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Sentenza

Lavoratore cade da un ponte di 4 metri; responsabili il datore di lavoro e capo cantiere.
Lavoratore cade da un ponte di 4 metri; responsabili il datore di lavoro e capo cantiere.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 13 – 27 febbraio 2014, n. 9699
Presidente Brusco – Relatore Dell'Utri

Ritenuto in fatto

1. - Con sentenza resa in data 9.2.2012, il tribunale di Palermo, sezione distaccata di Bagheria, ha condannato D.S. ed D.E. alle pene, rispettivamente, di venti giorni e di due mesi di reclusione, in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, in cooperazione tra loro e in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di I.S. , in (omissis) .
Ai due imputati erano state contestate le colpevoli omissioni concernenti il rispetto delle norme in materia di sicurezza nei cantieri edili e nella vigilanza circa il ricorso delle condizioni di sicurezza del lavoro nel cantiere dagli stessi gestito in (…) (quale datore di lavoro, il D.S. , e quale direttore dei lavori e capo cantiere il D.E. ), per effetto delle quali il lavoratore, I.S. , cadendo da un ponte alto circa quattro metri, si procurava lesioni personali guaribili in oltre venti giorni.
Con sentenza resa in data 22.3.2013, la corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del tribunale, ha disposto la riduzione della pena inflitta a carico di D.E. , determinandola nella misura di un mese di reclusione, confermando nel resto la decisione del giudice di primo grado.
Avverso la sentenza d'appello hanno personalmente proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati.
2.1. - D.S. censura la sentenza d'appello per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale omesso di rilevare la legittimità (negata dal primo giudice) dell'impedimento del proprio difensore nel corso di un'udienza del procedimento di primo grado, nonché per aver trascurato la nullità della notificazione dell'atto di citazione introduttivo del primo giudizio.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole dell'errore in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nell'omettere di rilevare l'avvenuta preposizione, da parte dell'imputato, di un institore in propria vece ai fini della vigilanza sull'adozione delle condizioni di sicurezza nel cantiere, trascurando di rilevare l'avvenuto trasferimento a carico dello stesso della posizione di garanzia erroneamente attribuita a proprio carico.
2.2. - D.E. censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione per avere la corte territoriale omesso di rilevare la legittimità (negata dal primo giudice) dell'impedimento del proprio difensore nel corso di un'udienza del procedimento di primo grado, nonché la nullità della notificazione dell'atto di citazione relativa al primo giudizio.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole della mancata acquisizione di alcuna prova in relazione alla circostanza concernente l'assunzione di una specifica posizione di garanzia in capo all'imputato con riguardo alla vigilanza circa la sicurezza delle condizioni di lavoro nel cantiere de quo.
Da ultimo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore dell'imputato, nonché in relazione alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p..
2.3. - Con memoria pervenuta in data 17.1.2014, il difensore degli imputati ha insistito per l'accoglimento dei ricorsi.

Considerato in diritto

3. - Entrambi i ricorsi - congiuntamente esaminabili in ragione dell'intima connessione dei temi dedotti dai ricorrenti - sono infondati.
Preliminarmente, rileva il collegio come le questioni di natura rituale introdotte dagli imputati (concernenti il mancato rilievo, ad opera del primo giudice, della pretesa legittimità dell'impedimento del relativo difensore nel corso di un'udienza del procedimento di primo grado, nonché della nullità della notificazione dell'atto di citazione introduttivo del primo giudizio) appaiano del tutto prive di pregio, avendo la corte territoriale correttamente evidenziato - con motivazione completa ed esauriente e altresì immune da vizi d'indole logica o giuridica - come il difensore degli imputati, nell'occasione dagli stessi in questa sede dedotta, oltre ad aver solo tardivamente rappresentato la sussistenza dell'alternativo e concomitante impegno professionale asseritamele gravante dinanzi ad altra autorità giudiziaria, avesse integralmente omesso di documentarne il ricorso, con la conseguente legittimità del provvedimento giudiziale di diniego del rinvio dell'udienza in questa sede avversato.
Allo stesso modo, del tutto correttamente, sul piano giuridico, la corte d'appello ha riconosciuto la ritualità della notificazione del decreto di citazione relativo al giudizio di primo grado in relazione a entrambi gli imputati, avendo evidenziato come il procedimento di notificazione nei riguardi di D.E. fosse giunto a buon fine in data 10.6.2009 mediante la notificazione del ridetto decreto a mani della moglie convivente con l'imputato, là dove, con riguardo a D.S. , il procedimento si fosse legittimamente perfezionato ai sensi dell'art. 161, co. 4, c.p.p. (mediante consegna dell'atto al difensore), risultando dagli atti come l'ufficiale giudiziario notificante avesse in precedenza univocamente attestato l'avvenuto trasferimento dell'imputato dal domicilio originariamente indicato presso altro luogo sconosciuto, attraverso l'insieme delle informazioni assunte in loco.
Sul punto, vale evidenziare come la corte territoriale si sia correttamente allineata all'insegnamento della giurisprudenza di legittimità (che il collegio qui condivide e riconferma) ai sensi del quale l'impossibilità della notificazione al domicilio eletto che ne legittima l'esecuzione presso il difensore di fiducia, secondo la procedura prevista dagli artt. 161, co. 4 e 157 co. 8-bis, c.p.p., può essere integrata anche dalla temporanea assenza dell'imputato, al momento dell'accesso dell'ufficiale notificatore, senza che sia necessario procedere ad attestata verifica di una vera e propria irreperibilità, così da qualificare come definitiva l'impossibilità alla ricezione degli atti nel luogo dichiarato o eletto dall'imputato, considerati gli oneri imposti dalla legge a quest'ultimo, ove avvisato della pendenza di un procedimento a suo carico, e segnatamente l'obbligo, ex art. 161, co. 4,c.p.p., di comunicare ogni variazione intervenuta successivamente alla dichiarazione o elezione di domicilio, resa all'avvio della vicenda processuale (Cass., Sez. 5, n. 22745/2011, Rv. 250408; Cass., Sez. 6, n. 42699/2011, Rv. 251367; v. altresì Cass., Sez. Un., n. 28451/2011, Rv. 250120).
Quanto alla doglianza sollevata da D.S. in ordine al preteso trasferimento, ad altro preposto, della posizione di garanzia ad esso spettante in ragione della qualità di datore di lavoro del prestatore infortunato, è appena il caso di rilevare come lo stesso imputato abbia integralmente omesso di allegare il ricorso del benché minimo presupposto idoneo a giustificare l'eventuale valido ricorso di tale trasferimento (e segnatamente di uno specifico atto di delega formalmente e sostanzialmente legittimo ed efficace, siccome dotato dei corrispondenti requisiti a tal fine indispensabili), valendo al riguardo il principio generale (consolidato dalla costante giurisprudenza di questa corte di legittimità), in forza del quale, in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo ed investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento (anche finanziario: v. Cass., Sez. 4, n. 7709/2007, Rv. 238526), fermo restando, in ogni caso, l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (Cass., Sez. 4, n. 39158/2013, Rv. 256878; Cass., Sez. 4, n. 38425/2006, Rv. 235184).
Parimenti priva di fondamento deve ritenersi la censura avanzata da D.E. in ordine alla pretesa mancata acquisizione di alcuna prova in relazione alla circostanza concernente l'assunzione di una specifica posizione di garanzia a suo carico (con riguardo alla vigilanza sulla sicurezza delle condizioni di lavoro nel cantiere de qua), essendo rimasta incontestata l'avvenuta attribuzione allo stesso del duplice ruolo di direttore dei lavori e di capo cantiere.
Sul punto, è appena il caso di richiamare, a conferma della correttezza della decisione dei giudici di merito, l'orientamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti (Cass., Sez. 4, n. 9491/2013, Rv. 254403).
Sotto altro profilo, in modo del tutto pertinente la corte territoriale ha fatto riferimento, nel caso di specie, al vigore del principio generale ai sensi del quale, in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano (come nel caso di specie) più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitarle ad ognuno dei titolari di tale posizione (Cass., Sez. 4, n. 18826/2012, Rv 253850; Cass., Sez. 4, n. 46849/2011, Rv. 252149).
Da ultimo, devono essere integralmente disattese le censure avanzate da D.E. in relazione al mancato riconoscimento, in proprio favore, delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p., avendo la corte territoriale a tal fine correttamente evidenziato, con motivazione congruamente e logicamente argomentata, l'incidenza ostativa dei diversi precedenti penali dell'imputato (anche per gravi reati) e atteso 1 assoluto difetto di alcuna allegazione di natura argomentativa o probatoria a fondamento dell'asserito ricorso dei presupposti per 1 applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p. in questa sede per la prima volta invocata dall'imputato.
4. - Al riscontro dell'infondatezza di tutti i motivi di doglianza avanzati dagli imputati segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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