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Sentenza

Il giudice deve sempre motivare la mancata concessione della detenzione domiciliare quando il condannato si trovi in condizioni di grave infermita' fisica.
Il giudice deve sempre motivare la mancata concessione della detenzione domiciliare quando il condannato si trovi in condizioni di grave infermita' fisica.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 maggio – 25 settembre 2014, n. 39556
Presidente Giordano – Relatore Sandrini

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, con ordinanza in data 27.06.2013, ha rigettato l'istanza con cui D.W., detenuto in regime di arresti domiciliari in casa di cura ex art. 656 comma 10 cod.proc.pen., aveva chiesto il differimento dell'esecuzione della pena, anche nelle forme della detenzione domiciliare, con riguardo alla pena residua da espiare di anni 20 mesi 11 giorni 23 di reclusione risultante da provvedimento di cumulo emesso il 5.12.2012 dalla Procura generale della Repubblica di Roma per reati commessi fino all'ottobre 2008.
Il Tribunale rilevava che le risultanze degli accertamenti medici e psichiatrici prodotti e acquisiti, anche in forma di perizia redatta dal Tribunale del riesame nel 2011, non evidenziavano la sussistenza di uno stato di salute del condannato incompatibile con la detenzione carceraria; in particolare, l'infezione da HIV da cui il D. era affetto dal 1990 non aveva comportato conseguenze importanti (con la sola eccezione di una grave broncopolmonite verificatasi nel 2009), sussistendo attualmente (solo) una patologia correlata da herpes zoster recidivante, e risultando la carica virale (dopo i valori elevati riscontrati nel 2010 a seguito del rifiuto del paziente di assumere la terapia prescritta) attualmente soppressa; anche la sintomatologia agli arti inferiori, conseguente a neuropatia sensitiva assonale con segni di danno neurogeno cronico, non era comunque tale da costringere il D. a deambulare con tutori o sedia a rotelle; quanto alla patologia psichiatrica, la perizia della dott.ssa Gigante del 2011 che aveva diagnosticato al D. una depressione maggiore (aggravata dalla sindrome HIV) resistente alle terapie farmacologiche e a rischio di condotte suicidiarie, non indicava la data di insorgenza della malattia, né le sue caratteristiche e l'antecedenza allo stato di detenzione (salvo un precedente psichiatrico non specificato, con tentativo di suicidio risalente al 2005), e non aveva trovato conferma nelle conclusioni del consulente della difesa dott. C., che aveva visitato il D. il 30.10.2012, riscontrando una depressione cronica in disturbo borderline di personalità, la cui sintomatologia più importante era la depressione dell'umore, nell'ambito di un quadro comunque attenuato rispetto alla fase acuta della depressione maggiore, che doveva perciò allo stato essere esclusa.
Il Tribunale riteneva infine che l'elevata pericolosità del D., desumibile dai suoi numerosi e recenti precedenti per reati anche gravi, come la condanna alla pena di anni 17 mesi 4 di reclusione per violazione degli artt. 73 e 74 DPR n. 309 del 1990, aggravata dalla qualità di capo, dalla natura transazionale del sodalizio criminoso, e dall'ingente quantità, nonché dai carichi pendenti per reati analoghi, ostasse al differimento facoltativo della pena.
2. Ricorre per cassazione D.W., a mezzo del difensore, deducendo violazione di legge, in relazione agli artt. 147 cod. pen., 47-ter comma 1-ter ord. pen. e 27 Cost., nonchè vizio di motivazione dell'ordinanza impugnata, di cui chiede l'annullamento; lamenta l'omessa, contraddittoria e illogica valutazione parcellizzata della documentazione sanitaria acquisita, dalla quale emergeva l'incompatibilità delle condizioni di salute attuali del condannato col regime carcerario, con riguardo sia all'infezione da HIV (richiedente la presenza ininterrotta di un medico internista) e alla precaria situazione immunologica trovante conferma nell'esteso herpes zoster recidivante da ultimo rilevato e nella carica virale superiore di oltre mille volte il valore limite, sia alla neuropatia periferica da farmaci e infezione HIV riscontrata agli arti inferiori, sia alla irragionevole esclusione di un disturbo depressivo maggiore in atto, rilevato dall'equipe medica della casa di cura presso la quale il D. era ricoverato; deduce l'immotivata minimizzazione della portata e della gravità delle plurime patologie invalidanti riscontrate nel D., e l'assenza di motivazione sulla dedotta contrarietà al senso di umanità della detenzione in carcere.
3. Il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
4. Con memoria depositata il 21.05.2014 il ricorrente ha replicato alle conclusioni del Procuratore Generale, ribadendo le ragioni che supportano l'accoglimento dei ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
2. Questa Corte ha più volte affermato il principio che il differimento facoltativo dell'esecuzione della pena detentiva per gravi motivi di salute, ex art. 147 comma primo n. 2 cod. pen., pur non richiedendo un'incompatibilità assoluta tra la patologia accertata e lo stato di detenzione carceraria del soggetto, postula che l'infermità o la malattia da cui è affetto il condannato sia tale da comportare un serio pericolo di vita o da non poter assicurare la prestazione di adeguate cure mediche nell'ambito carcerario, o comunque da far sì che l'espiazione della pena, per le sofferenze aggiuntive, eccessive ed ingiustificate che ne derivano, avvenga in aperto dispregio del diritto alla salute e del senso di umanità al quale deve essere improntato il trattamento dei detenuti (Sez. 1 n. 5732 dell'8/01/2013, Rv. 254509; Sez. 1 n. 972 del 14/10/2011, Rv. 251674); in particolare, sotto tale ultimo profilo, è stato affermato che il giudice, nell'ambito della discrezionalità riconosciutagli dalla norma, deve tenere conto, indipendentemente dalla compatibilità o meno della patologia con le possibilità di assistenza e cura offerte dal sistema carcerario, anche dell'esigenza di non ledere il fondamentale diritto alla salute e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, previsti dagli artt. 32 e 27 Cost., circostanza che può ricorrere allorché, nonostante la fruibilità di adeguate terapie in stato di detenzione, le condizioni di salute accertate dei soggetto siano tali da dar luogo a una sofferenza aggiuntiva, derivante dalla privazione dello stato di libertà, in conseguenza della quale l'esecuzione della pena risulti incompatibile coi richiamati principi costituzionali, con la precisazione che - essendo detta sofferenza aggiuntiva inevitabile ogni qual volta la pena debba essere eseguita nei confronti di un condannato in non perfette condizioni di salute - essa può assumere rilievo solo quando si appalesi di entità tale (in rapporto alla specifica gravità di dette condizioni personali) da superare i limiti della tollerabilità umana (Cass., Sez. 1, n. 18439 del 5/04/2013, imputato Lo Bianco, in motivazione). Occorre in ogni caso operare un corretto bilanciamento tra l'interesse del condannato a essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività (Sez. i n. 972 del 14/10/2011, Rv. 251674).
3. Nel caso di specie, in presenza di una serie di gravi patologie, sia fisiche che psichiche, dalle quali il ricorrente risulta pacificamente affetto sulla scorta delle relazioni aggiornate della sua situazione clinica acquisite agli atti (in particolare quelle in data 27.05.2013 e 22.06.2013 dell'immunologo prof. Aiuti, che hanno ritenuto le condizioni di salute del D., affetto da recente infezione erpetica da virus V-Z correlata al precario stato immunologico in paziente affetto da AIDS, incompatibili col regime carcerario e coi centri clinici appartenenti al circuito penitenziario, in relazione all'esigenza di assicurare l'indispensabile presenza continuativa di un medico internista nell'arco delle 24 ore per fronteggiare immediatamente l'eventuale insorgenza di complicanze infettive o di natura internistica potenzialmente fatali; nonché la perizia in data 18.04.2011 della dott.ssa Gigante, nominata dal Tribunale del riesame di Roma, e la relazione del consulente della difesa dott. C., che hanno accertato - rispettivamente - la presenza nel soggetto di una depressione maggiore resistente alle terapie farmacologiche intraprese e a rischio di condotte suicidiarie, e di una depressione cronica in disturbo borderline di personalità il cui sintomo più importante è la depressione dell'umore), la motivazione dell'ordinanza impugnata sull'adeguatezza del regime di cura e assistenza terapeutica prestato in carcere e sull'idoneità di tempestivi ricoveri in presidi sanitari esterni ad assicurare un'effettiva tutela delle esigenze sopra rappresentate si rivela carente e non adeguatamente rapportata alle emergenze della documentazione clinica proveniente anche da perito di nomina giudiziale.
Con particolare riferimento all'esigenza di assicurare che l'espiazione della pena avvenga nel rispetto dei principi di rango costituzionale afferenti il senso di umanità e la tutela del diritto alla salute, il provvedimento gravato - pur avendo adeguatamente argomentato il giudizio di pericolosità formulato a carico del D. sulla base (oltre che dell'importanza dei carichi pendenti) dei gravi e recenti precedenti penali che ne hanno determinato la condanna a una rilevante pena detentiva - ha omesso di confrontarsi col tema della possibile idoneità dell'ammissione del ricorrente a scontare la pena in regime di detenzione domiciliare (in conformità all'istanza subordinata dello stesso), presso la casa di cura dove attualmente si trova o in altro luogo analogo, a realizzare un effettivo contemperamento tra l'esigenza di tutela della collettività e quella di evitare un'abnorme afflittività della pena espiata in carcere, secondo il modulo applicativo della detenzione domiciliare a tempo determinato previsto dall'art. 47-ter comma 1-ter ord. pen. (Sez. 1 n. 8993 del 13/02/2008, P.G. in proc. Squeo, Rv. 238948; e Sez. 1 n. 17208 del 19/02/2001, Rv. 218762, secondo cui il divieto di concessione di misure alternative alla detenzione in carcere ai condannati per reati ostativi ex art. 4-bis ord. pen. non opera nel caso in cui sussistano le condizioni di grave infermità fisica che giustificherebbero il rinvio dell'esecuzione della pena ex art. 147 cod. pen., proprio perché l'applicazione della detenzione domiciliare in siffatta ipotesi costituisce un contemperamento tra le esigenze di tutela della collettività discendenti dalla pericolosità dei soggetto e il rispetto dei principio di umanità della pena).
4. Le carenze motivazionali così rilevate impongono l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Roma perché proceda, in piena libertà ma colmando le lacune sopra evidenziate, a un nuovo esame dell'istanza del condannato.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma.
Avv. Antonino Sugamele

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