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Sentenza

La parte offesa mentre con il proprio trattore stava fresando il terreno del cugino  viene aggredita violentemente. Tentato omicidio l'ipotesi di accusa. La Corte di Appello ritiene di assolvere e la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
La parte offesa mentre con il proprio trattore stava fresando il terreno del cugino viene aggredita violentemente. Tentato omicidio l'ipotesi di accusa. La Corte di Appello ritiene di assolvere e la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-03-2014) 05-05-2014, n. 18341

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIOTTO Maria Cristina - Presidente -

Dott. NOVIK Adet Toni - rel. Consigliere -

Dott. MAZZEI Antonella Patriz - Consigliere -

Dott. CASA Filippo - Consigliere -

Dott. MAGI Raffaello - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI REGGIO CALABRIA;

Nei confronti di:

M.G. N. IL (OMISSIS);

M.D. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 833/2012 CORTE DI APPELLO di REGGIO CALABRIA del 23/01/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/03/2014 la relazione svolta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;

Udito il Procuratore Generale, in persona della Dott.ssa CESQUI ELISABETTA MARIA, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza;

Udito i difensori Avv. ALVARO DOMENICO per M.G., Avv. CARBONE ROCCO e Avv. VALENTINI GABRIELE per M.D. che hanno concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

Con sentenza emessa il 18 novembre 2011, il Tribunale di Palmi dichiarava M.G. e M.D. responsabili in concorso del reato di tentato omicidio in danno di O. G., ed il primo anche del reato di violazione alla sorveglianza speciale e condannava:

M.G., concesse le circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata recidiva, escluse le circostanze aggravanti di cui all'art. 577 c.p., n. 3 e D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 71, ritenuta la continuazione alla pena di anni 12 di reclusione;

M.D., concesse le circostanze attenuanti generiche, ed esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 577 c.p., n. 3 è ritenuta la continuazione, alla pena di anni sette di reclusione.

Seguivano le sanzioni accessorie e la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita.

I fatti, come ricostruiti in dibattimento, prendevano le mosse particolarmente dalla deposizione resa dalla parte offesa O. G. che riferiva che il (OMISSIS) mentre con il proprio trattore stava fresando il terreno del cugino (omonimo), era arrivata una Fiat uno rossa con a bordo i due imputati, il primo dei quali, G., alla guida che avevano posto in essere l'aggressione in contestazione.

Questo evento si era protratto per circa un quarto d'ora fino a quando erano arrivati sul posto i propri genitori C.M. A. a piedi, e D. in auto, nonchè la moglie di M. G., E. in auto, inducendo gli aggressori ad allontanarsi.

O., insieme al padre e al fratello, si era recato alla stazione dei carabinieri di Serrata denunciando l'occorso e aveva poi raggiunto l'ospedale (dapprima quello di (OMISSIS) e poi quello di (OMISSIS)) dove era stato refertato.

Su richiesta del Tribunale, O. forniva chiarimenti sulle condizioni del terreno da arare; sui soggetti che eseguivano questa operazione; sull'impiego che ne voleva fare il proprietario.

Dettagliando le condizioni di salute di M.G., O. aveva riferito che questi era sceso autonomamente dall'auto e si era avvicinato a lui entrando nel fondo da un punto di accesso pianeggiante, superando un dislivello di 2 cm circa, e proseguendo fino a raggiungere un solco realizzato per il passaggio dell'acqua dotato di una pendenza di circa 20 cm; che G. aveva subito un incidente anni prima ed aveva perso un occhio; che egli comunque lo aveva sempre visto spostarsi e muoversi autonomamente e senza l'utilizzo di ausili (anche in occasione del processo per l'omicidio di tale D.M. che aveva visto come imputati un fratello di M.G., Ma., e un suo fratello R., O.); che G. utilizzava un paio di occhiali scuri, portati anche il giorno dell'aggressione, e che egli lo aveva notato condurre al pascolo animali.

La parte offesa ricostruiva anche un episodio che si era svolto nel (OMISSIS) relativo a un taglio di paletti di recinzione, da lui apposti su incarico di un cugino, che, come aveva appreso dal nipote S.F., erano stati tagliati da M.D., che nel corso di un colloquio aveva ammesso di essere stato l'autore del taglio, motivando tale azione con il contrasto che aveva con il cugino di G.. Presente al colloquio era anche S. che tuttavia, smentendo sul punto la parte offesa, ha ricostruito l'episodio in termini di una vera e propria aggressione di O. ai danni di M.D. e ha dichiarato che questi aveva negato ogni coinvolgimento nel taglio dei paletti.

Il Tribunale rilevava che la ricostruzione dell'aggressione, oltre che nelle dichiarazioni della parte offesa, aveva trovato riscontro nelle dichiarazioni della madre di costui, M.A., che aveva sentito le grida del figlio e visto l'aggressione, nonchè dalle sommarie informazioni testimoniali rese dal padre, deceduto ed acquisite ai sensi dell'art. 512.

Il Tribunale riteneva sovrapponibili alla deposizione di questa teste anche quelle rese da O.D..

Il Tribunale conferiva incarico peritale per accertare la compatibilità della condotta aggressiva posta in essere da M. G. con le sue condizioni di salute. Venivano nominati periti un medico legale e un oculista. All'esito degli accertamenti disposti, i periti pur dando atto che l'imputato era affetto da una patologia visiva indubbiamente grave e dell'impossibilità di quantificare con esattezza il residuo visivo presumibilmente esistente, ritenevano plausibile e verosimile lo svolgimento dell'azione nei termini indicati dalla parte offesa.

Ritenendo di non doversi discostare da questo accertamento, il Tribunale ricostruiva la dinamica dell'aggressione nei termini di cui all'imputazione, con il corollario della inattendibilità della versione difensiva proposta dagli imputati.

M.G. ha riferito che il giorno dell'aggressione egli si trovava in casa e di aver appreso dalla moglie che, mentre dopo pranzo con la consuocera stava raccogliendo mais nel fondo del cugino, aveva ricevuto pesanti insulti da O.G..

Questi nonostante i reiterati inviti rivoltigli dalla donna di andarsene e lasciarla in pace, aveva persistito nella sua condotta di mortificazione cosicchè ella, raccolto da terra un palo, lo aveva colpito sulle mani cagionandogli ferite alle dita ed inducendolo ad allontanarsi. M. si era adirato con la moglie per questo comportamento e si era allontanato da casa con un nipote per calmare la rabbia, recandosi ad una fonte per bere acqua fresca. Al ritorno aveva saputo della perquisizione e riconosciuto dalla voce il brigadiere Ga.. Per quanto atteneva ai suoi rapporti con O., l'imputato ha descritto un episodio (non menzionato nell'interrogatorio di garanzia) risalente al (OMISSIS) e relativo ad un'aggressione perpetrata da costui nei confronti del proprio figlio D., cui però non aveva personalmente assistito. In quell'occasione M. si era presentato nella sua casa insieme ad un nipote, S.F., e si era avventato contro D. afferrandolo per il collo e tentando di strangolarlo. Solo la prontezza di riflessi di C., che aveva sferrato un calcio nelle parti basse di O., aveva indotto questi a lasciare la presa. L'uomo ha escluso ogni coinvolgimento di D. nell'episodio del (OMISSIS) dal momento che questi era uscito di casa fin dal mattino rientrando la sera. Egli ha riferito di essere affetto da cecità assoluta e che era esclusa ogni possibilità di trapianto. Egli era solito trascorrere tutta la giornata in casa e non aveva mai condotto animali al pascolo.

M.D. ha affermato di essere cugino di O. G., con il quale aveva sempre avuto rapporti cordiali, ma superficiali, escludendo contrasti.

Il (OMISSIS) egli era uscito di casa verso le 13-13.30 con la propria auto ed era andato in montagna a raccogliere funghi con un amico, Z.R.. Durante l'escursione non avevano incontrato nessuno e aveva ricevuto solo una telefonata sulla sua utenza cellulare, verso le 16-16.15, dalla madre. Solo al ritorno verso le 17 aveva saputo della perquisizione subita in casa.

Il Tribunale riteneva non dirimenti gli accertamenti sui tabulati telefonici per l'impossibilità di determinare la cella impegnata, per cui, attribuita valenza probatoria alle dichiarazioni della parte civile, riscontrate da quelle dei familiari, e compatibile la condotta ascritta a M.G. con la patologia di cui era affetto, riteneva provato sia l'addebito di tentato omicidio (esclusa la premeditazione e per M.G. anche quella D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 71), sia gli altri reati contestati e irrogava le condanne di cui sopra.

Su gravame degli imputati, che contestavano sia la qualificazione giuridica dei fatti, che più correttamente avrebbero essere inquadrati in lesioni e minacce, sia la statuizione di condanna, la Corte di appello di Reggio Calabria in data 23 gennaio 2013, decidendo direttamente nel merito riformava la sentenza impugnata ed assolveva entrambi gli imputati per non aver commesso i fatti.

In accoglimento della richiesta di riapertura dell'istruttoria dibattimentale, formulata congiuntamente dalla difesa e dallo stesso procuratore generale, la Corte procedeva a rinnovazione della perizia medica sulle condizioni cliniche di M.G. in relazione alla patologia di cui lo stesso era affetto. La Corte prendeva in esame quindi la credibilità soggettiva di O.G. e arrivava a conclusioni opposte rispetto a quelle cui era giunto il giudice di primo grado.

Partendo dalla vicenda dei paletti, rilevava come la ricostruzione dei fatti operata da S. (dettagliata alle pag. 19 - 20) evidenziava che sul punto O. aveva sicuramente mentito, circostanza questa che non poteva essere trascurata ai fini della credibilità.

Respinta l'eccezione sollevata dalla difesa di parte civile diretta ad ottenere l'inutilizzabilità della perizia, la Corte richiamava ampi stralci dell'elaborato peritale (pag. 23 - 25) e giungeva alla conclusione che, in nessun modo, M.G. avrebbe potuto compiere in autonomia la complessa condotta aggressiva ai danni di O.G.. Da tali evidenze discendeva ancora l'inattendibilità del racconto di O. e per contro la verosimiglianza e la coerenza della versione dei fatti fornita da M.G. su quanto avvenuto nella giornata del (OMISSIS), allorquando la moglie rientrata dall'essere andata a raccogliere mais nel fondo del cugino, aveva avuto un alterco con O. G. che l'aveva ingiuriata ripetutamente, determinando la sua reazione consistita nel raccogliere da terra un palo con cui lo aveva colpito sulle mani, cagionandogli delle ferite alle dita.

La Corte riteneva inattendibile anche la versione dei fatti resa dalla madre di O., M.A., sottolineando l'impossibilità di percorrere un tratto accidentato pari a circa trecento metri in linea d'aria, in quattro minuti.

Alla luce di questa impostazione assumevano quindi un diverso rilievo, sia gli esiti degli accertamenti sui tabulati, che se non pienamente compatibili con le dichiarazioni di M.D., comunque non le contrastavano, sia l'alibi a questi fornito dall'amico Ra. (l'essersi cioè recati in montagna).

Sottolineato quindi che il quadro delineatosi in esito alla riapertura dell'istruttoria dibattimentale non era connotato da quella certezza necessaria a fondare un giudizio di responsabilità nei confronti degli imputati in ordine ai reati ascritti e ritenuta verosimile la ricostruzione alternativa proposta dagli stessi, ovverosia che O. si era determinato ad una falsa denuncia per difendere il proprio orgoglio maschile leso dall'aggressione subita dalla moglie di M.G. e per "vendicare" il danneggiamento dei "paletti", "evidentemente ricordo mai sopito se è vero come è che egli ha mentito sullo specifico punto", la Corte concludeva che vi era una incertezza probatoria che imponeva l'assoluzione degli imputati dai reati loro ascritti.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria è stato proposto ricorso per cassazione dal Procuratore Generale reggino che lamenta erronea applicazione dell'art. 192 c.p.p. e mancanza e illogicità della motivazione.

Ripercorsi gli accadimenti negli stessi termini riportati dalla sentenza ricorsa, il requirente rimarca errori in cui sarebbero incorsi i periti medici per giungere alla conclusione che la condotta di M.G. non fosse compatibile con le sue condizioni cliniche:

- non risultava dagli atti che M.G. procedesse verso il trattore ad una velocità normale, alla stessa velocità del figlio;

anzi, da quanto riferito da O. "sembra, invece, evincersi che M.G. sia sceso prima dall'auto rispetto al figlio e non si dice che i due procedevano uno accanto all'altro".

Era quindi possibile che a una distanza compresa tra 35 cm e 1 mt. il M. potesse aver realizzato il fatto di reato contestatogli;

- non vi era quindi incompatibilità con quanto dichiarato da O.G.;

- vi era stata un'erronea lettura dei fatti che aveva portato la Corte ad omettere una puntuale valutazione sulla credibilità di O.; sui numerosi elementi a carico dei M.; sulla assoluta inattendibilità delle versioni difensive.

La sentenza sul punto era quindi assolutamente carente.

La Corte aveva inoltre violato l'art. 192 c.p.p., non avendo proceduto ad una valutazione frazionata della credibilità di O.G., posto che le menzogne riscontrabili in alcune parti della sua deposizione non erano tali da inficiare la parte relativa all'aggressione. La Corte aveva aggirato la questione della valutazione frazionata, diversamente da quanto motivatamente esposto nella sentenza di primo grado, che aveva ricondotto la ricostruzione poco credibile dell'episodio dei "paletti" resa da O. G. alla riluttanza dello stesso di dover rivelare fatti implicanti una sua responsabilità.

La Corte infine non aveva attribuito la giusta rilevanza alla illogicità delle dichiarazioni rese in dibattimento da M. G. relativamente al mancato rinvenimento da parte dei Carabinieri della Fiat uno rossa (da ritenersi occultata), ai pregressi contrasti con O. e agli accadimenti del (OMISSIS), avendo negato di aver accompagnato la moglie a raccogliere funghi e mais, diversamente da quanto riferito nel corso dell'interrogatorio (discrasia da M. giustificata con possibili difficoltà di esposizione o di comprensione).

Ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata.

La difesa del ricorrente M.D. ha depositato memoria difensiva, chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione

Con i motivi di appello, gli appellanti avevano sottoposto al giudice di secondo grado l'aspetto della corretta qualificazione giuridica dei fatti in contestazione. Il giudice di appello non ha preso posizione sul punto ma ha proceduto direttamente all'esame del merito, implicitamente facendo propria la ricostruzione dei fatti operata dai primi giudici, che avevano desunto la volontà omicidiaria dalla complessiva condotta dei prevenuti. Il Tribunale aveva infatti attribuito decisiva rilevanza sia all'azione lesiva posta in essere direttamente da M.G., che aveva tentato ripetutamente di colpire al capo O.G. con il bastone, mentre D. lo teneva a bada con l'arma, sia alle ripetute frasi di morte pronunciate, sintomatiche del dolus necandi.

La valutazione dei giudici è congruamente motivata ed è incensurabile in questa sede.

Infondati devono ritenersi i motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, stante la loro intima connessione, giacchè con gli stessi si censura il difetto e/o l'illogicità della motivazione avuto riguardo alla ritenuta attendibilità della parte offesa e alla valutazione degli esiti peritali.

Invero, di assoluta centralità, nell'economia di entrambe le sentenze di merito, è la valutazione della attendibilità delle dichiarazioni di O.G., ritenuta dal primo giudice, negata dal secondo.

In tema di controllo sulla motivazione, è noto che alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell'intelletto costituente un sistema logico in sè compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sè e per sè considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è geneticamente informata, ancorchè questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Cass., S.U., 31 maggio 2001, Jakani).

L'indagine sul discorso giustificativo della decisione impugnata ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione stessa, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risaltare ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Cass., S.U., 24 novembre 1999, Spina). "Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Cass., S.U., 30 aprile 1997, Dessimone;

Cass. 21 aprile 1999, Jovino). In sostanza, "In tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento" (Cass., 30 novembre 1999, Moro).

Inoltre, questa Corte (S. 15 ottobre 2004 n. 49691, Andreotti) ha precisato che "oggetto della verifica in sede di legittimità è unicamente la sentenza di appello e che alla Corte regolatrice non è consentito scegliere quale delle due sentenze di merito sia più rispettosa dei consueti canoni ermeneutici.

Infatti fin da Cass. n. 617 del 1984, Arancio, questa Corte ha stabilito che il giudice di appello è libero, nella formazione del suo convincimento, di attribuire alle acquisizioni probatorie il significato e il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento;

obbligo che, nel caso di decisione difforme da quella del giudice di primo grado, impone anche l'adeguata confutazione delle ragioni poste a base della sentenza riformata. Ma la stessa sentenza ha precisato che, anche nel caso di disparità di valutazioni tra i giudici nei gradi del giudizio di merito, oggetto dell'esame in sede di legittimità è soltanto la sentenza del giudice di appello, la cui opinione si sostituisce a quella diversa del primo giudice. Quindi nemmeno in tal caso il giudice di legittimità può estendere - operando una inammissibile scelta tra le due diverse valutazioni - il suo esame oltre i limiti istituzionalmente stabiliti dalla legge, sicchè la valutazione degli elementi probatori rimane sempre affidata esclusivamente all'apprezzamento del giudice di appello".

Facendo applicazione di questi principi nel caso di specie e nei limiti propri del sindacato riservato a questa Corte in relazione al dedotto vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), il ricorso risulta chiaramente infondato, essendo di tutta evidenza che con esso si tende ad impegnare la Corte di legittimità in una ricostruzione alternativa dei fatti rispetto a quella fatta propria, con motivazione del tutto adeguata e per nulla contraddittoria, dal giudice di merito. La Corte di appello è partita dal dato inconfutabile costituito dalle condizioni visive di M.G. e, aderendo alle conclusioni raggiunte dai periti nominati, secondo cui "il perito attribuiva al M., alla data del (OMISSIS), un visus bilaterale di 1/50^ (un cinquantesimo): tale visus non corrisponde allo stato di cieco assoluto, ma allo stato di cieco ventesimista. Significa che il M. aveva dei limiti visivi che si possono rendere comprensibili nei seguenti esempi: alla distanza di 70 cm circa poteva contare con difficoltà le dita di una mano aperta; alla distanza compresa tra 50 cm ed 1 m poteva riconoscere oggetti noti, i cui limiti spaziali erano uguali o più grandi di una mano aperta; alla distanza di 2 (due) centimetri dalla superficie bulbare dell'occhio migliore poteva riconoscere uno per volta i caratteri stampati su un quotidiano. Ovviamente tutti questi eventi degli esempi proposti dovrebbero avvenire in condizioni di buona luce. Una tale cecità relativa consente ad un soggetto di muoversi in ambienti domestici propri (i ciechi assoluti, più gravi lo fanno normalmente) senza l'aiuto di terze persone, ma al di fuori degli ambienti domestici devono essere assistiti ed accompagnati da una terza persona o da un cane addestrato all'uopo" ha motivatamente escluso (pagine 25 e 26) che questi potesse compiere in autonomia la complessa azione lesiva attribuitagli, ovverosia:

- muoversi alla stessa velocità del figlio D. (nel verbale di udienza depositata dal difensore si legge: O. "Pochi attimi dopo, mentre lui si avvicinava è sceso pure M.D. dalla macchina e si avvicinavano tutti e due contemporaneamente, uno distaccato dall'altro"), su un terreno accidentato in relazione alle asperità presenti, non conosciuto, senza inciampare, con rischio di cadere;

- vedere il trattore, girare intorno al mezzo e individuare lo scalino su cui salire;

- indi, salire sul trattore e colpire O. sostenendosi allo sterzo.

Il tutto nei ristretti tempi indicati da costui. A fronte di questa valutazione, è stato corollario inevitabile quello di inattendibilità della dichiarazione di O. cui è pervenuta la corte.

Logicamente motivato, alla luce della descrizione dei luoghi operata in dibattimento anche da un teste tecnico (architetto Ch.) è anche il giudizio di perplessità espresso dalla Corte in relazione alle dichiarazioni di C.M.A., utilizzate dai primi giudici come riscontro a quelle del figlio, laddove ha ritenuto insufficiente il tempo di quattro minuti asseritamente impiegato per raggiungere il luogo dell'aggressione, situato a più di 300 metri di distanza, superando un dislivello e attraversando un viottolo pieno di erbacce e "alquanto scosceso".

Completando poi il percorso motivazionale, la Corte ha anche indicato una valida causale atta a spiegare il comportamento di O., indottosi ad una falsa accusa per vendicare l'orgoglio ferito.

La Corte di appello ha pertanto valutato adeguatamente i fatti sottoposti al suo esame e non sussiste nessun profilo di illogicità, neanche per quanto attiene il mancato rinvenimento della Fiat uno rossa, di cui non è posto in dubbio che gli imputati avessero la disponibilità, non essendo specificato nel ricorso quale significato pregiudizievole per la loro posizione sarebbe derivato dal suo ritrovamento e quali le ragioni per un occultamento.

Conclusivamente, con un percorso argomentativo tutt'altro che illogico, ma, al contrario, condotto in modo coerente alle risultanze processuali, i Giudici della Corte territoriale sono pervenuti ad un giudizio di inattendibilità della parte lesa.

A tale riguardo, giova ribadire che la valutazione della credibilità della stessa è, comunque, pur sempre una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal Giudice, che non può essere rivalutato in sede di legittimità, a meno che il Giudice stesso non sia incorso in manifeste contraddizioni. Tanto non può dirsi avvenuto nella fattispecie concreta, offrendo la sentenza censurata una spiegazione oltremodo plausibile della sua analisi probatoria, non certo scalfita da elementi significativi di segno contrario.

Quanto, al rilievo del Procuratore Generale in udienza secondo cui l'attendibilità di O.G. dovrebbe ricavarsi dal rinvenimento di macchie ematiche sul trattore, si osserva che questo dato non è incompatibile con la ricostruzione operata dal giudice di appello, dal momento che questi non nega un evento lesivo, ma lo riconduce alla condotta di un soggetto diverso dagli odierni imputati (la moglie di M.G.).

Il ricorso è quindi inammissibile.

Alla incongruenza tra la parte motiva della sentenza (incentrata sulla incertezza della sussistenza del fatto) e la formula assolutoria del dispositivo (non aver commesso il fatto) pone rimedio questa Corte, mediante rettifica e integrazione della motivazione a termini dell'art. 619 c.p.p., atteso che nelle sentenze di merito tutti gli elementi addotti dalla accusa figurano compiutamente rappresentati.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2014.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2014
Avv. Antonino Sugamele

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