso il medesimo appartamento, coordinato da P.G., L.F.P., F. E., avveniva il 28 ottobre 2008, data in cui le forze dell'ordine intervenivano a seguito della segnalazione di una vicina di casa e trovavano sul posto il fabbro S.R., intervenuto sul posto dopo una serie di contatti telefonici tra P.G., L.F.P., F.E., l'autotrasportatore T.V. (separatamente giudicato), Mu.To. (separatamente giudicato e condannato con sentenza del Tribunale di Bologna del 21 dicembre 2009). S.E. riferiva di essere stato contattato telefonicamente da un privato che richiedeva il suo intervento, perchè non si apriva il cancello di un appartamento. In proposito i giudici di merito evidenziavano che gli inquirenti, con il consenso del proprietario, avevano provveduto a sostituire la serratura esterna, tant'è che G.F., con le chiavi in suo possesso, non era riuscito ad aprirla. Dalla medesima deposizione di S.R. risultava, inoltre che ad attenderlo c'erano due individui, uno dei quali lo aveva accompagnato all'abitazione, mentre l'altro era rimasto ad aspettare per strada.

    Un terzo tentativo di accesso all'abitazione di via (OMISSIS) si verificava il 29 ottobre 2008 ad opera di G.F. e di N.G. che, all'uopo, si erano rivolti al fabbro C. E.. La perquisizione dell'appartamento consentiva il rinvenimento di spadini e centraline elettroniche strumentali all'accensione di auto rubate e, nel motore della lavatrice, di una pistola Franchi, mod. "Llama", cal. 38), risultata sottratta alla guardia giurata D.L.A. in occasione dell'assalto ad un altro furgone portavalori, avvenuto il 2 aprile 2004. G. F. e N.G. venivano arrestati in flagranza di reato e separatamente giudicati.

    I tabulati telefonici acquisiti e le attività di intercettazione permettevano di rilevare plurimi tentativi di chiamata della sua utenza cellulare da cabine telefoniche poste nelle zone di Anzola Emilia, Casalecchio di Reno, Bologna, Carpi, Stradella Scuola Ganaceto. Le intercettazioni dei colloqui "a cornetta aperta" consentivano di identificare i chiamanti in L.F.P. e P.G..

    Il 30 ottobre 2008 si verificava un tentativo di accesso ai garage di via (OMISSIS) a Bologna dopo una serie di frenetici contatti intercorsi tra L., P., F. i quali, tramite R.S. - gestore di un ristorante a Carpi e vecchio conoscente di L. - contattavano La.Do.

    (arrestato in flagranza di reato e separatamente giudicato) che, avendo la disponibilità di un furgone, era in grado di trasportare quanto custodito nei suddetti luoghi. R.S., nel corso dell'esame, confermava di essere stato contattato telefonicamente da L. nei giorni compresi tra il 27 e il 30 ottobre 2008, secondo quanto emergente anche dal contenuto dei colloqui captati.

    Nei due garage sotterranei di via (OMISSIS) a Bologna, posti rispettivamente al n. (OMISSIS) e situati a cinquecento metri di distanza dall'appartamento di via (OMISSIS) - le cui chiavi e telecomandi erano nella materiale disponibilità di S.P. all'atto dell'arresto - e anch'essi formalmente locati a G. F., venivano trovati i seguenti oggetti. Nel garage contrassegnato con il numero civico n. (OMISSIS), preso in locazione da G.F. il 30 luglio 2008, venivano rinvenute un'"Audi A 4", rubata a Moglia (Mantova) il 4 marzo 2008, una "Mercedes E 420", rubata a Cologne il 10 giugno 2008 (che si apriva e avviava con la chiave rinvenuta nel marsupio di S.P. all'atto del suo arresto), entrambe alimentate a diesel e con targhe modificate con nastro isolante per falsarne i dati originali, al cui interno venivano rinvenute due tessere "viacard" usate per pagare il pedaggio dei mezzi usati in occasione del tentativo di rapina del 6 ottobre 2008 ai danni di un furgone portavalori della ditta "Civis Augustus" di Rimini, nonchè due bottiglie contenenti benzina. Nell'altro garage venivano scoperte numerose armi, risultate compatibili con quelle che avevano sparato in occasione della rapina del 30 giugno 2008, nonchè nel corso di una rapina avvenuta il 9 giugno 2008 a Bergamo ai danni della ditta "B4", cinque giubbotti antiproiettile, uno dei quali (marca "Madmax" con matricola n. 51 scritta a pennarello) sottratto alle guardie giurate durante la rapina del 30 giugno 2008 e un altro ad una guardia giurata in occasione della rapina avvenuta a Bergamo il 9 giugno 2008.

    Venivano altresì rinvenute e sequestrate due mototroncatrici a scoppio, un lampeggiante blu del tipo utilizzato dalle forze dell'ordine, una radio ricetrasmittente portatile della Polizia di Stato sintonizzata sulle frequenze del centro autostrade Reggio Emilia e relativo caricabatterie, nonchè la serratura originaria del garage che era stata sostituita con un'altra diversa.

    4.1 giudici ritenevano provata la responsabilità degli imputati sulla base dei seguenti elementi.

    Con riferimento alla posizione di V.S. i giudici di merito valorizzavano le risultanze degli accertamenti tecnici e della perizia svolti sul materiale repertato in occasione dell'intervento, volto a spegnere le fiamme appiccate al furgone "Fiat Ducato" rubato, rinvenuto l'1 luglio 2008. Nell'ambito del reperto 10/A - costituito da un blocco di materiale semicombusto al cui interno erano presenti porzioni di buste di sicurezza e materiale cartaceo costituito da buste e distinte e raggruppato all'esterno del furgone - veniva rilevata su una busta di nylon, completamente "pirolizzata" all'esterno, e, quindi, non attinta direttamente da temperature elevate tali da provocarne la deformazione e idonea a preservare il c.d. "noccioli interno", un'impronta dattiloscopica che, comparata con la documentazione dattiloscopica estrapolata dal sistema "A.P.F.I.S." e, in particolare con due fotosegnalamenti del Commissariato P.S. di Cerignola, rispettivamente in data 13 dicembre 2008 e 19 maggio 2009, consentiva di identificare il frammento con il dito medio della mano destra dell'imputato V.S., con "piena similitudine del disegno papillare (figura di tipo adelta) sia nell'andamento che nella morfologia delle creste". Venivano, inoltre, riscontrate "diciotto minuzie caratteristiche uguali per forma e posizione in assenza di difformità" (cfr. perizia dattiloscopica va.).

    Le Corti territoriali richiamavano, inoltre, il contenuto delle testimonianze rese dagli agenti immobiliari G.A. e Gh., evidenzianti la presenza, nel luglio 2008, di V. (oltre che di altre persone) in compagnia di G.F. in occasione degli incontri tenuti in vista dell'affitto di un appartamento e di un garage e conclusisi con la stipula, a fine luglio 2008, del contratto di locazione, a nome di G.F., dell'appartamento di via (OMISSIS), in Bologna.

    I giudici valorizzavano, inoltre, le risultanze dei servizi di osservazione e pedinamento svolti da cui risultava che l'appartamento di via (OMISSIS) era nella disponibilità anche di L. F.P., visto entrare all'interno di esso il 20 ottobre 2008.

    A riprova dei rapporti intrattenuti da V.S. con G. F. venivano richiamati i rilevamenti effettuati tramite il sistema g.p.s. installato sull'auto di G.F. che, letti congiuntamente ai tabulati dell'utenza in uso a V., consentivano di affermare che l'utenza in uso a V.S. si trovava a bordo dell'auto di G.F. il 22 ottobre 2008 in occasione di un tragitto di andata e ritorno da Bologna al casello di Faenza e che V. aveva accompagnato S.P., con l'auto di G.F., sull'autostrada A 14 per poi lasciarlo presso un'area di sosta compresa tra i caselli di Borgo San Lazzaro e Faenza, dove poi S.P. veniva prelevato da Pr.Ro.

    (cugino di P.G.) che viaggiava su un'auto "Focus" intestata alla sua convivente, C.M.M.. All'atto dell'arresto, in possesso di S.P. venivano trovati un telefono cellulare sulla cui rubrica era memorizzata, in corrispondenza del nominativo "SAV", l'utenza n. (OMISSIS), intestata a Fa.Gi., più volte contattata da S.P. poco dopo la sua fuga del 20 ottobre 2008. La sentenza impugnata argomentava, inoltre, che, il 21 e il 22 ottobre 2008 l'utenza di S.P. agganciava più volte la cella corrispondente a via Capramozza a Bologna (nel cui raggio di irradiazione risiedeva I. V.M., sentimentalmente legata a V.S.). La medesima utenza, intestata formalmente a Fa.Gi., ma di fatto in uso a V.S. risultava annotata su di un foglietto, trovato anch'esso in possesso di S.P. il 22 ottobre 2008; accanto ad essa risultava scritto il nome " V. S.". I giudici di merito osservavano, sulla base delle deposizioni rese dagli ufficiali di polizia giudiziaria Na.

    e Ga. e degli accertamenti svolti, che tale utenza transitava sull'IMEI di un telefono cellulare da cui passavano anche altre utenza intestate a V.S..

    Inoltre, tra il 9 e il 31 luglio 2008, emergevano contemporanei spostamenti dell'utenza in uso a V.S. e dell'auto di G.F. da Bologna a Cerignola, luogo di residenza di V.S.. In occasione dell'arresto di G.F., in disponibilità di quest'ultimo veniva rinvenuto un telefono cellulare nella cui rubrica era memorizzata un'utenza accanto al nominativo " S. Wind".

    Particolare rilievo veniva, inoltre, attribuito all'analisi dei tabulati delle utenze riconducibili a V.S. e delle celle agganciate durante gli spostamenti delle stesse. Da tali atti risultava che il 30 giugno 2008, tra le ore 16,52 e le ore 18,53, dalle cabine telefoniche pubbliche poste nelle aree di servizio Rubicone est ed ovest - tra loro collegate da un cavalcavia - partivano sei chiamate, quattro dirette all'utenza in uso a V. S. e due a quella in uso a G.F..

    Relativamente alla posizione di F.E. i giudici di merito ravvisavano un quadro di gravità e univocità probatoria al di là di ogni ragionevole dubbio sulla base delle seguenti risultanze.

    In occasione del sopralluogo effettuato l'1 luglio 2008 a seguito della segnalazione del furgone "Fiat Ducato" dato alle fiamme, veniva rinvenuto un guanto nero, di materiale elastico, parzialmente integro (reperto 19 g del verbale di sopralluogo). Gli accertamenti tecnici svolti, con metodi scientifici accreditati anche a livello internazionale e mediante il ricorso alle tecnologie e alle attrezzature più sofisticate, dalla dott.ssa Ca., in servizio presso la sezione di genetica forense del Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica di Roma, consentivano di estrapolare dal guanto un profilo genetico che, anche all'esito della comparazione con i test alcolemici di F. trasmessi dal Commissariato di Cerignola e immediatamente posti a disposizione della Polizia scientifica, risultavano corrispondenti a quelli dell'imputato per quindici marcatori e, quindi, con criteri di assai elevata probabilità scientifica, prossima alla certezza.

    I giudici di merito valorizzavano, inoltre, ai fini dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato il contenuto delle intercettazioni telefoniche, evidenzianti che, dopo l'arresto di S.P., era proprio F. colui che veniva richiesto di recarsi a Bologna, perchè in possesso delle chiavi di accesso ai garage da cui doveva essere prelevato il materiale ivi custodito e che a Bologna era atteso dall'autotrasportatore T.V., da lui contattato per procedere alle operazioni di carico e di trasporto del materiale da prelevare.

    Veniva, altresì, richiamato l'esito delle perizie trascrittiva e fonica dalle quali emergeva che era F. uno dei tre interlocutori che parlavano di sottofondo nel corso della telefonata del 29 ottobre 2008, n. 34 effettuata al cellulare di G. F., nel frattempo tratto in arresto.

    L'analisi dei tabulati delle utenze in uso all'imputato e delle celle telefoniche da esse interessate mettevano in luce la circostanza che, nelle date del 23, 26, 30 giugno 2008 e 1 luglio 2008, si registrava una consistente riduzione dei contatti giornalieri di solito molto intensi (nel periodo 1 gennaio 2008-31 ottobre 20078 venivano registrate ben 1623 contatti dell'utenza in uso a F. che transitava su un unico IMEI, secondo quanto riferito dal teste So.), oltre che un'inspiegabile costante presenza nell'arco dell'intera giornata presso l'autoparco "Greenpark" di Cerignola, dove F. collaborava, che non trovava riscontro in improvvise esigenze di lavoro e neppure nella testimonianza di St.

    C. (datore di lavoro e cugino di F.). Quest'ultimo riferiva, infatti, che non era necessaria una costante presenza presso il suddetto luogo e che era sufficiente, per le necessità inerenti al lavoro, mantenere costantemente acceso l'apparecchio cellulare. Ad avviso dei giudici di merito tale circostanza dimostrava l'adozione, anche da parte di F., del modus operandi tipico degli altri soggetti accusati dell'assalto il 30 giugno 2008 dei furgoni blindati portavalori, consistente nel non utilizzo delle utenze personali o familiari in occasione dell'esecuzione di reati o delle attività ad esse strumentali, conformemente ad una regola di prudenza volta ad ostacolare eventuali indagini.

    In merito alla posizione di P.G. univoche prove di colpevolezza, ad avviso dei giudici, erano costituite dai seguenti elementi.

    La teste Ma.Ce. dichiarava che il giorno 30 giugno 2008, mentre percorreva, a bordo di un'auto presa a noleggio su cui si trovavano anche i suoi figli, l'autostrada A 14 in direzione nord, era stata sorpassata da due autovetture blu con lampeggiante che la costringevano a fermarsi. Da uno dei due veicoli scendeva un uomo incappucciato e armato di un fucile mitragliatore il quale le sfilava dal cruscotto le chiavi di accensione. Mentre l'uomo si trovava a circa un metro di distanza, il passamontagna cedeva, scoprendo gli occhi, il naso e la bocca. La teste, disegnatrice di professione, tornata a casa effettuava uno schizzo del volto dell'uomo che riconosceva, sia pure in termini di non assoluta certezza, nella persona di P., nel corso delle attività di individuazione fotografica e, quindi, nel corso del riconoscimento informale in sede dibattimentale. I giudici di merito sottolineavano che il disegno realizzato di suo pugno dalla teste e l'identikit realizzato dalla polizia giudiziaria sulla base delle dichiarazioni fornite dalla donna nell'immediatezza del fatto riproducevano n modo sistematico alcuni particolari fisici (la forma degli occhi, delle sopracciglia, del naso e della bocca) non solo coerenti fra loro, ma anche corrispondenti alle caratteristiche fisiche risultanti dagli album fotografici contenenti l'effigie dell'imputato.

    Le sentenze di primo e di secondo grado valorizzavano, ai fini dell'affermazione di penale responsabilità di P.G., il contenuto delle intercettazioni telefoniche evidenzianti i plurimi contatti, anche personali, intercorsi con L. per orchestrare i tentativi di recupero del materiale relativo alle rapine e le sollecitazioni rivolte da P., tramite T.V., a F., il quale era in possesso delle chiavi di accesso, a salire a Bologna per recuperare quanto custodito nei garage di cui si è già detto, nonchè il colloquio di P., Filannino e.

    Lo. sul medesimo oggetto nel corso della telefonata del 29 ottobre 2008, n. 34.

    Degna di nota, anche per la posizione di P.G., veniva ritenuta la circostanza, desumibile dall'analisi dei tabulati, che l'utenza "familiare" in uso a P. rimaneva pressochè inattiva nei giorni coincidenti con le fasi salienti di preparazione, organizzazione, esecuzione della rapina, mentre negli altri giorni si assisteva ad una ripresa dei contatti, specie dopo il 30 giugno 2008.

    Tale situazione era ritenuta coerente con la prassi adottata dal gruppo criminale di non utilizzare le utenze personali o familiari durante tali fasi, bensì utenze riservate alle comunicazioni inerenti all'attività criminosa intestate a soggetti estranei o, altrimenti, cabine pubbliche dalle quali risultava difficile risalire all'interlocutore.

    Particolare rilievo, infine, veniva attribuito al falso alibi predisposto dall'imputato, volto a rappresentare, sulla base di due referti medici (prodotti a sostegno di un'istanza di revoca della misura cautelare presentata nella fase delle indagini preliminari) e della testimonianza di D.B.M., che egli, nei giorni del 30 giugno e del 1 luglio 2008 si trovava a Cerignola, dove, presso il locale nosocomio, era stato visitato e curato al pronto soccorso.

    Le sentenze di primo e di secondo grado argomentavano, in proposito, che le indagini svolte, le testimonianze rese da Z.F., Ga., Co., Fo. permettevano di stabilire che:

    in data 1 luglio 2008, P. non era stato sottoposto ad alcuna radiografia;

    presso il reparto radiologia dell'ospedale di Cerignola non risultavano registrate radiografie a nome di P.G.;

    l'1 luglio 2008 aveva effettuato una radiografia soltanto Z. F. per un trauma assolutamente compatibile con la diagnosi fatta quel giorno;

    P. era privo della richiesta di radiografia che avrebbe dovuto essere formulata dal medico che lo aveva visitato il 30 giugno, richiesta che avrebbe dovuto rimanere archiviata insieme con le radiografie;

    non era stato pagato alcun ticket sanitario per i certificati apparentemente rilasciati al nome di P.;

    mancavano gli originai dei due referti cartacei che non erano stati inviati all'ufficio preposto al controllo e al sollecito dei pagamento dei ticket e non erano reperiti neppure in sede di ricerca manuale;

    esistevano due codici alfanumerici (c.d. record) abbinati al nome di P.G., uno riferito ad una visita psichiatrica risalente al gennaio 2008 e l'altro ad un rapporto del pronto soccorso del 30 giugno 2008, mentre abitualmente ad ogni paziente ne corrisponde soltanto uno sotto il quale vanno archiviaste le successive prestazioni richieste presso un qualsiasi ufficio della medesima A.U.S.L.;

    il nome di Z.F., abbinato al codice identificativo (OMISSIS) era stato sostituito con quello di P., come risultante da un accertamento condotto su un back up relativo ai dati aggiornati alla data del 9 luglio 2008;

    la modifica del nominativo era stata fatta manualmente tra il 9 luglio 2008 e il 18 dicembre 2009 senza peraltro che fosse stata variato sul sistema la chiave identificativa anagrafica assegnata in origine a Z.F.;

    attraverso la password di accesso qualunque utente che ne sia fornito può richiamare l'anagrafica di un assistito e cambiarne le generalità senza peraltro modificare la chiave identificativa personale;

    era da escludere che il sistema avesse generato due chiavi identificative identiche nello stesso giorno per due soggetti diversi.

    Con riguardo a L.F.P. entrambe le sentenze di merito ravvisavano la sussistenza di un quadro probatorio al di là di ogni ragionevole dubbio sulla base dei seguenti elementi.

    Le registrazioni della barriera "tutor" all'altezza di Castel San Pietro evidenziavano che l'auto "Renualt Clio" in uso a L. ed intestata alla sorella Lo.Sa., si trovava il giorno 30 giugno 2000 sull'autostrada A 14 in prossimità del furgone "Fiat Ducato" rubato e poi dato alle fiamme, nonchè dell'auto "Ford Focus" in uso a S.P. e delle altre vetture componenti il convoglio che assaltava i furgoni portavalori.

    I servizi di osservazione consentivano di rilevare: a) la presenza della medesima "Renault Clio" nei pressi delle basi logistiche del gruppo poste in Rimini e in Bologna; b) la disponibilità della stessa anche da parte di S.P. che la utilizzava nel medesimo periodo in cui L. occupava l'appartamento di via (OMISSIS) a Rimini; c) il prelievo da parte dell'imputato delle contravvenzioni presenti sull'auto "Renault Clio" e sulla "Ford Focus" di proprietà di C.M.M. (moglie di Pr.Ro., a sua volta cugino di P.G.), entrambe parcheggiate nei pressi dell'appartamento di via (OMISSIS) a Bologna.

    L'esame congiunto dei dati forniti dalla registrazione "tutor" e dai sistemi di pagamento del pedaggio autostradale con tessera "viacard" permettevano di accertare la presenza dell'imputato in occasione del sopralluogo del 23 giugno 2008, prodromico alla rapina del successivo 30 giugno, e di quello eseguito il 16 giugno 2008 presso la sede della ditta Battistolli, posta in Cesena..

    Le indagini svolte dalla polizia giudiziaria, così come sintetizzate a dibattimento dagli ufficiali di polizia giudiziaria, la deposizione resa dal teste V.A., proprietario dell'appartamento di via (OMISSIS) a Rimini che riconosceva in foto L. quale inquilino del suo appartamento, evidenziavano che: a) l'imputato disponeva di plurime utenze telefoniche cellulari, intestate a terze persone; b) s'identificava in L. l'inquilino dell'appartamento di Rimini, riconosciuto da V.A., che gli aveva lasciato gli estremi di talune di queste utenze quali suoi recapiti telefonici; c) l'appartamento di Rimini era frequentato anche da S.P. che, il 29 agosto 2008, veniva visto uscire dal suddetto stabile; d) L. frequentava l'appartamento di via (OMISSIS) a Bologna ove aveva autonomo accesso; e) L. si allontanava da Bologna subito dopo la fuga di S.P., recandosi dapprima a Rovigo, dove si tratteneva sino al 22 ottobre 2008, e poi a Cerignola, mentre il padre Lo.Mi. tornava in pari data a Bologna a bordo del furgone "Master", sottoposto ad intercettazione ambientale, entrava nell'appartamento di via (OMISSIS) a Bologna, da cui usciva poco dopo con una piccola borsa contenente - come rilevato in occasione di un controllo - un telefono cellulare, un mazzo di chiavi, alcun documenti.

    Dalle deposizioni degli ufficiali di polizia giudiziaria risultava, altresì, che la patente di guida di uno dei formali intestatari ( C.M.) del contratto di locazione dell'appartamento di Rimini si trovava nel parabrezza della "Renault Clio" intestata a Lo.Sa., sorella dell'imputato.

    L'analisi dei tabulati telefonici dimostrava, ad avviso dei giudici, che L., in data 16 giugno 2008, si trovava a Cesena presso la sede della ditta "Battistolli" e che il 23 giugno 2008 si trovava, insieme con i suoi complici, sulla tangenziale di Bologna, tra l'uscita n. 12 e l'uscita n. 11, nello stesso momento in cui ivi transitavano i furgoni portavalori.

    Le risultanze dei tabulati, delle intercettazioni telefoniche e dei sistemi di rilevazione satellitare installati sulla "Renault Clio" in uso a L. e sulla "Ford Focus" in disponibilità di S. P. e le attività di osservazione permettevano, inoltre, di rilevare la presenza di L. in compagnia di S.P. in Casalecchio di Reno il 18 ottobre 2008. All'esito di tale incontro, mentre L. rientrava nell'appartamento di via (OMISSIS), S.P. si portava in via (OMISSIS) di Casalecchio e sostava in un parcheggio dal quale era possibile accedere ai locali del caveau della ditta Battistelli.

    Sulla base dell'analisi delle intercettazioni telefoniche, dei servizi di osservazione e di pedinamento e delle dichiarazioni rese da R.S., i giudici di merito ricostruivano l'impegno profuso da L., dopo l'arresto di S.P., per recuperare quanto contenuto nei garage di via (OMISSIS) a Bologna. Dall'esame dei colloqui intercettati risultava, in particolare, che L. contattava tramite terzi (avendo dimenticato il suo codice PIN) F., chiedendogli di raggiungere T.V., cui era stato affidato il compito di recuperare quanto custodito nei garage di via (OMISSIS) a Bologna. L'incontro avveniva effettivamente il 28 ottobre 2008, ma non aveva ulteriore seguito probabilmente a causa della rilevata presenza della Polizia.

    Dalle intercettazioni risultava, inoltre, che: a) L. e P. incaricavano di un successivo accesso il fabbro S. R. che non riusciva nell'intento; b) il 29 ottobre 2008 G. F. cercava di entrare con tale N.G. e un fabbro ( C.E.) nei suddetti locali, venendo arrestato poco dopo;

    c) immediatamente dopo L., in compagnia di P. e F., cercava, invano, di raggiungere telefonicamente G. F., tratto in arresto; d) il 30 ottobre 2008 L. e P. incaricavano di accedere ai garage l'autotrasportatore La.Do., contattato tramite R.S., amico di L..

    I giudici di merito evidenziavano che il contenuto della conversazione del 29 ottobre 2008 ore 20,06, il contenuto delle perizie trascrittive e foniche e l'analisi dei tabulati consentiva di affermare che era L. la persona che aveva cercato per due volte di contattare La.Do. dopo il suo arresto, avvenuto il 30 ottobre 2008.

    5. Sulla base di quanto sin qui esposto entrambe le Corti territoriali ritenevano sussistenti i delitti contestati.

    Con specifico riguardo al delitto di tentato omicidio pluriaggravato continuato, contestato in forma concorsuale, i cui elementi costitutivi venivano ritenuti sussistenti, la sentenza impugnata valorizzava le caratteristiche e la micidialità delle armi anche da guerra usate, la cadenza di tiro (settecento-ottocento colpi al minuto) dei fucili mitragliatori usati, la qualità di talune delle munizioni (proiettili perforanti dotati, all'interno della carniciatura, di un inserto in acciaio dolce in luogo del piombo sì da assumere una durezza superiore al normale piombo e, quindi, di attitudine lesiva molto elevata, paragonabile a quella dei fucili d'assalto utilizzati dalla Nato) inserite nelle stesse, la breve distanza da cui i colpi venivano esplosi, sì da scavare progressivamente il vetro blindato e da determinare un oggettivo e imminente pericolo di cedimento, la direzione dei colpi diretti ad altezza d'uomo contro parti vitali (il capo, il torace) delle guardie giurate, il numero dei colpi esplosi (trentacinque colpi rilevati sulla parte laterale anteriore e in quella anteriore del furgone della "Coopservice", ventisette colpi presenti sul furgone della ditta "Battistolli"), la sequenza dei colpi stessi, nettamente superiore ai sessanta (come desumibile dai bossoli rinvenuti) che interessavano entrambi i mezzi su tutte le parti, le caratteristiche dei furgoni che non avevano una blindatura integrale, ma presentavano punti e angoli penetrabili.

    6. La configurabilità del contestato delitto associativo veniva desunta dalla predisposizione accurata di basi logistiche (gli appartamenti di Rimini e di Bologna, i due garage di Bologna), di mezzi (veicoli rubati e "puliti", armi, munizioni, giubbotti antiproiettile, radio ricetrasmittenti, utenze telefoniche intestata a terze persone, tessere "viacard" per il pagamento del pedaggio autostradale), uomini, dall'ampiezza del disegno criminoso a tempo indeterminato, comprovato non solo dalla consumazione della rapina del 30 giugno 2008, ma anche dalla rapina ai danni del furgone portavalori della ditta "B4" di Bergamo, avvenuta il 9 giugno 2008 e dal tentativo di rapina ai danni del furgone portavalori della ditta "Civis Augustus", avvenuto nei pressi di Cesena il 6 ottobre 2008.

    All'interno del sodalizio L. aveva, ad avviso dei giudici, un ruolo di primario rilievo quale promotore ed organizzatore, come desumibile dall'impegno profuso nel procacciare la base logistica di Rimini, dal sopralluogo effettuato in prima persona il 16 giugno 2008, dalla partecipazione alla "prova generale" del 23 giugno 2008, attività estremamente importanti ai fini dell'organizzazione e preparazione dell'assalto, dalla disponibilità dei diversi covi, dalla costante presenza presso gli stessi coerentemente agli spostamenti del gruppo criminale, dalla regia elaborata per il recupero del materiale custodito nei due garage di via (OMISSIS) a Bologna, dai rapporti intrattenuti con gli altri membri del sodalizio, in particolare S.P. e P.G..

    7. Avverso la sentenza d'appello hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori di fiducia, gli imputati.

    7.1. L., con due distinti atti a firma dei due difensori di fiducia, formula le seguenti censure.

    Eccepisce violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla struttura argomentativa della sentenza impugnata che ha omesso di prendere in esame le censure formulate dalla difesa con i motivi d'appello e ha fatto ricorso ad una non consentita forma di motivazione per relationem.

    Denuncia violazione dell'art. 603 c.p.p. con riferimento all'omessa riapertura dell'istruttoria dibattimentale volta: a) ad acquisire informazioni presso la società autostrade in merito al funzionamento del "tutor", ad esaminare il dott. Ba. della direzione legale "Autostrade per l'Italia" su profili assolutamente rilevanti rispetto all'ipotizzato transito dell'autovettura "Renault Clio", asseritamente nella disponibilità dell'imputato, in località San Pietro Tenne in data 30 giugno 2008 alle ore 20,57 così come emergente dalle testimonianze degli ufficiali di p.g. Ga. e Sc.; b) ad espletare una perizia grafica sulla firma asseritamente apposta da L.F. sul contratto di locazione, tenuto conto della scarsa veridicità della testimonianza di V.A. (ritenuta non rilevante dai giudici d'appello a differenza di quelli di primo grado) e del contrasto tra la stessa e quanto riferito dall'uff. di p.g. Sc.; c) ad escutere quattro agenti del Commissariato P.S. di Cerignola e, precisamente, s., so., fa., Q. sull'aiuto fornito agli uff. di p.g. della Squadra Mobile ai fini dell'identificazione di L. e all'eventuale invio o ricezione di "files" audio, tenuto conto anche della discrepanza tra quanto riferito dagli operanti della Questura di Bologna, quanto affermato a dibattimento dagli agenti sa., a., b. e delle dichiarazioni acquisite dagli agenti sentiti in sede di indagine difensiva; d) ad effettuare una perizia balistica sulle armi e sui bossoli in sequestro per stabilire se le armi successivamente rinvenute fossero state utilizzate in occasione della rapina del 30 giugno 2008, non essendo sufficiente quanto riferito de relato e in maniera generica dal teste Pi. che, peraltro, non aveva eseguito personalmente gli accertamenti balistici.

    Eccepisce violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo agli elementi posti a base dell'affermazione di penale responsabilità, considerati il numero esiguo e la scarsa qualità delle telefonate trascritte, l'assenza di una totale certezza circa l'identificazione degli interlocutori dei colloqui intercettati evidenziata dal perito Be., l'empirico metodo percettivo utilizzato dal Carabiniere Ge., ausiliario del perito, le modalità con le quali il riconoscimento è stato effettuato.

    Deduce inosservanza ed erronea applicazione della penale, mancanza e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ritenuta configurabilità del delitto di tentato omicidio. Insussistente è l'idoneità degli atti, attese le caratteristiche dei furgoni blindati e dei proiettili perforanti che, pur se dotati di un nucleo di acciaio dolce, non erano in grado vincere la blindatura dei mezzi corazzati, tanto che i vetri antiproiettile dei furgoni non lasciavano penetrare nessun colpo all'interno dell'abitacolo. Inoltre i proiettili diretti al vano motore, che penetravano nelle bocchette di aerazione, avevano percorso una distanza tale da far loro perdere tutta l'energia cinetica di cui erano dotati e, quindi, non erano concretamente in grado di provocare alcun danno alle guardie giurate.

    Anche il colpo che attraversava del tutto casualmente la portiera lato conducente di uno dei due furgoni, conficcandosi nella scaletta di entrata, non provocava alcun danno alle persone che occupavano i mezzi.

    Sotto il profilo dell'elemento psicologico non è possibile riscontrare alcuna volontà di attentare alla vita delle guardie giurate, avuto riguardo alle specifiche modalità dell'azione, all'esplosione di un numero di colpi inferiore a quello reso astrattamente possibile dalle armi usate, alla mancata realizzazione di gesti violenti in danno delle guardie giurate una volta che le stesse erano scese dai mezzi, alla brevissima durata dell'azione, alla volontaria interruzione dell'esplosione dei colpi prima che il vetro dei furgoni si infrangesse, all'intento esclusivo di arrestare, mediante l'esplosione dei colpi, la marcia dei furgoni che si fermavano quasi immediatamente, come evidenziato anche nella sentenza impugnata. Esulava dalla prospettazione accusatoria la preventiva rappresentazione e l'accettazione della probabilità di cagionare un incidente stradale che, secondo i giudici di merito, rappresentava un altro aspetto alla stregua del quale ritenere sussistente il delitto di tentato omicidio. Alla stregua di questi elementi non può parlarsi di dolo diretto sia pure sotto la forma del dolo alternativo, bensì di dolo eventuale, in quanto tale incompatibile con il delitto tentato.

    In subordine rileva che, in ogni caso, quand'anche venisse riconosciuto sussistente il tentativo di omicidio sia con riferimento alla idoneità degli atti che alla loro univoca direzione omicidiaria, in ogni caso dovrebbe trovare applicazione l'esimente della desistenza volontaria, atteso che la cessazione della condotta avveniva non per cause estranee alla loro volontà, bensì in base ad una loro scelta consapevole.

    Con un secondo motivo lamenta violazione dei canoni di valutazione probatoria, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, travisamento della prova in relazione agli elementi posti a base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato in ordine al delitto di rapina e agli altri reati ad esso connessi, tenuto conto dell'erroneo metodo del ragionamento inferenziale, fondato sulla valorizzazione di fatti e di elementi meramente congetturali o smentiti (l'asserita disponibilità da parte di L. di plurime utenze cellulari, l'utilizzo di utenze cellulari nel periodo agosto-settembre 2008, la disponibilità di due auto "Renault Clio" ad una delle quali era abbinata la tessera "viacard" utilizzata in occasione del sopralluogo del 23 giugno 2013, la stipula del contratto di locazione dell'appartamento di Rimini e i contatti con V.A., l'asserito abbandono dell'utenza cellulare nella casa di Rimini il 30 giugno 2008 e l'inattività dell'utenza nel lasso di tempo interessato dalla consumazione dell'azione, la presenza della "Reanult Clio" intestata a Lo.

    S. sotto l'immobile di via (OMISSIS), la presenza della patente di C.M. nel parabrezza della "Renault Clio" targata (OMISSIS), la pretesa disponibilità dell'appartamento di via (OMISSIS) e dei garage di via (OMISSIS) a Bologna, i due tentativi di accesso ai garage il 28 e il 29 ottobre 2008, la riconducibilità all'imputato delle armi rinvenute nei garage di via (OMISSIS), la partecipazione ai sopralluoghi e poi alla rapina del 30 giugno 2008) di gran lunga successivi alla rapina del 30 giugno 2008 per affermare il coinvolgimento dell'imputato in tale fatto delittuoso.

    Il riconoscimento di L. da parte di V.A. e le dichiarazioni rese da quest'ultimo a dibattimento non assumono un'univoca valenza probatoria anche alla luce delle considerazioni svolte dalla sentenza d'appello che ha ipotizzato il contributo di un'altra persona rimasta non identificata e non ha riconosciuto valore decisivo al riconoscimento effettuato da V.A. in udienza.

    Con un terzo motivo deduce violazione di legge in relazione alle modalità di espletamento delle due perizie trascrittive delle intercettazioni telefoniche e ambientali affidate rispettivamente il 2 febbraio 2010 al dott. Ma. e il 17 giugno 2010 al prof. Be. e al ruolo svolto dagli interpreti (ispe. O. e Carabiniere Ge.), i quali avrebbero dovuto occuparsi unicamente di tradurre dal dialetto di Cerignola in lingua italiana le conversazioni e non di attribuire le voci ai singoli interlocutori e di identificarli, come avvenuto con riferimento all'intercettazione ambientale n. 32, alle telefonate nn. 6 e 12, 20 e 34. Pertanto le dichiarazioni rese a dibattimento dagli ausiliari Ge. e O. non sono utilizzabili, in quanto gli stessi non avrebbe potuto compiere quel tipo di attività che implica apprezzamenti e valutazioni.

    Con un ultimo motivo lamenta erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta configurabilità del delitto associativo, di cui mancano gli elementi costitutivi e in relazione al quale i giudici di merito hanno fatto malgoverno delle risultanze processuali.

    7.2. P.G., con i distinti atti di ricorso a firma dei suoi difensori di fiducia formula a sua volta le seguenti doglianze.

    Lamenta erronea applicazione della legge penale con riferimento al contestato delitto di omicidio in assenza dell'idoneità degli atti, come desumibile dal f. 7 della sentenza impugnata da cui si evince che i proiettili con la camiciatura interna di acciaio dolce erano solo maggiormente offensivi, ma non atti a perforare le blindature.

    Evidenzia che non sussiste neppure l'univocità degli atti, intesa come criterio di essenza, ossia come caratteristica oggettiva che consenta di accertare, secondo l'id quod plerumque accidit, il fine perseguito dall'agente. Gli elementi valorizzati dai giudici di merito attengono non ad una valutazione ex ante, bensì ex post.

    Dalla sentenza impugnata si evince che l'azione di sparo, iniziata quando tutti i mezzi erano ancora in movimento, cessò quando le guardie giurate scesero dai mezzi, mentre i colpi contro l'altro furgone non vennero più esplosi allorquando gli occupanti decisero di rimanere in posizione distesa all'interno dell'abitacolo. Le condotte poste in essere non erano, quindi, orientate all'eliminazione fisica delle guardie giurate, bensì a fermare i mezzi inseguiti e ad impedire che gli occupanti reagissero all'attacco. Non sussiste neppure il dolo diretto, sia pure alternativo, smentito dalla cessazione dell'azione lesiva nel momento in cui la stessa sarebbe stata più facilmente perseguibile.

    Con un secondo motivo denuncia erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del delitto associativo in assenza di un contributo causale al sodalizio contestato che trascenda la commissione del fatto e dell'affectio societatis.

    Denuncia violazione dell'art. 602 c.p.p., non essendo stata svolta, nel giudizio d'appello, la relazione introduttiva, che è stata anticipata alle formalità di apertura del dibattimento e prima della costituzione del rapporto processuale mediante l'invio della stessa ai singoli difensori per posta elettronica.

    Lamenta carenza assoluta della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di prendere in compiuta considerazione e di fornire qualsiasi valutazione critica a proposito della consulenza tecnica di parte redatta dal dott. Zo.Ma., depositata prima della data fissata per il giudizio d'appello e presentata come memoria difensiva ai sensi dell'art. 121 c.p.p., contenente, ad integrazione dei rilievi mossi dalla difesa dell'atto d'appello, una contestazione su basi scientifiche e con argomentazioni del tutto nuove, provenienti da una persona dotata di particolare competenza tecnica, una puntuale critica della perizia del dott. Be.

    nella parte relativa all'attribuzione in termini di "buona compatibilita" della voce di P.G. con quella degli anonimi interlocutori dei colloqui oggetto di perizia. In presenza di censure articolate come quelle contenute nella consulenza tecnica allegata ai nuovi motivi d'appello, la motivazione per relationem non era consentita.

    Eccepisce mancanza della motivazione ed errato ricorso alla motivazione per relationem a proposito dell'omessa risposta agli articolati rilievi difensivi riguardanti la telefonata n. 34 del 29 ottobre 2008 cui, ad avviso dei giudici d'appello, prendeva parte anche P.. Con riferimento a questa telefonata "a cornetta aperta" la perizia Be. riteneva identificabili soltanto due interlocutori, F. e L., circostanza questa confermata a dibattimento dal perito e dall'ausiliario interprete. La testimonianza di Da. è frutto di un errore percettivo e non può assumere effettivo rilevanza probatoria considerato anche il metodo empirico adottato laddove identifica erroneamente uno dei tre interlocutori del colloquio del 29 ottobre 2008 in precedenza richiamato in L. e P..

    Prospetta, inoltre, contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova in relazione alla valenza indiziaria attribuita alla deposizione di Ma.Ce. che, esaminata all'udienza del 12 gennaio 2010, rappresentava di avere visto il rapinatore con il volto coperto per un brevissimo tempo in condizioni di incipiente oscurità e di scarsa illuminazione, di ricordare soltanto il particolare della bocca e di non essere in grado di riconoscere questa persona nelle foto contenute negli album fotografici sottoposti al suo esame. Contesta la valenza indiziaria del disegno realizzato dalla Ma.Ce. subito dopo il fatto, divergente all'evidenza dall'identikit realizzato dalla Polizia e ne rappresenta l'inutilizzabilità, non trattandosi di atto di indagine irripetibile.

    Deduce vizio della motivazione con riferimento alle argomentazioni sviluppate in merito al presunto alibi falso, confutato dalla difesa con i motivi d'appello cui il giudice di secondo grado ha omesso di fornire una compiuta risposta, adottando un non consentito schema di motivazione per relationem e non esplorando ipotesi alternative, tenuto conto, in particolare, della testimonianza resa dal dott. Gr.Mi., primario del pronto soccorso, il quale riferiva che, presso l'ospedale di Cerignola, era prassi modificare e manomettere i referti del pronto soccorso, nonchè di quanto desumibile dalla lettura congiunta delle testimonianze di Fo., Co., Go., D.B..

    Denuncia violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. d) e art. 603 c.p.p. con riferimento all'omessa assunzione, nel giudizio d'appello, della testimonianza di Z.F., volta a dimostrare che lo stesso aveva subito un infortunio non nel 2008, bensì nel 2007, della testimonianza del dott. c., unica persona in grado di dare certezza sul rilascio dei referti, della dott.ssa Mi.Ma., compilatrice e sottoscrittrice del referto datato 1 luglio 2008, di Sp.Pa., Va.Ri., Zi.Gi., in grado di confermare l'alibi di P., all'omesso espletamento di una perizia tecnica sulle apparecchiature della "Sepi", sullo svolgimento e inserimento dei dati e sulla individuazione di eventuali manomissioni.

    Lamenta contraddittorietà, travisamento della prova ed illogicità della motivazione in relazione alla valutazione della deposizione di D.B.M., teste indotto dalla difesa in merito all'alibi di P. per i giorni 30 giugno 2008 e 1 luglio 2008.

    Da ultimo deduce violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio, considerato che, erroneamente, è stato individuato il reato più grave nel delitto di tentato omicidio piuttosto che in quello di rapina pluriaggravata, nonchè all'entità della pena per esso stabilita, del tutto sproporzionata rispetto a quella irrogata al coimputato S. P., giudicato con rito abbreviato, al riconoscimento della recidiva e alla sua applicazione, agli erronei plurimi aumenti di pena per le diverse circostanze aggravanti ad effetto speciale in violazione del disposto di cui all'art. 63 c.p., comma 4, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, all'entità degli aumenti per la continuazione, all'omesso assorbimento dei reati contestati sub a), c), d), e), f), g) in quello di cui al capo b), all'entità complessiva della pena.

    7.3. V.S., con i due atti di ricorso redatti dai due difensori di fiducia, articola i seguenti motivi di ricorso.

    Denuncia violazione dell'art. 602 c.p.p., non essendo stata svolta, nel giudizio d'appello, la relazione introduttiva, che è stata anticipata alle formalità di apertura del dibattimento e prima della costituzione del rapporto processuale mediante l'invio della stessa ai singoli difensori per posta elettronica.

    Lamenta violazione dell'art. 603 c.p.p. per omessa riapertura, nel giudizio d'appello, dell'istruttoria dibattimentale volta ad effettuare una perizia chimico-merceologica al fine di stabilire se il pezzo di carta su cui, ad avviso dei giudici, era stata rinvenuta l'impronta digitale attribuita all'imputato, potesse effettivamente far parte dei residui combusti esaminati, tenuto conto delle considerazioni svolte dal consulente di parte dott. g., secondo cui era possibile procedere ad un esperimento per ricreare le condizioni in cui si era verificato l'incendio, nonchè delle dichiarazioni rese in udienza dal maresciallo va. e dall'ispettrice p. in merito all'incidenza delle alte temperature sulla rilevazione delle impronte. Trattavasi di una prova decisiva che, ove assunta, avrebbe potuto incidere in maniera determinante sulla struttura argomentativa della sentenza impugnata.

    Analogo vizio deduce con riferimento all'omessa riapertura dell'istruttoria dibattimentale ai fini dell'escussione dei tre testi (il fratello dell'imputato a nome J., la moglie, Pa.

    C., A.C.) in merito ai rapporti intrattenuti da G.F. con i membri della famiglia Valente e alla presenza dell'imputato in Puglia in coincidenza con la consumazione della rapina, nonchè al fine di stabilire la riferibilità di determinate conversazioni e utenze a soggetti diversi dal ricorrente e di accettare l'ampiezza di copertura del raggio delle celle telefoniche.

    Eccepisce, inoltre, il travisamento delle dichiarazioni rese dalla teste p. sull'esito del raffronto tra le impronte di V., presenti negli archivi della Polizia, e quella rinvenuta in sede di sopralluogo l'1 luglio 2008 - con ovvi riflessi sull'esatta individuazione dell'impronta in concreto sottoposta a comparazione - nonchè delle considerazioni svolte dal consulente di parte dott. g. in merito alle attività peritali e alle loro conclusioni.

    Denuncia, inoltre, violazione dei canoni di valutazione probatoria e vizio della motivazione in relazione alla valenza indiziante attribuita alla presenza di V. presso l'agenzia immobiliare al momento della stipula del contratto di locazione, al carattere neutro della stessa nella contestata prospettiva concorsuale, all'identificazione dell'imputato quale destinatario di quattro delle sei chiamate partite, il 30 giugno 2008, dalla cabina telefonica dell'area di servizio Rubicone est e, quindi, all'asserita presenza dell'imputato in tale contesto spazio-temporale.

    Lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in merito alla ritenuta configurabilità del contestato delitto di tentato omicidio, nonostante l'assenza di idoneità e univocità degli atti, considerati: l'esiguo numero dei colpi esplosi rispetto alle dotazioni delle armi usate, la tipologia non perforante dei proiettili, il tipo di blindatura dei furgoni portavalori, lo strumento utilizzato (una moto troncatrice) per aprire il blindato, indicativo del fatto che l'uso delle armi era funzionale soltanto ad arrestare la marcia dei furgoni, l'assenza di dolo omicidiario.

    Deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta configurabilità del delitto di associazione per delinquere in assenza di una struttura organizzativa, di un disegno criminoso stabile volto alla commissione di una serie indefinita di reati, dell'affectio societatis, della prova della consumazione di ulteriori reati fine alla luce dell'intervenuta assoluzione di S. P..

    Eccepisce violazione di legge con riferimento alla ritenuta applicabilità dell'aggravante della premeditazione anche al delitto di tentato omicidio.

    Da ultimo deduce violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio, considerato che erroneamente è stato individuato il reato più grave nel delitto di tentato omicidio piuttosto che in quello di rapina pluriaggravata, all'entità della pena per esso stabilita, del tutto sproporzionata rispetto a quella irrogata al coimputato S.P. (giudicato con rito abbreviato), al riconoscimento della recidiva e alla sua applicazione, agli erronei plurimi aumenti di pena per le diverse circostanze aggravanti ad effetto speciale in violazione del disposto di cui all'art. 63 c.p., comma 4, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, all'entità degli aumenti per la continuazione, all'omesso assorbimento dei reati contestati sub a), c), d), e), f), g) in quello di cui al capo b), all'entità complessiva della pena.

    7.4. F.E., con due distinti atti a firma dei due difensori di fiducia, formula le seguenti censure.

    Deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla struttura motivazionale della sentenza d'impugnata che si limita a rinviare acriticamente a quella di primo grado, omettendo di fornire risposta ai rilievi difensivi, caratterizzati da un contenuto di novità rispetto a quelli prospettati con i motivi d'appello e critiche in fatto e in diritto alle argomentazioni del giudice di primo grado.

    Lamenta violazione del metodo del ragionamento probatorio e dei canoni di valutazione probatoria, in quanto la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare singolarmente gli indizi ritenuti sussistenti a carico di F. e, successivamente, avrebbe dovuto valutare gli stessi nella loro globalità sulla base di corretti principi logico-giuridici.

    Eccepisce, inoltre, l'assenza di univocità indiziaria con riferimento: a) all'impronta rilevata sul guanto di materiale elastico, ricondotta a F. sulla base di un'osservazione viziata sia dal punto di vista tecnico che sotto il profilo logico- argomentativo; b) alla ritenuta presenza dell'imputato in concomitanza con la rapina, dedotta sulla base di elementi riferibili ad epoca di gran lunga successiva; c) all'asserito riconoscimento della voce dell'imputato da parte dell'ausiliario del perito e, come tale, non investito dell'incarico di riconoscere le voci, in contrasto con le conclusioni del perito che non riteneva il saggio vocale sufficiente per trarne conseguenze; d) alla presenza di F. in compagnia di T.V., priva di qualsiasi valenza indiziante anche alla luce dell'intervenuta assoluzione di T.V., per non avere commesso il fatto, con sentenza del gup del Tribunale di Bologna del 21 dicembre 2009; e) alla conversazione a "cornetta sollevata" del 29 ottobre 2008, n. 34.

    Deduce violazione dell'art. 369 bis c.p.p. con riguardo alle modalità del prelievo di reperti biologici sulla sua persona tramite il c.d. test alcolemico, effettuato senza formulare gli avvertimenti previsti dalla legge, senza il consenso dell'imputato e senza il rispetto delle garanzie difensive con conseguente inutilizzabilità dei dati ottenuti e utilizzati per la successiva comparazione anch'essa inutilizzabile per omesso rispetto della sequenza procedimentale e per insussistenza dei presupposti di cui all'art. 360 c.p.p..

    Prospetta violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla configurabilità del delitto di tentato omicidio in assenza di idoneità, univocità degli atti e dell'animus necandi.

    Deduce violazione di legge e vizio della motivazione in merito alla ritenuta sussistenza del delitto associativo in assenza di stabile struttura organizzativa e di elementi probatori idonei a comprovarla.

    Da ultimo lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al complessivo trattamento sanzionatorio.
    Diritto
    OSSERVA IN DIRITTO

    1. Non fondata è la violazione dell'art. 602 c.p.p., eccepita dalle difese di P.G. e di V.S..

    L'interpretazione letterale dell'art. 602 c.p.p., comma 1, c.p.p. ("... la relazione della causa") rende evidente che, nel dibattimento di appello, la relazione della causa, svolta dal presidente o dal consigliere da lui delegato, ha la funzione di rendere sinteticamente edotti i componenti del Collegio del contenuto essenziale del giudizio, tenendo conto in particolare delle risultanze dell'istruttoria svoltasi nel precedente giudizio nel contraddittorio fra le parti, della motivazione della sentenza di primo grado e dei motivi d'impugnazione redatti dalle parti. Queste ultime hanno il diritto-dovere di evidenziare, sulla base degli atti contenuti nel fascicolo d'ufficio, gli elementi di accusa o di difesa ritenuti non perfettamente delineati dalla esposizione orale. La relazione non esime, peraltro, il giudice dall'obbligo di leggere tutte le emergenze processuali e di procedere al loro accurato vaglio, tenendo conto delle contrapposte posizioni delle parti.

    La relazione ex art. 602 c.p.p. assolve, quindi, alla funzione di introdurre il dibattimento nel corso del quale le conoscenze dei componenti del Collegio vengono progressivamente integrate, mentre la pronuncia finale, frutto della valutazione collegiale, è garantita dall'obbligo della motivazione, sulla quale possono appuntarsi tutte le critiche delle parti mediante la proposizione delle impugnazioni consentite dalla legge.

    Da quanto sinora esposto discende che l'invio alle parti, tramite posta elettronica, della relazione introduttiva prevista dall'art. 602 c.p.p., messa contestualmente a disposizione dei componenti del Collegio, non determina alcuna nullità ex art. 178 c.p.p., lett. c), - peraltro non prevista espressamente dal codice di rito, caratterizzata da un numerus clausus di nullità - fondandosi su risultanze già ampiamente conosciute dalle stesse che hanno dato il proprio contributo alla loro formazione in ossequio al principio del contraddittorio nel corso del precedente giudizio di merito a cognizione piena, assistito da una presunzione di completezza.

    Nel caso in esame, la suddetta modalità di divulgazione della relazione, lungi dal costituire un vulnus al diritto di difesa, ne ha rafforzato le possibilità di esercizio, avendo consentito la preventiva conoscenza del contenuto della relazione e posto, così, gli imputati e i legali di fiducia, preposti alla loro assistenza tecnica, in condizione di formulare in maniera meditata e con congruo preavviso gli eventuali rilievi.

    2. Non merita accoglimento la censura di violazione ed erronea applicazione dell'art. 603 c.p.p., prospettata dalle difese di L., P., V..

    2.1. In tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in sede d'appello, l'art. 603 c.p.p. reca diversità di previsione, a seconda che si tratti di prove preesistenti o concomitanti al giudizio di primo grado, emerse in un diverso contesto temporale o fenomenico, ovvero di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio.

    Nel primo caso, il giudice d'appello deve disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti; nel secondo, deve rinnovare l'istruzione, osservando i soli limiti del diritto alla prova e dei requisiti della stessa.

    Con riguardo alla prima ipotesi, in considerazione del principio di presunzione di completezza dell'istruttoria compiuta in primo grado, la rinnovazione del dibattimento in appello è istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non potere decidere allo stato degli atti. Pertanto, in caso di rigetto della richiesta avanzata dalla parte, la motivazione potrà essere implicita e desumibile dalla struttura argomentativa della sentenza d'appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti all'affermazione o alla negazione di responsabilità dell'imputato (Sez. 5^, n. 1075 dell'1 febbraio 2000; Sez. 2^, n. 8106 del 7 luglio 2000; Sez. 5^, n. 8891 dell'8 agosto 2000).

    Considerato, quindi, che nel giudizio di appello la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, postulando una deroga alla presunzione di completezza della indagine istruttoria svolta in primo grado, ha caratteristica di istituto eccezionale, nel senso che ad essa può farsi ricorso quando appaia assolutamente indispensabile, cioè nel solo caso in cui il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, il Collegio ritiene che il denunciato vizio di violazione ed erronea applicazione dell'art. 603 c.p.p. non sussista.

    Il giudice di merito ha, infatti, dimostrato in positivo, con spiegazione immune da vizi logici e giuridici, la sufficiente consistenza e l'assorbente concludenza delle prove già acquisite nei confronti di L., P., V. e la conseguenza insussistenza dei presupposti per disporre la riapertura dell'istruttoria dibattimentale.

    2.2. In particolare, i giudici di merito, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, hanno illustrato le ragioni per le quali le univoche e concordanti risultanze del sistema "tutor" (deputato al controllo dei tratti di autostrada delimitato da due barriere, poste all'inizio e alla fine della tratta controllata), le immagini riprese dalle videocamere di controllo del traffico autostradale (diverse ed autonome rispetto a quelle del sistema "tutor"), la documentazione relativa alle modalità di pagamento con tessere "viacard" del pedaggio autostradale, le rilevazione effettuate mediante i sistemi di rilevazione satellitare installati sui furgoni blindati portavalori, le indagini svolte in merito agli "abbinamenti" tra tessere "viacard" e singoli automezzi, i contesti spazio-temporali di acquisto delle suddette tessere rendevano superflua l'acquisizione di ulteriori informazioni presso la società autostrade e l'escussione come teste del dott. Ba., in servizio presso la direzione legale "autostrade per l'Italia", in merito al funzionamento del suddetto sistema "tutor" (cfr. ricorso L.).

    2.3. La Corte territoriale ha correttamente ritenuto superflua la riapertura dell'istruttoria dibattimentale per escutere gli agenti s., so., fa., Q. del Commissariato P.S. di Cerignola (cfr. ricorso L.) in ordine alle modalità d'identificazione degli imputati nel corso dei colloqui captati e alla predisposizione di "files audio", tenuto conto delle diffuse motivazioni della sentenza di primo grado (con la quale quella d'appello si salda organicamente, sì da formare un corpo argomentativo unitario: cfr. Sez. U, n. 6402 del 30 aprile 1997) circa le metodologie scientifiche utilizzate in sede di perizia fonica (metodo socio-linguistico o prova soggettiva di ascolto, metodo strumentale, metodo di analisi parametrica delle vocali formanti medie, metodo logico-contenutistico), il materiale oggetto di perizia, le caratteristiche dei cd. "files audio" e i rispettivi contesti di formazione ed acquisizione.

    2.4. La sentenza impugnata è, del pari, immune da censure, laddove, con iter motivazionale correttamente sviluppato, ha argomentato che le verifiche tecnico-funzionali da parte di operatori esperti del Gabinetto Regionale di Polizia scientifica, gli impatti balistici rilevati e fotografati durante il sopralluogo effettuato il 2 agosto 2008, le prove di sparo svolte dal Gabinetto centrale di Polizia scientifica sui bossoli rinvenuti al fine di verificare se gli stessi fossero stati sparati dalle armi sequestrate non rendevano necessaria la riapertura dell'istruttoria dibattimentale in appello per procedere ad ulteriori approfondimenti di tipo balistico (cfr.

    ricorso L.).

    2.5. Del pari esenti da rilievi sono le considerazioni svolte dai giudici d'appello e fondate sul puntuale esame delle emergenze processuali (contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, risultanze dei tabulati delle utenze cellulari in uso agli imputati, esito delle indagini svolte in merito alle "celle" agganciate dai cellulari, specifiche circostanze di fatto rilevate in occasione dei servizi di osservazione e pedinamento) a proposito della superfluità di espletamento di una perizia grafica sulla firma asseritamente apposta sul contratto di locazione stipulato con V. A., tenuto conto anche delle testimonianze rese sia da quest'ultimo che da Sc. (cfr. ricorso L.).

    2.6. Considerazioni analoghe valgono con riferimento alle doglianze prospettate dalla difesa di P. in merito all'omessa riapertura dell'istruttoria dibattimentale in appello per assumere le prove indicate in precedenza (testimonianze di Z.F., del dott. c., della dott.ssa Mi.Ma., di Sp., Va., Zi., perizia tecnica sulle apparecchiature della "Sepi", sullo svolgimento e inserimento dei dati e sulla individuazione di eventuali manomissioni), considerata l'ampia e coerente motivazione fornita in merito alla completezza delle acquisizioni documentali, alla esaustività della perizia tecnico- informatica e di tutti gli accertamenti effettuati, atti tutti comprovanti univocamente la falsità dell'alibi fornito all'imputato.

    2.7. Parimenti infondati, alla luce dei principi in precedenza illustrati, sono i rilievi difensivi di V. in tema di violazione ed erronea applicazione dell'art. 603 c.p.p., considerate le approfondite considerazioni svolte dai giudici territoriali circa l'affidabilità di tutti gli accertamenti scientifici eseguiti sull'impronta rilevata e attribuita all'imputato, la serietà della relativa metodologia tecnica, l'elevata competenza professionale dell'esperto che ha proceduto alle analisi, le circostanze spazio- temporali di rinvenimento dei reperti, le caratteristiche dell'incendio che aveva interessato il furgone rubato, l'assenza di discrasie tra quanto obiettivamente rilevato e le conclusioni peritali.

    2.8. Infine, i ricorrenti L., P., V. non hanno dimostrato l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora si fosse provveduto all'assunzione delle prove in precedenza indicate.

    3. Non fondato è il vizio di omessa assunzione di una prova decisiva (art. 606 c.p.p., lett. d), prospettato dalla difesa di P..

    Sotto l'imperio del codice del 1930 la mancata assunzione di una prova non costituiva di per sè violazione della legge processuale e poteva essere dedotta come motivo di ricorso solo quando avesse avuto per effetto una motivazione viziata. Come per l'inutilizzabilità, anche con riguardo alla prova negata, il codificatore ha previsto un autonomo error in procedendo, con l'intento dichiarato di valorizzare il diritto alla prova e al contraddittorio fra le parti e di depurare al contempo il vizio di motivazione da deviazioni della decisione che traggono origine dalla violazione di norme processuali (cfr. in tal senso rel. prog. prel. c.p.p., p. 133). L'effettiva autonomia del vizio in questione rispetto al vizio di motivazione è ancor oggi relativa: da un lato, occorre rilevare che la mancata assunzione costituisce davvero un vizio autonomo solo nel caso in cui si risolva in un'omissione di pronuncia, mentre deve essere ricondotta al vizio di motivazione quando la richiesta istruttoria è stata presa in considerazione dal giudice. Sotto altro profilo va segnalato che la verifica della decisività della prova, così come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, assimila l'error in discorso al vizio di motivazione. Si è, infine, autorevolmente osservato in dottrina che, proprio perchè non è una violazione processuale, il motivo di ricorso può essere accolto e comporta l'annullamento con rinvio solo nel caso in cui la prova decisiva omessa sia ancora acquisibile; se la prova non è più acquisibile, il motivo di omessa assunzione diventa inammissibile come tale e va reinterpretato come motivo di vizio di motivazione su un punto decisivo.

    Tanto premesso, le censure difensive non sono fondate. La sentenza impugnata, facendo corretta applicazione dei principi in precedenza illustrati, ha, infatti, evidenziato, con puntuale richiamo delle circostanze di fatto - in quanto tali insindacabili in sede di legittimità, ove sorrette, come nel caso di specie, da adeguata motivazione - che le prove "decisive", di cui si lamenta la mancata assunzione, non erano in realtà tali, avuto riguardo alla convergenza di tutti gli accertamenti effettuati, quali indicati al precedente par. 2.6. in ordine al falso alibi proposto dall'imputato P..

    Per mera completezza argomentativa si osserva, infine, che deve essere esclusa la possibilità di ricomprendere nell'art. 606 c.p.p., alla lett. d) le prove acquisibili d'ufficio (nel caso di specie la perizia tecnica sulle apparecchiature della "Sepi", sullo svolgimento e inserimento dei dati e sulla individuazione di eventuali manomissioni), in quanto si tratta di prove rimesse alla discrezionalità del giudice e dotate di carattere neutro; anche sotto questo profilo, pertanto, è incensurabile la mancata acquisizione di una perizia (Sez. 4^, n. 4981 del 5 dicembre 2003;

    Sez. 6^, n. 17629 del 12 febbraio 2003; Sez. 6^, n. 34089 del 7 luglio 2003).

    4. Non meritano accoglimenti i rilievi formulati da L., P. e F. circa le modalità di espletamento delle due perizie - una di trascrizione delle intercettazioni telefoniche e ambientali e l'altra fonica e di trascrizione delle medesime intercettazioni, affidate dal Tribunale a due diversi esperti tecnici - il ruolo svolto dagli ausiliari, il metodo di attribuzione delle voci agli imputati da parte della polizia giudiziaria, l'omesso apprezzamento delle consulenze tecniche di parte.

    Entrambe le sentenze di merito hanno effettuato una puntuale illustrazione delle specifiche competenze professionali dei periti e degli ausiliari di cui essi si sono avvalsi previa autorizzazione del giudice, nonchè della piena attendibilità delle tre metodologie seguite. In proposito hanno correttamente osservato che il metodo socio-linguistico (o prova soggettiva di ascolto) si fonda sulla valorizzazione delle iterazioni di parole, della provenienza culturale e regionale, delle inflessioni dialettali e di tutto ciò che, all'ascolto, può caratterizzare con continuità l'emissione della voce di un individuo. Per facilitare il confronto percettivo esso utilizza un campionatore digitale, grazie al quale vengono ascoltate in rapida sequenza le frasi dell'ignoto e dei sospettati, così eliminando i "tempi morti" del riascolto mediante registratori che cancellano parzialmente la memoria acustica, fondamentale in tale tipo di ascolto. Grazie a tali tecniche l'analisi percettiva assume un buon grado di affidabilità ai fini della somiglianza o della distinzione delle voci. I giudici di merito hanno, inoltre, rilevato che il metodo strumentale consiste nell'analisi spettrografica ovvero nel confronto delle voci mediante strumentazione tecnica adatta ed è espresso attraverso un grafico tridimensionale, riportante sull'asse orizzontale il tempo, su quello verticale la frequenza e, come terza dimensione, l'energia su scale logaritmica del segnale, rappresentata dal maggiore o minore annerimento della carta. Il risultato è espresso in percentuale, poichè il metodo si fonda su considerazione statistica, atteso che la voce umana non è unica nè immutabile, presentando differenze (c.d. "intraparlatore") a seconda del momento e del contesto in cui viene prelevata. Il riconoscimento va, quindi, ritenuto affidabile, quando le differenze trai dati dell'ignoto e quelli del sospettato non eccedono i limiti delle ordinarie differenze "intraparlatore". Infine, il metodo di analisi parametrica delle vocali formanti medie si basa sul combinato disposto di durata, rapporto segnale-rumore e banda passante.

    I giudici di merito, con motivazione immune da vizi di alcun tipo, hanno altresì sottolineato che le suddette metodologie devono essere, a loro volta, combinate con il criterio di ordine logico- contenutistico, fondato sui riferimenti nominativi o sugli argomenti trattati nel corso di una conversazione, costituenti anch'essi un indubbio ausilio nell'attribuzione della stessa ad un determinato soggetto. All'esito di un'approfondita valutazione critica della metodologica seguita dai periti - apprezzata anche alla luce dei rilievi formulati dai consulenti di parte e delle memorie da essi depositate- e della ritualità dei saggi fonici acquisiti, le Corti territoriali, con iter argomentativo logicamente articolato e coerente con le premesse, hanno puntualmente indicato gli elementi su cui si è basata l'attribuzione dei colloqui captati, dotati di specifico rilievo probatorio, agli imputati.

    Inconferenti sono anche le censure concernenti il ruolo svolto dagli ausiliari, emergendo dalla complessiva motivazione del provvedimento impugnato che ogni attività è stata compiuta alla presenza e/o sotto il costante controllo dei periti che l'hanno coordinata ed hanno provveduto personalmente, oltre che alla percezione e alla trascrizione del contenuto dei colloqui, alla formulazione del giudizio finale circa l'identità di coloro che vi prendevano parte, tenuto conto anche del complesso degli elementi acquisiti e degli apporti dei consulenti di parte.

    La sentenza impugnata, infine, ha correttamente proceduto a leggere, in maniera coordinata, quanto riferito dai periti nel corso dell'esame, le risultanze delle perizie trascrittive e foniche, i tabulati delle utenze mobili, gli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria circa i possessori delle singole utenze cellulari, le celle dalla stesse agganciate, gli spostamenti posti in essere dagli imputati, i rapporti intercorrenti tra gli stessi, nonchè, infine, le testimonianze degli ufficiali di polizia giudiziaria circa il complesso delle indagini svolte, le risultanze delle attività di osservazione, pedinamento, controllo, perquisizione e sequestro.

    All'esito di tale articolato e rituale procedimento di descrizione e valutazione delle singole prove, ha fornito una motivazione coerente e logica, fondata sull'esame delle circostanze di fatto (in quanto tali insindacabili in sede di legittimità, ove sorrette, come nel caso di specie, da adeguata argomentazione), in merito all'identità dei soggetti che prendevano parte alle conversazioni telefoniche e ambientali e al contenuto e al significato dei colloqui tra gli stessi intercorsi a proposito degli illeciti oggetto del presente processo. In tale contesto non possono, quindi, trovare accoglimento i rilievi prospettati dai difensori che, pur denunciando formalmente violazione delle regole preposte allo svolgimento delle perizie, al metodo di valutazione indiziaria, mancata risposta alle consulenze tecniche di parte, sono, in realtà, tese a sollecitare una lettura alternativa delle emergenze processuali, non consentita in sede di legittimità in presenza di una sentenza (come quella in esame) sorretta da un solido e coerente apparato argomentativo che ha ampiamente illustrato le ragioni poste a base della decisione adottata.

    5. Privi di pregio sono anche i rilievi di P. circa la valenza indiziaria del riconoscimento operato dalla teste Ma.Ce. e del disegno da costei effettuato nell'immediatezza del fatto.

    Il giudice di merito può trarre il proprio convincimento anche da ricognizioni non formali, potendo attribuire concreto valore indiziante all'identificazione dell'autore del reato mediante riconoscimento fotografico, che costituisce accertamento di fatto utilizzabile in virtù dei principi di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice (Sez. 2^, n. 8315 del 13 gennaio 2009; Sez. 4^, n. 45496 del 14 ottobre 2008).

    Nel caso di specie i giudici di merito hanno concordemente evidenziato il contesto spazio-temporale (avvicinamento dell'uomo incappucciato e armato di un fucile mitragliatore che sfilava le chiavi di accensione dell'auto su cui la donna viaggiava insieme con i suoi figli) in cui la Ma.Ce. ebbe modo di vedere in volto l'imputato, le ragioni (improvviso cedimento del passamontagna che scopriva gli occhi, il naso e la bocca di P.) per le quali ciò fu possibile, le particolari competenze tecniche della teste che, quale disegnatrice, fu in grado di memorizzare subito alcuni particolari tecnici e di riprodurli immediatamente in un disegno, messo a disposizione degli inquirenti. Hanno, altresì, messo in luce la particolare coerenza tra i particolari fisici (forma degli occhi, delle sopracciglia, del naso e della bocca) riferiti e riprodotti graficamente dalla teste, l'identikit realizzato dalle forze di polizia e le effettive sembianze dell'imputato, quali emergenti anche dagli album fotografici contenenti l'effigie di P.. Sulla base di tali elementi hanno fornito una puntuale e logica spiegazione in ordine all'attendibilità del racconto della teste, della individuazione da costei operata in sede di indagini preliminari e della genuinità della ricognizione informale effettuata a dibattimento.

    Inconferenti sono i rilievi difensivi concernenti l'inutilizzabilità a dibattimento dello schizzo eseguito dalla Ma.Ce.

    subito dopo l'accaduto, trattandosi di documento redatto da un soggetto estraneo al procedimento, ritualmente utilizzato dalla teste a supporto della memoria e acquisito dai giudici nel rispetto del disposto di cui all'art. 234 c.p.p. (Sez. U., n. del 24 settembre 203, Torcasio) in ordine al quale si è instaurato regolarmente il contraddittorio.

    6. Non fondati sono i rilievi di F. in merito al prelievo e all'utilizzazione delle tracce biologiche.

    Occorre premettere che il prelievo di tracce biologiche su un oggetto rinvenuto nel luogo del commesso reato e le successive analisi dei polimorfismi del DNA, per l'individuazione del profilo genetico al fine di eventuali confronti, sono utilizzabili, quando l'indagine preliminare si svolga contro ignoti e non sia stato possibile osservare le garanzie di partecipazione difensiva previste per gli accertamenti tecnici irripetibili compiuti dal Pubblico ministero (Sez., 2^, n. 37708 del 24 settembre 2008; Sez. 2^, n. 45929 del 24 novembre 2011).

    In tema di accertamento tecnico non ripetibile, infatti, gli avvisi previsti dall'art. 360 c.p.p. sono dovuti solo in presenza di consistenti sospetti di reato sia sotto il profilo oggettivo che in ordine alla sua attribuibilità soggettiva (Sez. 4^, n. 7202 del 21 novembre 2003; Sez. 1^, n. 37072 dell'8 giugno 2004).

    Nel caso in esame i giudici di merito hanno correttamente argomentato, sulla base della testimonianza resa dalla dott.ssa Ca. - appartenente alla Sezione genetica forense del Gabinetto centrale di Polizia scientifica di Roma - e della nota da costei trasmessa al Direttore del servizio il successivo 28 agosto 2008, che, all'epoca dei prelievi e dei successivi accertamenti genetici svolti sul guanto rinvenuto in sede di sopralluogo ai primi di luglio 2008 presso il furgone rubato "Fiat Ducato" dato alle fiamme, il procedimento era ancora contro ignoti, tant'è che il profilo genetico estratto dal guanto era stato ricostruito senza alcun tipo di confronto. Ne consegue che, in coerenza con i principi in precedenza enunciati, non sussisteva alcun obbligo di dare l'avviso previsto dall'art. 360 c.p.p. e che l'esito di tale accertamento è stato ritenuto pienamente utilizzabile dai giudici di merito.

    La Corte territoriale ha, inoltre, osservato, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, che il test alcolemico - acquisito con verbale del 23 ottobre 2008 del Commissariato P.S. di Cerignola e da questo trasmesso al Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato - costituiva un atto non invasivo, effettuato con il consenso di F. e ripetibile, in quanto tale non necessitante del rispetto delle garanzie difensive stabilite dal combinato disposto degli artt. 359 bis, 360 e 369 bis c.p.p., autonomamente svolto in un diverso contesto e che, solo all'esito delle relative comparazioni con il profilo genetico estratto dal guanto, dava un risultato positivo in relazione alla persona di F..

    7. Non meritano accoglimento i rilievi formulati dalla difese di tutti gli imputati in ordine alla struttura motivazionale della sentenza impugnata.

    7.1. La mancanza della motivazione è esplicitamente annoverata tra i vizi della motivazione denunziabili mediante ricorso per cassazione.

    Secondo la Relazione preliminare al codice di rito, l'espressione "omessa motivazione" (sostituita nel testo definitivo con le parole "mancanza ... della motivazione"), distinta dalla mera "insufficienza", non deve essere intesa unicamente in senso materiale o grafico, ossia come totale mancanza della parte espositiva delle ragioni della decisione, ma anche come mancanza di singoli motivi esplicativi, sempre però che questi siano ineliminabili nel rapporto tra i temi sui quali si doveva esercitare il giudizio e il contenuto di questo. Il vizio sussiste quando la motivazione adottata non sia rispondente ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi, anche in relazione alle censure proposte dalle parti, oppure quando risulti non intellegibile il filo logico seguito dal giudice di merito nella ricostruzione del fatto ovvero le linee argomentative si presentino del tutto scoordinate e incoerenti, al punto che rimangono assolutamente incomprensibili le ragioni che hanno giustificato la decisione. In tale contesto, per il regime di rilevabilità del vizio, assumono valore decisivo le ragioni addotte nel giudizio d'appello, essendo l'impugnazione qualificata dalla risposta che il giudice del gravame è tenuto ad adottare e, in definitiva, dalla doverosa esplicitazione della scelta probatoria seguita.

    7.2. La nozione del vizio di mancanza della motivazione, inteso come assoluto omesso esame dei punti di doglianza sottoposti all'esame del giudice del gravame, rimanda alla tematica della motivazione per relationem.

    Con specifico riguardo al controllo della sentenza di primo grado da parte del giudice d'appello, il mero richiamo degli elementi di prova, degli argomenti e della ratio decidendi della decisione di primo grado è consentito soltanto quando le doglianze non contengono elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi dal giudice di prime cure oppure deducono questioni generiche, superflue, non pertinenti o manifestamente inconsistenti.

    La possibilità di procedere all'integrazione delle sentenze di primo e secondo grado, così da farle confluire in un unico prodotto cui il giudice di legittimità deve fare riferimento, richiede che le due decisioni abbiano utilizzato criteri omogenei e seguito un apparato logico-argomentativo uniforme (Sez. U., n. 6682 del 4 febbraio 1992).

    Nei rapporti tra il modello legale dell'obbligo di motivazione e i limiti del relativo controllo di legittimità, il Collegio osserva che il giudice di merito, per giustificare la decisione, non deve esaminare tutte le emergenze probatorie, ma soltanto quelle ritenute essenziali, sicchè quelle non menzionate devono intendersi implicitamente disattese alla stregua della stessa struttura argomentativa della sentenza. Di talchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice e per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del c.d. "vizio di preterizione", denunziato a causa del silenzio su una specifica deduzione prospettata col mezzo di gravame che, in effetti, nonostante l'omessa esplicita confutazione della tesi ivi postulata, risulta disattesa implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. L'adeguatezza della motivazione, caratterizzata nel disegno del legislatore da concisione ed essenzialità, è compatibile, pertanto, con la tecnica argomentativa della motivazione implicita.

    7.3. Alla luce dei principi sinora esposti, nel caso in esame non sussistono i vizi denunciati dai ricorrenti. La sentenza impugnata, infatti, dopo avere ampiamente ripercorso la ricostruzione del fatto, le risultanze probatorie, gli elementi acquisiti nei confronti ciascuno degli imputati ed il metodo logico-valutativo adottato dalla sentenza di primo grado, ha illustrato con puntualità i motivi d'impugnazione, evidenziando correttamente che "una parte assolutamente preponderante dei motivi d'appello" riguardavano "circostanze e questioni già avanzate nel corso del processo di primo grado ed esaminate, affrontate e risolte con dovizia e profondità di motivazione dal primo giudice" (cfr. f. 127 della sentenza impugnata). Ha, altresì, osservato che "la ricostruzione di fatto dell'agguato del 30 giugno operata dal Tribunale non" era, "nella sostanza, contestata da nessuno degli" imputati. Sulla base di queste premesse, la Corte territoriale ha, quindi, proceduto ad affrontare le singole questioni prospettate, sottolineando, di volta in volta, la sussistenza o meno di profili di novità rispetto alle problematiche già in precedenza trattate, al fine di discernere le tematiche meritevoli di nuova, specifica considerazione e quelle che, limitandosi a reiterare censure cui il Tribunale aveva già fornito condivisibile risposta, meritavano un meditato rinvio alla struttura argomentativa della sentenza di primo grado con la quale quella d'appello s'integrava sì da dar luogo ad un unico prodotto. La Corte territoriale ha, infine, specificamente indicato, in relazione alla posizione di ciascuno degli imputati, gli elementi di prova che giustificavano l'affermazione di penale responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio e ha illustrato, con spiegazione logica ed adeguata (salvo quanto si dirà in ordine al contestato delitto associativo) le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento. L'omessa, esplicita confutazione di tutte le tesi sostenute dalle difese degli imputati con i rispettivi mezzi di gravame non assume, quindi, rilievo, dovendosi le stesse ritenere implicitamente disattese nel contesto giustificativo di una decisione compiuta, strutturata sul canone epistemologico dell'oltre ogni ragionevole dubbio, sulla doverosa ponderazione delle ipotesi antagoniste (art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), su una conclusione caratterizzata da un alto grado di attendibilità razionale circa l'attribuibilità delle condotte contestate a ciascuno degli imputati e sulla ponderata esclusione dell'interferenza di decorsi alternativi.

    8. Non fondato è anche il motivo di ricorso, formulato dalla difesa di F., in tema di metodo di valutazione degli indizi.

    Nella giurisprudenza di questa Corte è stato chiarito che il procedimento logico di valutazione degli indizi si articola in due distinti momenti. Il primo è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente, tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza. Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall'esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio (notoriamente) si somma e, di più, si integra con gli altri, di talchè il limite della valenza di ognuno risulta superato con la conseguenza che l'incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria e l'insieme può assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto... che - giova ricordare - non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metolodogica che giustifica e sostanzia il principio del c.d. libero convincimento del giudice (Sez. Un., n. 6682 del 4 febbraio 1992).

    Le linee dei paradigmi valutativi della prova indiziaria sono state ribadite dalle Sezioni Unite che hanno evidenziato che il metodo di lettura unitaria e complessiva dell'intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può, perciò, prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Sez. Un., n. 33748 del 12 luglio 2005).

    Tale metodo risulta rispettato nel caso in esame in cui i giudici d'appello hanno preso in esame i singoli elementi acquisiti nei confronti di F. e dei suoi correi, hanno spiegato la loro portata e la loro valenza probatoria e, quindi, la loro forza univocamente dimostrativa della penale responsabilità nel contesto di un'organica valutazione unitaria di tutte le emergenze processuali ritualmente acquisite.

    9. Non fondati sono i motivi di ricorso di tutti gli imputati che denunziano i vizi di contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione, travisamento della prova.

    9.1. Alla luce della nuova formulazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l'analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l'individuazione, nel loro ambito, di quei dati che - per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un'unica spiegazione - sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E', invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 6^, n. 10951 del, 15 marzo 2006).

    Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo". Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi - anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso - in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice. Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

    9.2. La categoria logico-giuridica del travisamento della prova deve essere tenuta distinta da quella concernente il vizio di travisamento del fatto. La prima, infatti, a differenza del secondo, implica non una rivalutazione del fatto, che è incompatibile con il giudizio di legittimità, ma la constatazione che esiste una palese divergenza del risultato probatorio rispetto all'elemento di prova emergente dagli atti processuali e che, quindi, una determinata informazione probatoria utilizzata in sentenza, oggetto di analitica censura chiaramente argomentata, è contraddetta da uno specifico atto processuale, pure esso specificamente indicato. La recente riformulazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8 non confermando l'indeclinabilità della regola preclusiva dell'esame degli atti processuali ed ammettendo un sindacato esteso a quelle forme di patologia del discorso giustificativo riconoscibili solo all'esito di una cognitio facti ex actis, colloca il vizio di travisamento della prova, cioè della prova omessa o travisata, rilevante e decisiva, nel peculiare contesto del vizio motivazionale, attesa la storica inerenza di esso al tessuto argomentativo della ratio decidendi (Sez. 1^, n. 20038 del 9 maggio 2006; Sez. 2^, n. 13994 del 23 marzo 2006).

    In virtù della novella legislativa del 2006 viene ad assumere, pertanto, pregnante rilievo l'obbligo di fedeltà della motivazione agli atti processuali-probatori, risultandone valorizzati i criteri di esattezza, completezza e tenuta informativa e, al contempo, rafforzato quell'onere di "indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto" a sostegno del singolo motivo di ricorso, che già gravava sul ricorrente ai sensi dell'art. 581 c.p.p., lett. c).

    Il vizio di prova "omessa" o "travisata" sussiste, peraltro, soltanto quando l'accertata distorsione disarticoli effettivamente l'intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione, per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale-probatorio trascurato o travisato, secondo un parametro di rilevanza e di decisività.

    10. Esaminata in quest'ottica la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse, perchè il provvedimento impugnato, con motivazione esente da evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, ha puntualmente indicato, con riguardo alla posizione di ciascuno degli imputati, gli elementi che consentono di ritenere provata la loro responsabilità, al di là di ogni ragionevole dubbio, in relazione ai delitto loro rispettivamente contestati (eccezion fatta per quanto si dirà appresso in ordine al delitto di cui all'art. 416 c.p.).

    10.1. Con riferimento alla posizione di V.S. i giudici di merito, con motivazione immune da vizi logici e giuridici e fondata sulla corretta lettura delle emergenze processuali, hanno valorizzato, innanzitutto, le risultanze degli accertamenti tecnici e della perizia svolti sul materiale repertato in occasione dell'intervento volto a spegnere le fiamme appiccate al furgone "Fiat Ducato" rubato, rinvenuto l'1 luglio 2008. Hanno illustrato, in maniera approfondita, le specifiche competenze tecniche del perito designato, l'attendibilità, alla luce delle più accreditate e moderne acquisizioni scientifiche, delle metodologie utilizzate per analizzare i reperti, l'elevata attendibilità dei risultati così ottenuti, la sicura riconducibilità all'imputato ("piena similitudine del disegno papillare sia nell'andamento che nella morfologia delle creste...diciotto minuzie caratteristiche uguali per forma e posizione in assenza di difformità" secondo quanto evidenziato dalla perizia dattiloscopica va.) del profilo genetico rilevato sulla busta - completamente "pirolizzata" all'esterno e, quindi, non attinta direttamente da temperature elevate tali da provocarne la deformazione e idonea a preservare il c.d. "nocciolo interno" - destinato alla custodia del denaro rapinato.

    La sentenza impugnata ha, inoltre, valorizzato, con iter argomentativo correttamente sviluppato, le testimonianze di G. A. e Gh., comprovanti l'apporto fornito anche da V., oltre che da G.F., formale intestatario del contratto - per la locazione di un garage e dell'appartamento di via (OMISSIS) in Bologna, all'interno del quale venivano rinvenuti oggetti funzionali alla commissione di rapine (spadini e centraline elettroniche strumentali all'accensione di auto rubate e, nel motore della lavatrice, di una pistola Franchi, mod. "Llama, cal. 38, risultata sottratta alla guardia giurata D.L.A. in occasione dell'assalto ad un altro furgone portavalori, avvenuto il 2 aprile 2004. I giudici di merito, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, evidenziavano l'importanza strategica dell'appartamento di via (OMISSIS) quale base logistica del ricorrente e dei suoi complici e, in tale prospettiva, attribuivano rilievo al versamento anticipato di sei mensilità di canone al momento della stipula del contratto, alla frequentazione dello stesso da parte di L.F.P. - quale risultante dai servizi di osservazione e pedinamento svolti dalla polizia giudiziaria - al possesso delle chiavi dell'abitazione e dei telecomandi dei garage da parte di S.P. (arrestato il (OMISSIS) 2008 insieme con Pr.Ro. e separatamente giudicato e condannato), ai plurimi tentativi di accesso al suddetto appartamento effettuati nell'ottobre 2008, ai frenetici contatti intercorsi, tra l'altro, tra L., P., F. per avere notizie di S.P. e per riuscire a recuperare quanto custodito all'interno dell'abitazione, oltre nei due garage di via (OMISSIS).

    Nella medesima ottica e a riprova dei rapporti intrattenuti da V.S. con G.F. (anch'egli incaricato di accedere alla casa di via (OMISSIS) e separatamente processato) venivano richiamati i rilevamenti effettuati tramite il sistema g.p.s. installato sull'auto di (OMISSIS) che, letti congiuntamente ai tabulati dell'utenza in uso a V., evidenziavano spostamenti di quest'ultimo da Bologna a Cerignola e viceversa nel mese di luglio 2008, nonchè la frequentazione di S.P. fino al 22 ottobre 2008, giorno in cui V. accompagnava S.p. con l'auto di G.F. all'autostrada A14, dove, nel tratto compreso tra Bologna San Lazzaro e Faenza, S.P. veniva recuperato da Pr.Ro.. Poco dopo questo spostamento S.P. veniva arrestato in orario del tutto compatibile con i movimenti in precedenza illustrati.

    La sentenza impugnata sottolineava, in proposito, la circostanza che, all'atto dell'arresto, in possesso di S.P. venivano trovati un telefono cellulare sulla cui rubrica era memorizzata, in corrispondenza del nominativo "SAV" l'utenza n. (OMISSIS), intestata a Fa.Gi., più volte contattata da S.P. poco dopo la sua fuga del 20 ottobre 2008. Osservavano, inoltre, che, il 21 ottobre 2008, l'utenza di S.P. agganciava più volte la cella corrispondente a via Capramozza a Bologna (nel cui raggio di irradiazione risiedeva I.V.M., sentimentalmente legata a V.S.), più volte agganciata dalle utenze in uso a V.S. e, in particolare, nella mattina del 22 ottobre 2008, giorno dell'arresto di S.P.. Rilevavano che la medesima utenza, intestata formalmente a Fa.Gi., risultava annotata su di un foglietto, trovato anch'esso in possesso di S. P. il 22 ottobre 2008, e che, accanto ad essa, risultava scritto il nome " S.". I giudici di merito osservavano, sulla base delle deposizioni rese da Na. e Ga., che tale utenza transitava sull'IMEI di un telefono cellulare da cui transitavano anche altre utenza intestate a V.S. e che, in occasione dell'arresto di G.F., in disponibilità di quest'ultimo veniva rinvenuto un telefono cellulare nella cui rubrica era memorizzata un'utenza accanto al nominativo " S. Wind".

    Particolare rilievo veniva, inoltre, attribuito all'analisi dei tabulati delle utenze riconducibili a V. e delle celle agganciate durante gli spostamenti del possessore delle stesse. Da tali atti risultava che il 30 giugno 2008, tra le ore 16,52 e le ore 18,53, dalle cabine telefoniche pubbliche poste nelle aree di servizio Rubicone est ed ovest - tra loro collegate da un cavalcavia - partivano sei chiamate, quattro dirette all'utenza intestata a Pa.Ca., moglie di V., e in uso a quest'ultimo e due a quella in disponibilità di G.F..

    Valutate in tale contesto le censure difensive non contestano, in realtà, l'impianto motivazionale, le regole inferenziali usate dai giudici di merito e il contenuto informativo delle prove poste a base della penale responsabilità dell'imputato, bensì, denunciando formalmente il travisamento delle prove con particolare riguardo alla deposizione di p., sollecitano una non consentita diversa valutazione del materiale raccolto più favorevole alle tesi della difesa. Anche sotto questo profilo, dunque, i rilievi difensivi non meritano accoglimento salvo quanto si dirà in ordine al delitto di cui all'art. 416 c.p..

    10.2. Relativamente alla posizione di F.E. i giudici di merito richiamavano, in primo luogo, le risultanze del sopralluogo effettuato l'1 luglio 2008 a seguito della segnalazione del furgone "Fiat Ducato" dato alle fiamme che consentiva il rinvenimento di un guanto nero, di materiale elastico, parzialmente integro (reperto 19- g del verbale di sopralluogo). Illustravano approfonditamente, le metodologie, le procedure, la natura degli accertamenti scientifici svolti in proposito dalla dott.ssa Ca., in servizio presso la sezione di genetica forense del Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica di Roma, dotata di elevata e specifica competenza tecnica e la particolare affidabilità delle conclusioni cui la stessa perveniva sulla base della migliore scienza e dell'utilizzo delle più moderne attrezzature esistenti. In base ad esse il profilo genetico estrapolato dal guanto risultava perfettamente corrispondente per quindici marcatori - e, quindi, con criteri di assai elevata probabilità scientifica prossima alla certezza - a quello rilevabile dai test alcolemici cui F. era stato sottoposto dal Commissariato di Cerignola.

    La sentenza impugnata poneva a base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato il contenuto delle numerose intercettazioni, evidenzianti che, dopo l'arresto di S.P., F. veniva raggiunto telefonicamente da P.G. e L.F.P. che lo incaricavano di salire a Bologna e di contattare T.V. - appositamente sollecitato da P. - per il recupero del materiale custodito nell'appartamento di via (OMISSIS) e nei garage di via (OMISSIS) a Bologna.

    Nell'ambito dell'iter argomentativo correttamente articolato particolare rilievo probatorio veniva attribuito alla conversazione del 29 ottobre 2008, n. 34 - oggetto di perizie foniche e trascrittive effettuate nel rispetto delle norme processuali da persone dotate di specifiche e comprovate doti tecniche - da cui emergeva che era proprio F. uno dei tre interlocutori che parlavano di sottofondo nel corso della telefonata, effettuata al cellulare di G.F., incaricato dell'accesso alle basi logistiche, ma nel frattempo tratto in arresto. Il contenuto dei dialoghi captati veniva posto in correlazione logica con l'analisi dei tabulati delle utenze in uso all'imputato e delle celle telefoniche da esse agganciate, evidenzianti che, nelle date del 23 e 30 giugno 2008 e 1 luglio 2008, vi era una consistente riduzione dei contatti giornalieri, di solito molto intensi (ben 1623 contatti nel periodo dall'1 gennaio 2008 al 31 ottobre 2008) e un'inspiegabile continuativa presenza, nell'arco dell'intera giornata, presso l'autoparco "Greenpark" di Cerignola, dove F. collaborava.

    Tale circostanza non trovava riscontro in improvvise esigenze di lavoro e neppure nella testimonianza di St.Cr.

    (datore di lavoro e cugino di F.), il quale riferiva che non era richiesta la loro presenza assidua e costante presso l'autoparco, ma soltanto la disponibilità immediata a rispondere al cellulare per risolvere eventuali problemi in caso di blocco del cancello automatico. L'inattività dell'utenza cellulare nei giorni della "prova generale" e della consumazione effettiva della rapina veniva, con motivazione esente da qualsiasi vizio, ritenuta dai giudici dimostrativa dell'adozione, anche da parte di F., del modus operandi tipico degli altri soggetti accusati dell'assalto il 30 giugno 2008 ai furgoni blindati portavalori, consistente nel non utilizzo delle utenze personali o familiari in occasione dell'esecuzione di reati o delle attività ad esse strumentali, conformemente ad una regola di prudenza volta ad ostacolare eventuali indagini.

    I rilievi formulati dalla difesa del ricorrente, lungi dal contestare la struttura logico-argomentativa della sentenza impugnata e la valenza dimostrativa delle prove poste a carico dell'imputato, tendono, in realtà, a provocare una rilettura degli elementi acquisiti (valenza degli accertamenti genetici, perizie trascrittive e foniche dei colloqui captati) non consentita in presenza di una motivazione compiutamente articolata che ha fornito puntuale giustificazione in ordine al materiale probatorio che consente di ritenere comprovata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell'imputato in ordine ai delitti a lui ascritti, salvo quanto si dirà in merito al delitto di cui all'art. 416 c.p..

    10.3. In merito alla posizione di P.G. la Corte territoriale forniva una motivazione compiuta e logica degli elementi univocamente dimostrativi della penale responsabilità dell'imputato in ordine ai delitti a lui contestati. A tale riguardo venivano richiamati la deposizione di Ma.Ce., ritenuta dotata di credibilità intrinseca ed estrinseca, le caratteristiche dell'identikit da lei redatto nell'immediatezza del fatto (ritualmente acquisito come documento), l'esito della individuazione fotografica e della ricognizione informale effettuata dalla donna a dibattimento, il contenuto delle intercettazioni telefoniche evidenzianti i plurimi contatti, anche personali, intercorsi tra l'imputato e L. per organizzare il recupero del materiale custodito nell'appartamento di via (OMISSIS) e nei garage di via (OMISSIS) a Bologna, le sollecitazioni rivolte da P., tramite T.V., a F., che, essendo in possesso delle chiavi di accesso ai suddetti luoghi, veniva richiesto di salire a Bologna, nonchè il colloquio di P., F. e L. sul medesimo oggetto nel corso della telefonata del 29 ottobre 2008, n. 34, oggetto di approfonditi accertamenti peritali da parte di persone dotate di specifiche competenze tecniche, secondo quanto già in precedenza illustrato.

    Degna di nota anche per la posizione di P.G. veniva ritenuta la circostanza, desumibile dall'analisi dei tabulati e dalle deposizioni degli ufficiali di polizia giudiziaria, che l'utenza "familiare" in uso a P. risultava pressochè inattiva nei giorni coincidenti con le fasi salienti di preparazione, organizzazione, esecuzione della rapina, mentre, specie dopo il 30 giugno 2008, essa segnalava una ripresa dei contatti. Anche a tale proposito la sentenza impugnata osservava che tale modalità era coerente con la prassi adottata dal gruppo criminale di non utilizzare le utenze personali o familiari in coincidenza con la commissione degli illeciti, bensì di ricorrere ad utenze riservate, intestate a terze persone, per le comunicazioni inerenti all'attività criminosa oppure a cabine pubbliche dalle quali risultava difficile risalire all'interlocutore.

    I giudici di merito, con motivazione particolarmente diffusa e puntuale, esente da illogicità o incongruenze, attribuivano rilievo alla falsità dell'alibi offerto da P., tenuto conto delle testimonianze rese ( Z.F., Ga., Co., Fo.), della documentazione acquisita, degli accertamenti tecnici e delle indagini informatiche svolte sul sistema in uso all'ospedale di Cerignola, atti tutti evidenzianti che: a) in data 1 luglio 2008, P. non era stato sottoposto ad alcuna radiografia; b) presso il reparto radiologia dell'ospedale di Cerignola non risultavano registrate radiografie a nome di P.G.; c) l'1 luglio 2008 soltanto Z.F. risultava avere effettuato una radiografia per un trauma assolutamente compatibile con la diagnosi fatta quel giorno; d) P. era privo della richiesta di radiografia che avrebbe dovuto essere formulata dal medico che lo aveva visitato il 30 giugno e sarebbe dovuta rimanere archiviata insieme con le radiografie; e) non era stato pagato alcun ticket sanitario per i certificati apparentemente rilasciati al nome di P.; f) non esistevano gli originali dei due referti cartacei, mai inviati all'ufficio preposto al controllo e al sollecito dei pagamento dei ticket; g) l'assenza della radiografia cui, asseritamente, P. era stato sottoposto; g) l'esistenza di due codici alfanumerici (c.d. "record") abbinati al nome di P. G., incompatibili con il sistema di archiviazione, sotto un unico codice identificativo; h) la sostituzione del nominativo di Z.F., abbinato al codice identificativo (OMISSIS), con quello di P., comprovato dall'accertamento condotto su un back up relativo ai dati aggiornati alla data del 9 luglio 2008; i) la modifica manuale del nominativo effettuata tra il 9 luglio 2008 e il 18 dicembre 2009, senza alcuna variazione sul sistema della chiave identificativa anagrafica assegnata in origine a Z.F.; l) l'immodificabilità della chiave identificativa personale pure a fronte della possibilità, tramite apposita password di accesso, di richiamare l'anagrafica di un assistito e di cambiarne le generalità; m) l'impossibilità tecnico-informatica di creare due chiavi identificative identiche nello stesso giorno per due soggetti diversi.

    10.4. Con riguardo a L.F.P. entrambe le sentenze di merito ravvisavano la sussistenza di un quadro probatorio al di là di ogni ragionevole dubbio sulla base di un complesso di elementi, sorretti da solida e compiuta motivazione, valutati organicamente nella loro valenza univocamente dimostrativa.

    Particolare importanza veniva attribuita alla presenza sull'autostrada A 14, in data 30 giugno 2008, in prossimità del furgone "Fiat Ducato" rubato, dell'auto "Renault Clio", intestata Lo.Sa. e in uso a L.F.P., comprovata dai rilevamenti del sistema "tutor" che registrava la presenza della macchina insieme alle altre coinvolte nell'assalto ai furgoni blindati portavalori. Tale circostanza veniva logicamente correlata agli accertamenti svolti in merito all'utilizzo della tessera "viacard" (OMISSIS), utilizzata da un veicolo facente parte del gruppo di auto che, il 23 giugno 2008, percorreva i tragitti dei furgoni blindati portavalori, poi rapinati il 30 giugno 2008, e associata all'auto "Renault Clio", intestata, fino al 31 luglio 2008, a T.G., detta C., moglie del ricorrente, e poi ceduta a M.D. (padre di M.F.), all'accertata presenza dell'auto in prossimità delle basi logistiche di Rimini e Bologna, all'utilizzo dell'auto anche da parte di S.P. (separatamente giudicato),alla frequentazione di S.P., rilevata dai servizi di osservazione e pedinamento.

    La sentenza impugnata evidenziava correttamente anche la circostanza che l'esame congiunto dei dati forniti dalla registrazione "tutor" e dai sistemi di pagamento del pedaggio autostradale con tessera "viacard" permettevano di accertare la presenza dell'imputato anche in occasione del sopralluogo seguito il 16 giugno 2008 presso la sede della ditta Battistolli, posta in Cesena.

    La Corte territoriale richiamava le indagini svolte dalla polizia giudiziaria, i servizi di osservazione e pedinamento, le intercettazioni telefoniche e ambientali, le risultanze dei tabulati delle utenze cellulari in uso ai ricorrenti e dei sistemi di rilevazione satellitare installati sulla "Renault Clio" in uso a L. e sulla "Ford Focus" in disponibilità di S.P., le dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti quali altrettanti elementi comprovanti che: a) l'imputato disponeva di plurime utenze telefoniche cellulari, intestate a terze persone; b) s'identificava in L. l'inquilino dell'appartamento di Rimini, riconosciuto da V.A., che aveva lasciato a quest'ultimo gli estremi di talune di queste utenze quali recapiti telefonici; c) l'appartamento di Rimini era frequentato anche da S.P.; d) L. aveva autonomo accesso all'appartamento di via (OMISSIS) a Bologna; e) l'imputato si allontanava da Bologna subito dopo la fuga di S.P., recandosi dapprima a Rovigo e poi a Cerignola; e) Lo.Mi. (padre di L.F.P.), in coincidenza con l'allontanamento del figlio da Bologna, tornava in questa città a bordo del furgone "Master", sottoposto ad intercettazione ambientale, entrava nell'appartamento di via (OMISSIS) a Bologna, da cui usciva poco dopo con una piccola borsa contenente - come rilevato in occasione di un controllo - un telefono cellulare, un mazzo di chiavi, alcun documenti; f) la patente di guida di uno dei formali intestatari ( C.M.) del contratto di locazione dell'appartamento di Rimini si trovava nel parabrezza della "Renault Clio" intestata a Lo.Sa., sorella dell'imputato; g) L. si recava in compagnia di S.P. in Casalecchio di Reno il 18 ottobre 2008, data in cui poi S.P. veniva notato sostare in un parcheggio dal quale era possibile accedere ai locali del caveau della ditta Battistelli.

    Sulla base delle intercettazioni telefoniche, delle relative perizie trascrittive e foniche, delle dichiarazioni rese da R. S., i giudici di merito, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ricostruivano, poi, l'impegno profuso da L. e dai suoi complici, dopo l'arresto di S.P., per recuperare quanto contenuto nell'appartamento di via (OMISSIS) e nei garage di via (OMISSIS) a Bologna.

    Le censure difensive concernenti la tenuta logica della sentenza impugnata non censurano, in realtà, la struttura argomentativa del provvedimento e il contenuto informativo delle prove poste a base della decisione adottata, ma tendono, in realtà, a provocare una diversa interpretazione dei dati acquisiti, non consentita in sede di legittimità in presenza di un discorso giustificativo (come quello in esame), caratterizzato da completezza e intrinseca razionalità nei suoi singoli passaggi logici e nella valutazione complessiva e organica di tutti gli elementi probatori.

    11. Le censure prospettate da tutti i ricorrenti in tema di tentato omicidio volontario non sono fondate.

    11.1. L'istituto del tentativo, disciplinato dall'art. 56 c.p., è correlato al concetto di consumazione del reato, che esprime la compiuta realizzazione di tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie criminosa: può parlarsi di consumazione del reato tutte le volte in cui il fatto corrisponde interamente al tipo astratto delineato dalla norma incriminatrice. Il momento consumativo segna l'esaurirsi dell'iter criminis, che, nei reati dolosi, passa attraverso fasi differenti: a) l'ideazione, che si svolge all'interno della psiche dell'agente e culmina nella risoluzione criminosa; b) la preparazione, caratterizzata dalla predisposizione dei mezzi e dalla ricerca delle occasioni propizie; c) l'esecuzione, che coincide con la realizzazione del progetto criminoso; d) la consumazione vera e propria del reato.

    Il fondamento della punibilità del tentativo - nonostante il mancato perfezionamento della fattispecie incriminatrice - è da ravvisare in un disvalore sia soggettivo che oggettivo. Con riguardo al primo aspetto, è possibile affermare che il tentativo è scuretto da una determinazione criminosa identica a quella del reato perfetto che si manifesta all'esterno attraverso una condotta. Sotto un profilo oggettivo la punibilità del tentativo si giustifica per l'esposizione a pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma ad opera di una condotta aggressiva che sarebbe potuta sfociare nel perfezionamento del reato, non verificatosi per la sopravvenienza di fattori estranei all'intento criminoso.

    Il tentativo si colloca, pertanto, in quella fase di sviluppo dell'iter criminis compreso tra l'ideazione - di per sè mai punibile - e la consumazione, da intendere come realizzazione di tutti gli elementi della fattispecie incriminatrice, che comporta la punibilità in base alla singola disposizione di parte speciale.

    In coerenza con i principi generali di un diritto penale del fatto, qual è quello delineato dalla nostra Costituzione, il fondamento della punibilità del tentativo deve essere, quindi, ravvisato nella esposizione a pericolo (o nella mancata neutralizzazione di un pericolo) per il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

    11.2. La struttura normativa del tentativo è contraddistinta da due elementi essenziali: l'idoneità e l'univocità della condotta, indipendentemente dal fatto che essa sia o meno conforme - interamente o parzialmente - alla condotta tipica della singola fattispecie incriminatrice.

    L'idoneità indica un requisito di capacità causale della condotta di produrre il risultato del perfezionamento del delitto. A differenza del codice Zanardelli del 1889, il codice penale vigente riferisce l'idoneità all'atto e non al mezzo, ossia lo strumento di cui la persona si serve per commettere un delitto. Per effetto di questa modifica, la nozione di idoneità è da riferire non più soltanto allo strumento impiegato dall'agente, bensì comprende i fattori azione-mezzo-oggetto nella loro presenza e "compenetrazione" nella specifica situazione contingente. In tale modo il legislatore ha superato la distinzione classica tra idoneità assoluta (o astratta) e idoneità relativa (o concreta) introducendo, in sua vece, una "concretizzazione dell'idoneità", ossia una valutazione della capacità potenziale degli atti, alla luce di una valutazione prognostica effettuata in base a tutti i dati presenti al momento della condotta, a causare o favorire la realizzazione di un delitto.

    Il requisito dell'univocità degli atti, da intendere non in senso soggettivo, ossia come attinente al proposito dell'agente soggettivamente diretto ("in modo non equivoco") alla realizzazione del delitto, ma in senso oggettivo, indica la necessità che la condotta abbia raggiunto un grado di sviluppo tale da renderla sufficientemente prossima al momento perfezionativo del delitto.

    Anche il requisito dell'univocità, riguardando il grado di sviluppo della condotta, concorre, insieme con quello della idoneità, a connotare il pericolo del perfezionamento del delitto perseguito dall'agente e a fondare una prognosi di perfezionamento del delitto che costituisce la ratio stessa del tentativo. Entrambe possono essere accertate solo in relazione allo specifico delitto come ideato e perseguito dal soggetto.

    Sulla base di quanto sinora esposto è possibile affermare che la "direzione non equivoca" indica non un parametro probatorio, bensì un criterio di essenza e deve essere intesa come una caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono di per sè rivelare l'intenzione dell'agente. L'univocità, intesa come criterio di essenza, non esclude che la prova del dolo possa essere desunta aliunde, ma impone soltanto che, una volta acquisita tale prova, sia effettuata una seconda verifica al fine di stabilire se gli atti posti in essere, valutati nella loro oggettività per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura e la loro essenza, siano in grado di rivelare, secondo le norme di esperienza e secondo l'id quod plerumque accidit, l'intenzione, il fine perseguito dall'agente (Sez. 1^, n. 40058 del 24 settembre 2008; Sez. 2^, n. 36283 del 4 luglio 200; Sez. 1^, n. 43406 del 12 ottobre 2001; Sez. 1^, n. 2587 del 23 ottobre 1997; Sez. 6^, n. 7446 del 13 aprile 1992; Sez. 1^, n. 11453 dell'11 luglio 1988; in senso diverso, per l'affermazione che la nozione di univocità esprime soltanto l'esigenza che in sede processuale sia raggiunta la prova dell'intenzione criminosa, prova peraltro desumibile, oltre che dall'attività realizzata dagli autori del reato, anche da altri elementi, quali la confessione, i precedenti e la personalità del reo cfr. Sez. 6^, n. 25040 del 17 febbraio 2004;

    Sez. 2^, n. 3596 dell'1 febbraio 1994; Sez. 2^, n. 2791 del 7 febbraio 1992; Sez. 1^, n. 7938 del 3 febbraio 1992; Sez. 1^, n. 4495 del 18 marzo 1983; Sez. 5^, n. 8403 dell'11 maggio 1982; Sez. 2^, n. 8524 del 25 febbraio 1977).

    11.3. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi, laddove, con motivazione immune da vizi logici e giuridici fondata sulle deposizioni delle parti offese e degli ufficiali di polizia giudiziaria, sulle risultanze degli accertamenti tecnici eseguiti nell'immediatezza del fatto, sugli esiti delle attività di perquisizione e sequestro, ha valorizzato, quali elementi espressivi della idoneità e univocità degli atti volti alla consumazione del contestato delitto di omicidio volontario in danno delle guardie giurate addette al servizio trasporto valori, la particolare tipologia delle armi (in prevalenza fucili mitragliatoli) e delle munizioni (dotate di un'anima d'acciaio dolce più resistente del normale piombo e di maggiore lesività) usate, la loro micidialità, l'elevata reiterazione dei colpi esplosi (trentacinque contro il furgone della "Coopservice" e ventisette contro quello della ditta "Battistolli") in un brevissimo arco di tempo che cagionavano la progressiva erosione del vetro anteriore centrale, la traiettoria degli stessi (tutti rivolti ad altezza d'uomo contro le teste e la parte alta del torace degli occupanti dei mezzi, visibili dall'esterno), le modalità di esplosione dei colpi concomitanti ai momenti in cui le guardie giurate cercavano di rialzare la testa, la brevissima distanza tra aggressori (tutti dotati di giubbotto antiproiettile) e parti offese, le caratteristiche dei furgoni portavalori, non integralmente blindati che consentivano la penetrazione di un proiettile attraverso la portiera non protetta e di altri proiettili attraverso il cofano anteriore e le bocchette di areazione del furgone della ditta "Battistelli".

    Atteso l'ambito della contestazione relativa al delitto di cui al capo a) e le motivazioni principali poste dai giudici di merito a base del riconoscimento della sussistenza dei relativi elementi costitutivi, devono considerarsi prive di effettivo rilievo e di concreta incidenza sulla complessiva struttura motivazionale le considerazioni svolte in via subordinata nella sentenza impugnata in ordine ad eventuali, ulteriori profili di configurabilità del tentato omicidio in danno delle guardie giurate (pericolo derivante dall'improvviso ostacolo della marcia, ad una certa velocità, dei furgoni portavalori a seguito dello sbarramento del loro percorso cagionato dagli imputati a bordo dei mezzi rubati e conseguente rischio di una loro fuoriuscita dalla sede autostradale).

    12. Non fondate sono le censure di L. relative al mancato riconoscimento della desistenza.

    Sotto il profilo oggettivo, la desistenza (art. 56 c.p., comma 3) si ha quando l'agente si arresta prima di avere posto in essere l'intera condotta tipica, mentre l'ipotesi del recesso attivo, disciplinato dall'art. 56 c.p., comma 4 - detto anche, più impropriamente pentimento operoso - ricorre quando il soggetto, avendo esaurito la condotta tipica, agisce per impedire l'evento e riesce, effettivamente, ad impedirlo.

    La desistenza può aversi solo nella fase del "tentativo incompiuto" e non è configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale capace di produrre l'evento rispetto ai quali può, semmai, operare, se il soggetto agente tiene una condotta attiva che valga a scongiurare l'evento, la diminuente per il cosiddetto recesso attivo (Sez. 1^, n. 42749 del 2 ottobre 2007). Essa postula, pertanto, che l'agente abbandoni l'azione criminosa prima che questa sia portata a compimento e, cioè, prima che egli realizzi compiutamente l'azione tipica della fattispecie incriminatrice, se trattasi di reati a forma vincolata, o che egli impedisca, avendone ancora il dominio, che l'azione sia completamente realizzata quando il delitto è causalmente orientato o a forma libera.

    Tale criterio, valido nell'ipotesi di esecuzione monosoggettiva del delitto, non vale, peraltro, allorchè l'imputato che abbandona l'azione criminosa concorra con altri alla commissione del delitto;

    in tal caso, infatti, l'interruzione dell'azione criminosa da parte del partecipe non basta perchè si abbia desistenza, occorrendo un quid pluris che consiste nell'annullamento del contributo dato alla realizzazione collettiva, in modo che esso non possa essere più efficace per la prosecuzione del reato, e nella eliminazione delle conseguenze dell'azione che fino a quel momento si sono prodotte (Sez. 1^, n. 7513 dell'11 marzo 1991; Sez. 1^, n. 8980 dell'8 luglio 1997; Sez. 6^, n. 6619 del 7 aprile 1999).

    La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi laddove ha argomentato, con motivazione compiuta e logica, che l'azione posta in essere da L. e dai suoi correi integrava gli elementi costitutivi del tentato omicidio volontario (cfr.

    considerazioni svolte al paragrafo che precede) e che la condotta dell'imputato, indivisibile e inscindibile da quella degli altri concorrenti nel reato, non aveva inciso, in termini di causalità efficiente, sull'arresto dell'azione degli altri compartecipi, che, anzi, riuscivano a portare a compimento il loro progetto delittuoso proprio grazie al contributo volontariamente e consapevolmente fornito dall'imputato, il quale aveva espressamente aderito al disegno criminoso che prevedeva l'utilizzo di un elevato numero micidiali, dotate di munizioni con alta potenzialità offensiva, di mezzi rubati, giubbotti antiproiettile, lampeggianti e palette in dotazione delle forze dell'ordine, tessere viacard intestate a prestanome, utenze cellulari per la consumazione della contestata rapina ai danni dei due furgoni portavalori lungo un tratto autostradale oggetto di preventivi sopralluoghi.

    13. Non meritano accoglimento i rilievi di V. in tema di applicabilità dell'aggravante della premeditazione al delitto di tentato omicidio.

    La questione comporta una duplice premessa.

    13.1. Occorre distinguere il tentativo di delitto circostanziato dal tentativo circostanziato di delitto.

    Si versa nella prima ipotesi nel caso in cui, se il delitto fosse giunto a consumazione, sarebbe stato qualificato dalla presenza di una o più circostanze; queste ultime, ancorchè non realizzate compiutamente, rientrano nel proposito criminoso dell'agente. Si versa, invece, nella seconda ipotesi quando le circostanze si perfezionano in tutto o in parte nel contesto della stessa azione tentata.

    13.2. La premeditazione, configurata come circostanza aggravante nei delitti di omicidio volontario ex art. 577 c.p., comma 1, n. 3 e di lesione personale ex art. 585 c.p., comma 1, è contraddistinta da due elementi costitutivi: a) un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso (elemento di natura cronologica); 2) la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica).

    La premeditazione, da inquadrare tra le circostanze attinenti all'intensità del dolo, rappresenta, quindi, una forma di dolo di proposito assai raffinata, caratterizzata dalla persistenza e dalla intensità del proposito criminoso e comporta un aggravamento della pena proprio per la maggiore intensità del dolo che caratterizza l'omicidio premeditato.

    13.3. Nella fattispecie sottoposta all'esame del Collegio si è in presenza di un tentativo circostanziato di delitto, in quanto, in relazione all'attività criminosa posta in essere in concreto dall'imputato e dai suoi correi, durante l'iter del tentativo si sono compiutamente realizzati gli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale considerata. Al riguardo assume particolare rilievo - come esattamente rilevato dai giudici di merito - l'accurata preparazione dell'azione criminosa desumibile dall'anticipato reperimento del rilevante quantitativo di armi, di mezzi rubati, di giubbotti antiproiettile, palette, lampeggianti, da usare per l'assalto ai furgoni blindati portavalori, dalla preventiva intestazione a terzi di utenze cellulari funzionali ai contatti durante l'assalto, dall'acquisto di molteplici tessere "viacard", dai plurimi ed accurati sopralluoghi e pedinamenti dei furgoni blindati portavalori, dallo studio dei loro tragitti e dei tempi di percorrenza del tratto autostradale interessato. Tali dati obiettivi sono stati ritenuti correttamente espressivi del consistente lasso di tempo intercorso tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'effettiva realizzazione dello stesso e della ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell'animo degli agenti fino alla commissione dell'impresa criminosa, consistente nella produzione di un evento gravemente lesivo mediante il necessario e concordato impiego di micidiali armi da sparo, che implicava il consenso preventivo degli imputati all'uso cruento e illimitato delle medesime anche per fronteggiare le eventuali evenienze peggiorative della vicenda o per garantirsi la via di fuga.

    14. Sono, invece, fondati i motivi di ricorso, prospettati da tutti gli imputati, in merito al delitto di associazione per delinquere (art. 416 c.p.), contestato al capo h) delle imputazioni.

    14.1. I requisiti che differenziano l'associazione per delinquere dal concorso di persone nel reato devono ravvisarsi nei seguenti aspetti:

    1) vincolo associativo, tendenzialmente stabile o permanente tra tre o più soggetti, destinato a durare anche dopo la realizzazione di ciascun delitto programmato; 2) indeterminatezza del programma criminoso a fronte, invece, del vincolo occasionale tra più persone circoscritto alla realizzazione di uno o più reati determinati tipico del concorso di persone nel reato; 3) esistenza di una stabile struttura, risultante dall'organizzazione di uomini e mezzi, funzionale a realizzare gli obiettivi criminosi programmati (cfr., ex plurimis Sez. 6^, n. 3886 del 7 novembre 2011; e Sez. 2^, n. 20451 del 30 aprile 2013).

    14.2. La sentenza impugnata, pur enunciando i suddetti principi, non ne ha fatto, in concreto, corretta applicazione e non ha fornito in proposito adeguata motivazione.

    Innanzitutto non ha indicato gli elementi dimostrativi dell'affectio societatis, soffermandosi prevalentemente sui rapporti intercorsi tra gli imputati e gli altri correi separatamente giudicati in vista della consumazione della rapina del 30 giugno 2008. Ha, infatti, valorizzato, elementi che appaiono significativi non per dimostrare la stabilità del vincolo associativo, bensì per ricostruire l'accurata preparazione della rapina del 30 giugno 2008 e il conseguente tentato omicidio in danno delle guardie giurate in servizio sui furgoni blindati portavalori e sicuramente dimostrativi di una particolare intensità del dolo e della sussistenza delle aggravanti contestate, a partire da quella della premeditazione. In proposito ha richiamato i sopralluoghi che hanno preceduto la consumazione della rapina del 30 giugno 2008, nonchè la fase esecutiva, connotata da organizzazione, coordinamento di ruoli, uomini e mezzi, precisione, freddezza e determinazione. In tal modo, però, l'iter argomentativo ha impropriamente sovrapposto gli aspetti attinenti all'accordo sotteso alla commissione di singoli e specifici delitti (la rapina del 30 giugno 2008 e i connessi delitti di tentato omicidio e di violazione alla disciplina sulle armi), alle modalità organizzative ed attuative degli stessi, all'intensità del dolo sotteso a tali condotte con i distinti profili - attinenti invece agli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 416 c.p. - concernenti la sussistenza di un accordo criminoso di più ampio respiro e a tempo indeterminato, volto alla commissione di una serie indeterminata di reati.

    Inoltre, la Corte territoriale, pur dando atto di una pluralità di basi logistiche (l'appartamento e i due garage di Bologna, l'abitazione di Rimini) in uso agli imputati e del copioso materiale rinvenuto in sede di perquisizione (tra cui un fucile mitragliatore, risultante utilizzato, oltre nella rapina del 30 giugno 2008, anche in quella ai danni della ditta "B4" di Bergamo del giugno 2008, due giubbotti antiproiettile sottratti nel corso della rapina di Bergamo, tessere "viacard" rinvenute a bordo delle due auto provento di furto, rinvenute all'interno dei garage di via (OMISSIS) a Bologna e utilizzate per pagare il pedaggio autostradale in occasione del tentativo di rapina ai danni della ditta "Civis Augustus" in data 6 ottobre 2008) ha omesso di illustrare organicamente le ragioni per le quali questi elementi indizianti potessero essere univocamente rappresentativi di una più ampia realtà organizzativa funzionale alla realizzazione di un vasto disegno criminoso e di sviluppare un compiuto ragionamento probatorio in merito alla correlazione fattuale e logica esistente tra quanto rinvenuto in via (OMISSIS) a Bologna, la rapina ai danni del furgone portavalori della ditta "B4" di Bergamo e il tentativo di rapina ai danni del furgone della ditta "Civis Augustus" nei pressi di Cesena.

    Non ha neppure evidenziato, sulla base dei provvedimenti eventualmente adottati dalle competenti Autorità giudiziarie in ordine a questi ultimi due fatti criminosi, se gli stessi risultassero riconducibili agli odierni ricorrenti o a persone con essi concorrenti nei reati e separatamente giudicate o, comunque, a persone in rapporto con essi - secondo quanto emergente dai tabulati delle utenze acquisite, dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, dagli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria - e se, pertanto, anche questi due ulteriori fatti delittuosi potessero essere considerati l'espressione di una stabile struttura organizzativa tesa alla realizzazione di un più ampio programma criminoso in cui gli imputati fossero stabilmente inseriti e alla cui operatività, essi, in virtù dell'affectio societatis, fornivano un consapevole e volontario contributo causalmente rilevante.

    Infine, i giudici territoriali hanno omesso di delineare in maniera compiuta e organica, nella prospettiva del contestato delitto associativo, l'articolata rete di relazioni esistenti tra gli odierni ricorrenti e gli altri coimputati separatamente giudicati per gli stessi fatti o per reati connessi, quale desumibile dalle sentenze irrevocabili pronunziate nei loro confronti e acquisite (o suscettibili di acquisizione) ai sensi dell'art. 238 bis c.p.p..

    15. L'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al capo h) comporta la superfluità dell'esame delle censure prospettate da P. in tema di omesso assorbimento dei reati contestati ai capi a), c), d), e), f), g) nel delitto associativo (capo h).

    16. Devono essere rigettati i motivi di ricorso formulati dalle difese di P., L., V., F. in tema di trattamento sanzionatorio e di modalità del calcolo della pena. Le censure sono articolate sotto plurimi profili che saranno esaminati separatamente.

    16.1. Non meritano accoglimento le doglianze relative alla individuazione del tentato omicidio di cui al capo a) quale reato più grave.

    In tema di determinazione della pena ai sensi dell'art. 81 c.p., deve aversi riguardo alla violazione considerata più grave in astratto e non in concreto (Sez. U, n. 15 del 26 novembre 1997; Sez. U, n. 748 del 12 ottobre 1993; Sez. U, n. 4901 del 27 marzo 1992), sicchè, allorchè occorra individuare il reato più grave, deve farsi riferimento alla pena edittale, ovvero alla gravità "astratta" dei reati per i quali è intervenuta condanna, dandosi rilievo esclusivo alla pena prevista dalla legge per ciascun reato, senza che possano venire in rilievo anche gli indici di determinazione della pena di cui all'art. 133 c.p. che possono contribuire alla determinazione di quella da infliggere in concreto (cfr. Sez. U, n. 4901 del 27 marzo 1992, che, per prima, ha rivisto l'orientamento espresso da Sez. U, n. 9559 del 19 giugno 1982, Alunni, che proprio a tali indici aveva fatto riferimento).

    Ciò posto, però, occorre considerare che la nozione di "violazione più grave" ha una valenza "complessa", che muovendo dalla sanzione edittale comminata in astratto per una determinata fattispecie criminosa, implica la valutazione delle sue concrete modalità di manifestazione. Nel sistema del codice penale, infatti, per sanzione edittale deve intendersi la pena prevista in astratto con riferimento al reato contestato e ritenuto (in concreto) in sentenza, tenendo conto, cioè, delle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata, salvo che specifiche e tassative disposizioni escludano, a determinati effetti, la rilevanza delle circostanze o di talune di esse. Di conseguenza, una volta che sia stata riconosciuta la sussistenza delle circostanze attenuanti e che sia stato effettuato il doveroso giudizio di bilanciamento delle stesse rispetto alle aggravanti, l'individuazione in astratto della pena edittale non può prescindere dal risultato finale di tale giudizio, dovendosi calcolare nel minimo l'effetto di riduzione per le attenuanti e nel massimo l'aumento per le circostanze aggravanti (Sez. U, n. 3286 del 27 novembre 2008; Sez. 1^, n. 24838 del 15 giugno 2010; Sez. 1^, n. 9828 del 05 febbraio 2009; Sez. 4^, n. 47144 del 09 ottobre 2007;

    cfr. Sez. 6^, n. 1318 del 12 dicembre 2002).

    Si deve, pertanto, conclusivamente affermare, che, in tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all'eventuale giudizio di comparazione fra di esse (Sez. U., n. 25939 del 28 febbraio 2013).

    La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi, laddove ha individuato il delitto di tentato omicidio di cui al capo a), sanzionato con la pena edittale più elevata, quale reato più grave, su cui applicare gli ulteriori aumenti di penale a seguito del riconoscimento della continuazione.

    16.2. Prive di pregio sono anche le censure difensive relative al riconoscimento della recidiva contestata a ciascuno dei ricorrenti (a L. la recidiva infraquinquennale, a F. e P. la recidiva specifica, reiterata, infraquinquennale, a V. la recidiva reiterata).

    I giudici di merito, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, hanno spiegato le ragioni per le quali esiste una relazione qualificata tra lo status di recidivo contestato a ciascuno degli imputati e gli allarmanti fatti oggetto del presente processo, sintomatici, in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all'epoca della loro consumazione, di una maggiore colpevolezza, di una più elevata capacità a delinquere e di una marcata insofferenza all'osservanza delle regole di una civile convivenza fondata sul rispetto delle leggi (Sez. U., n. 20798 del 24 febbraio 2011).

    16.3. Non fondati sono i rilievi difensivi in tema di concorso di circostanze aggravanti ad affetto speciale, di inosservanza del disposto di cui all'art. 63 c.p., comma 4, di entità degli aumenti per la continuazione.

    Entrambe le sentenze di merito hanno fissato la pena base per il più grave delitto di tentato omicidio di cui al capo a) in dodici anni e sei mesi di reclusione per P. e in dodici anni di reclusione per V., F., L.. Tale commisurazione corrisponde al minimo edittale per V., F., L. ed è prossima al minimo per P..

    Su tale pena i giudici hanno applicato gli aumenti per la recidiva contestata a ciascuno degli imputati, circostanze aggravante ad effetto speciale, la cui applicazione, sia nell'an che nel quantum, è da ritenere obbligatoria ai sensi dell'art. 99 c.p., comma 5, atteso che i soggetti recidivi hanno commesso un nuovo delitto incluso tra quelli indicati dall'art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), (Sez. U., n. 20798 del 24 febbraio 2011).

    Gli aumenti di pena per la ritenuta recidiva sono stati fissati, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, per P. in quattro anni e due mesi di reclusione e per V., F., L. in quattro anni di reclusione.

    Sulle pene così determinate sono stati operati gli ulteriori aumenti per la continuazione con gli altri delitti contestati, ai sensi dell'art. 81, cpv., c.p., senza peraltro considerare quanto stabilito dal quarto comma della medesima disposizione. Sul punto, peraltro, in assenza di impugnazione del P.G., non può esservi reformatio in peius.

    La modesta entità degli aumenti - pari, per tutti gli imputati, a:

    1) due anni di reclusione per il delitto di cui al capo b; 2) due mesi di reclusione per il reato di cui a capo c; 3) quattro mesi di reclusione per il delitto di cui al capo d; 4) tre mesi per il reato contestato al capo e; 5) otto mesi di reclusione (di cui cinque mesi per il delitto previsto dalla L. n. 110 del 1975, art. 23 e tre mesi per il delitto di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 4 e successive modifiche) per il delitto illustrato al capo f; 6) sei mesi di reclusione per il reato sub g - irrogati per i reati ritenuti avvinti dalla continuazione, parametrati sulla pena edittale dei singoli reati non aggravati, induce a ritenere che le circostanze aggravanti ad effetto speciale, pur essendo state effettivamente ritenute sussistenti, non abbiano inciso sul complessivo trattamento sanzionatorio.

    Di conseguenza, atteso che, con riferimento alle circostanze aggravanti, devono essere sempre tenuti distinti i tre diversi aspetti della contestazione ad opera del Pubblico ministero, del riconoscimento della loro sussistenza da parte del giudice e dell'effettiva applicazione ai fini della determinazione del concreto trattamento sanzionatorio (Sez. U., n. n. 20798 del 24 febbraio 2011), è da ritenere che, nel caso di specie, non essendo stati in concreto applicati gli aumenti di pena previsti per le circostanze aggravanti ad effetto speciale contestate e ritenute in relazione al delitto di rapina, non vi sia stata alcuna violazione della regola dettata dall'art. 63 c.p., comma 4.

    Non sussiste neppure alcuna carenza della motivazione, avuto riguardo alla struttura argomentativa della sentenza impugnata e alla complessiva dosimetria della pena, quale risultante dagli aumenti apportati sulla sanzione prevista per il più grave delitto di cui al capo a).

    16.4. La sentenza impugnata è esente dai vizi denunziati anche nella parte in cui, con argomentazione logicamente articolata, ha valorizzato, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, l'estrema gravità dei fatti, le loro efferate modalità di consumazione, l'intensità del dolo ad essi sottesi, la loro accurata preparazione, la preordinazione dei mezzi funzionale alla loro realizzazione, la negativa personalità degli imputati, quale desumibile dal loro complessivo stile di vita, la condotta antecedente e susseguente alla commissione degli illeciti.

    16.5. Considerazioni analoghe valgono per il complessivo trattamento sanzionatorio che è stato adeguatamente motivato dai giudici, avuto riguardo alla estrema pericolosità delle condotte poste in essere, alla determinazione ed efferatezza da esse espresse, alla pervicacia criminale messa in luce.

    17. Sulla base delle considerazioni sinora svolte s'impone l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al delitto di cui all'art. 416 c.p. con conseguente rinvio per nuovo giudizio sul capo ad altra Sezione della Corte d'appello di Bologna.

    Nel resto i ricorsi degli imputati devono essere rigettati.

    Ai sensi dell'art. 624 c.p.p., comma 2, deve essere, quindi, dichiarata l'irrevocabilità della sentenza impugnata nei confronti di tutti gli imputati in relazione a tutti i capi ad eccezione di quello di cui al capo h) (art. 416 c.p.).
    PQM
    P.Q.M.

    Annulla la sentenza impugnata limitatamente al delitto di cui all'art. 416 c.p. e rinvia per nuovo giudizio sul capo ad altra Sezione della Corte d'appello di Bologna.

    Rigetta nel resto i ricorsi.

    Ai sensi dell'art. 624 c.p.p., comma 2, dichiara irrevocabile la sentenza impugnata nei confronti di tutti gli imputati in relazione a tutti i capi, ad eccezione di quello di cui al capo h) (art. 416 c.p.).

    Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2014.

    Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2014
Avv. Antonino Sugamele

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