Il Tribunale di Palermo condanna una donna per trattamento illecito di dati personali, per falso in scrittura privata e tentativo di truffa. L'imputata che era nel 2006 procacciatrice di affari aveva incarico di procurare adesioni al servizio di telefonia mobile della WIND, trasmise un contratto di adesione a firma di un soggetto che non aveva mai sottoscritto alcun contratto.
Cassazione penale sez. fer.
Data:
13/08/2014 ( ud. 13/08/2014 , dep.25/09/2014 )
Numero:
39502
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente -
Dott. TADDEI Margherita - Consigliere -
Dott. MAZZEI Antonella P. - Consigliere -
Dott. SETTEMBRE Antonio - rel. Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
U.N. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 4015/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del
25/11/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/08/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE;
Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di
Cassazione, Dott. DELEHAYE Enrico, che ha concluso per
l'inammissibilità del ricorso;
Udita, per la ricorrente, l'avv. Cassandra Antonella, che si è
riportata ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Palermo, con sentenza confermata dalla Corte di appello della medesima città in data 25/11/2013, ha condannato U.N. per trattamento illecito di dati personali (capo A), per falso in scrittura privata (capo B) e tentativo di truffa (capo C).
Secondo l'accusa, la U., che era nel 2006 procacciatrice di affari della New Technology Consulting srl, con sede a (OMISSIS), con l'incarico di procurare adesioni al servizio di telefonia mobile della WIND, trasmise alla società palermitana un contratto di adesione a firma di O.R., in realtà mai sottoscritto da costui.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell'interesse dell'imputata, l'avv. Tavoletta Maria, la quale si duole della mancata assunzione di una prova decisiva (la testimonianza di N.S., persona di cui era stata usata, per commettere l'artificio, la partita IVA) e della contraddittorietà ed illogicità della motivazione, derivante, a suo giudizio, dal fatto che la Corte di merito ha male interpretato le parole dell'imputata (la quale avrebbe spiegato che la dicitura "contatto proprio", apposta sul contratto, non significa "persona conosciuta", ma persona non segnalata dal call center) ed ha tratto elementi di giudizio da una circostanza insignificante: il fatto che la partita IVA utilizzata corrispondesse a quella di un commerciante esercente nella stessa strada in cui abitava l'imputata, a (OMISSIS).
3. Con memoria depositata il 29/7/2014 nella cancelleria di questa Corte la ricorrente ha riproposto i motivi di ricorso a suo tempo formulati.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
La prova della responsabilità è stata tratta, dai giudici di primo e secondo grado, dalle seguenti circostanze fattuali, confermate dalla stessa imputata: 1) il contratto di adesione alla WIND, apparentemente firmato da O.R., fu trasmesso alla New Technology Consulting srl di (OMISSIS) dall'imputata, a mezzo fax, attraverso l'utenza fissa (OMISSIS) ( U. svolgeva la propria attività di procacciatrice in (OMISSIS));
2) il contratto è stato vergato a mano dall'imputata;
3) O.R. ha disconosciuto la firma apposta sul contratto e dimostrato di non possedere alcuna partita IVA, essendo un sottufficiale dell'Aeronautica militare;
4) la partita IVA corrisponde a quella di un commerciante esercente in (OMISSIS): vale a dire, nella stessa città e nella stessa strada in cui abita l'imputata;
5) l'imputata ha dichiarato di non ricordare chi fosse O. R..
In questa ricostruzione fattuale vi è la prova logica che l'artificio è stato posto in essere dall'imputata, non solo perchè tutto conduce a lei, ma anche perchè era l'unica interessata a creare l'apparenza di un contratto che le avrebbe procurato un utile (la provvigione). La motivazione esibita dal Tribunale e dalla Corte d'appello è logica e coerente e non merita nessuna delle censure mosse dalla ricorrente, giacchè gli elementi esposti hanno effettivamente la valenza dimostrativa che è stata loro attribuita.
Nè giova all'imputata lamentare il fraintendimento delle sue parole, sia perchè l'interpretazione dei dati fattuali e la lettura delle dichiarazioni rese dai soggetti del processo è compito esclusivo del giudice di merito, su cui - a parte il travisamento della prova o l'utilizzo delle prove secondo canoni illogici o contraddittori - non è consentito il sindacato di legittimità, sia perchè la spiegazione fornita dall'imputata intorno al significato dell'espressione "contatto proprio" non ha, rispetto al ragionamento della Corte di merito, la forza eversiva che la ricorrente le attribuisce.
Tanto spiega, altresì, perchè è stata ritenuta ininfluente la testimonianza di N.S., che nulla avrebbe potuto dire al riguardo, se non che la partita IVA segnata sul contratto era a lui appartenente (circostanza già confermata dal teste di polizia giudiziaria); nè la ricorrente ha argomentato in ordine alla decisiva valenza della prova richiesta, sicchè nessun vizio rilevabile in Cassazione origina dal rigetto - implicito - dell'istanza di parte. Infatti, se è vero che il diniego dell'eventualmente invocata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello deve essere spiegato nella sentenza di secondo grado, la relativa motivazione (sulla quale nei limiti della illogicità e della non congruità è esercitabile il controllo di legittimità) può anche ricavarsi per implicito - com'è dato rilevare nella specie - dal complessivo tessuto argomentativo, qualora il giudice abbia dato comunque conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto di potere decidere allo stato degli atti (Cassazione penale, sez. 4, 28/04/2011, n. 23297).
In conclusione, la sentenza impugnata ha fatto buon governo delle regole della logica ed ha espresso un giudizio che tiene conto degli elementi di prova rilevanti per la ricostruzione e la lettura del fatto, nonchè per l'individuazione delle responsabilità. Il vizio di motivazione lamentato non sussiste, per cui il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso Roma, il 13 agosto 2014.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2014
09-11-2014 23:34
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