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Sentenza

Il gip di Napoli applica a un cancelliere la custodia cautelare in carcere per il reato di associazione per delinquere quale promotore del sodalizio in quanto avrebbe abusato delle sue funzioni di cancelliere presso la Corte d’Appello di Napoli per condizionare il normale iter giudiziario. La Cassazione annulla.
Il gip di Napoli applica a un cancelliere la custodia cautelare in carcere per il reato di associazione per delinquere quale promotore del sodalizio in quanto avrebbe abusato delle sue funzioni di cancelliere presso la Corte d’Appello di Napoli per condizionare il normale iter giudiziario. La Cassazione annulla.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 ottobre 2013 – 10 marzo 2014, n. 11498
Presidente Di Virginio – Relatore Paoloni

Motivi della decisione

1. Nell'ambito di complessa inchiesta penale nei confronti di 42 indagati il g.i.p. del Tribunale di Napoli, con ordinanza del 10.1.2013, ha applicato a M.R. la misura cautelare della custodia in carcere in ordine al reato di associazione per delinquere in qualità di promotore e organizzatore del sodalizio e ad una serie di reati fine compiuti dal R. con abuso delle sue funzioni di cancelliere in servizio presso la Corte di Appello di Napoli. Plurimi fatti criminosi inseriti in un sistematico indebito intervento corruttivo e falsificatorio attivato, a partire dal maggio 2011, dal R., da altri funzionari degli uffici giudiziari partenopei e da terzi "procacciatori" di "clienti" (oltre che da questi ultimi in veste di corruttori) e diretto ad "intervenire illecitamente, dietro corrispettivo in denaro o altra utilità, su fascicoli processuali, occultandone in tutto o in parte il carteggio e così condizionandone gravemente il normale iter giudiziario".
In particolare e come da imputazione ex art. 416 c.p. al R. è ai coindagati si è contestato di avere: rallentato la definizione dei processi, sottraendo i relativi fascicoli e/ o le notificazioni, al fine di provocare la decorrenza dei termini di custodia cautelare o di prescrizione dei reati; ritardato la trasmissione di fascicoli processuali in Cassazione; sottratto dai fascicoli atti sfavorevoli ad istanze avanzate dagli interessati; manipolato il Registro Generale (Re.Ge.) Affari Penali; ritardato il passaggio degli atti alla fase della esecuzione.
Il g.i.p. ha ritenuto sussistere a carico dell'indagato gravi indizi di colpevolezza per i fatti associativi e individuali ascrittigli desumibili dagli esiti delle disposte intercettazioni telefoniche e video-ambientali e dei connessi accertamenti di p.g. Quanto alle esigenze cautelari, ha ravvisato l'esistenza di pericolo di inquinamento delle fonti di prova (essendo in corso indagini dirette ad identificare tutte le persone coinvolte nelle varie vicende processuali oggetto dei reati fine del gruppo criminoso) e di pericolo di reiterazione dei fatti criminosi (in ragione della pluralità dei reati commessi e dei legami personali emersi tra gli indagati e altri soggetti).
Con successiva ordinanza del 28.1.2013 lo stesso g.i.p., accogliendo specifica istanza dell'imputato, ha sostituito la misura cautelare carceraria applicata al R. con quella degli arresti domiciliari presso l'abitazione della sorella senza possibilità di contatti con la moglie (M.P., cancelliere in servizio presso la Procura della Repubblica, coindagata nello stesso procedimento per reati di cui all'art. 326 c.p.). Decisione determinata dal ritenuto affievolimento delle esigenze cautelari, alla luce degli ormai "cristallizzati esiti investigativi" (avendo, per altro, il compendio probatorio prevalente natura cartolare) e della sopravvenuta sospensione a tempo indeterminato dell'indagato (già in parte confesso) dal suo servizio presso gli uffici giudiziari di Napoli.
2. Decidendo ai sensi dell'art. 310 c.p.p. sull'appello del pubblico ministero contro l'ordinanza del g.i.p. sostitutiva della custodia carceraria, il Tribunale distrettuale di Napoli ha ritenuto l'immutata persistenza delle esigenze cautelari ex art. 274, lett. a) e lett. c), c.p.p. legittimanti l'adozione della custodia in carcere quale unico mezzo per fronteggiare con efficacia la pericolosità dell'indagato. Per l'effetto, accolto l'appello del p.m., ha nuovamente applicato al R. la misura cautelare carceraria.
Il Tribunale, davanti al quale il R. ha ribadito le ammissioni dei fatti attribuitigli (già anticipata nell'interrogatorio di garanzia) e il proposito di volersi dimettere dal pubblico impiego ricoperto, ha condiviso le considerazioni dell'appellante p.m. sulla contraddittorietà del provvedimento del g.i.p. (arresti domiciliari) rispetto alla ordinanza cautelare genetica in punto di esigenze cautelari e di loro tratti di invarianza.
Con riferimento al rischio di pregiudizi per le indagini il Tribunale ha rilevato che il g.i.p. non ha tenuto conto dei nuovi episodi criminosi accertati dalla G.d.F. e riguardanti anche il R., né dell'evenienza - quanto al pericolo di possibile manipolazione delle risultanze delle indagini - che l'indagato, grazie alla sua lunga permanenza negli uffici giudiziari napoletani, si è avvalso di una fitta rete di conoscenze con colleghi, avvocati, parti e soggetti attivi nell'ambiente giudiziario e tuttora in grado di interferire sugli ulteriori accertamenti in corso. E della estensione della "operatività" dell'illecita condotta del R. costituisce significativo esempio la vicenda corruttiva (e i reati di cui ai capi "nuovi" A, B, e C della rubrica) afferente alla fuga di notizie sulla avvenuta iscrizione di tre indagati nel registro delle notizie di reato attuata dal R. mediante abusivo accesso al sistema informatico della Procura della Repubblica effettuato perpetrato dalla coindagata consorte P. (in servizio presso la Procura).
Con riguardo al pericolo di commissione di ulteriori reati della stessa specie di quelli già contestatigli, il Tribunale ha giudicato non dirimente l'avvenuta sospensione amministrativa dal servizio dell'indagato valorizzata dal g.i.p. Fatto che non elide, secondo i giudici dell'appello cautelare, la pervasiva capacità criminale mostrata dal R., artefice con i suoi sodali di una collaudata "interfaccia deviata del servizio pubblico della giustizia" a Napoli, tanto più quando si rifletta che la sospensione dal servizio disposta dall'amministrazione ha carattere provvisorio ed è sempre revocabile.
3. L'ordinanza del Tribunale è stata impugnata per cassazione dal difensore del R. con riguardo alle esigenze cautelari ritenute tutelabili con la massima misura cautelare carceraria. Il ricorso denuncia il vizio di erronea applicazione degli artt. 275 e 299 c.p.p. e di illogicità e insufficienza della motivazione come di seguito articolato.
Il Tribunale è incorso in un rilevante errore di fondo nella misura in cui l'appello del p.m. - più che alla sussistenza delle esigenze cautelari, di certo non disconosciuta dal g.i.p. che ha considerato misura idonea quella della custodia domiciliare - investiva i criteri di adeguatezza della misura cautelare applicabile al prevenuto. Sotto questo aspetto non vi è alcuna contraddizione tra l'apprezzamento delle esigenze cautelari svolto dal g.i.p. con l'ordinanza genetica e il successivo vaglio con cui ha ritenuto adeguata all'illecita condotta del R. la meno gravosa misura degli arresti domiciliari. E' agevole rilevare, infatti, che nel provvedimento custodiale originario il g.i.p. valutava come necessaria la custodia in carcere soltanto in una fase iniziale ("in prima battuta"), che ha reputato modificata, in termini di pericolosità connotante le esigenze di cautela processuale, alla luce dei dati (anch'essi nuovi) prospettati dalla difesa, tra cui il decisivo contegno confessorio del R. in uno alla cessazione dal servizio per la sua intervenuta sospensione amministrativa.
Soltanto a conclusione del pur lungo provvedimento emesso nei confronti del R. (e del coindagato G.V.) il Tribunale si è posto il tema della adeguatezza della misura applicabile al ricorrente, affrontandolo tuttavia con una chiave di lettura astratta (e, per ciò stesso, generica) e facendo ricorso a mere formule di stile. In questa prospettiva il Tribunale non si è curato di spiegare le ragioni per cui la misura degli arresti domiciliari, ritenuta adeguata dal g.i.p., non sia idonea a garantire le esigenze cautelari in rapporto ai non trascurabili dati di novità rappresentati dalla difesa dell'indagato (ammissione degli addebiti; sospensione dalle funzioni; recisione dei contatti con la coindagata consorte). Dati che il Tribunale ha ignorato o minimizzato.
4. Il ricorso di M.R. è fondato.
4.1. Effettivamente il Tribunale ha posto l'accento, per gran parte dell'estesa ordinanza impugnata, sull'analisi delle esigenze cautelari e sulla loro persistente attualità, trascurando la problematica della adeguatezza e della proporzionalità della misura cautelare da applicarsi al R., che era ed è -invece - il tema centrale sia del provvedimento del g.i.p. impugnato dal p.m., sia dell'accolto appello del p.m. (oltre che, come intuibile, dell'odierno ricorso). Sostituendo la custodia cautelare in carcere con la misura domiciliare, il g.i.p. non ha affatto posto in dubbio la ravvisata iniziale sussistenza delle esigenze cautelari socialpreventive e probatorie e tanto meno la loro persistenza. Ma ne ha semplicemente ritenuto mutati i coefficienti di intensità, alla stregua di una comparativa valutazione con i dati di novità venuti in luce in corso di indagini. Né profili di incoerenza o illogicità con l'ordinanza custodiale genetica possono in tale ottica ravvisarsi, atteso che (come esattamente si rimarca nel ricorso) l'ordinanza del 10.1.2013 aveva sottolineato che la misura carceraria era adottata "allo stato degli atti" e "almeno in prima battuta" nella dinamica evolutiva delle indagini.
Premesso che i c.d. nuovi episodi criminosi, cui il Tribunale annette valore a riprova del perdurante pericolo di inquinamento delle fonti di prova di cui sarebbe portatore l'indagato, risalgono all'ottobre 2012 e precedono - quindi - l'esecuzione del provvedimento coercitivo del 10.1.2013, con il quale gli stessi sono stati puntualmente contestati al R., non può non rilevarsi l'aporia logica in cui incorre l'ordinanza impugnata quando segnala come il pericolo di condizionamento delle fonti di prova non si esaurisca con la semplice conclusione delle indagini. Assunto in sé fondato ma nel caso di specie puramente assertivo, perché avulso dalla individuazione di definiti contegni elusivi, reali o potenziali, dell'indagato che, pur a seguito del suo arresto e del suo coevo atteggiamento confessorio, rendano concreto l'indicato pericolo ex art. 274, lett. a), c.p.p. E lo stesso è a dirsi per le esigenze connesse al pericolo di recidiva criminosa specifica, che il Tribunale si limita a coniugare alla gravità e ripetitività dei fatti reato ormai già accertati e ad una non meglio precisata "vera mancata resipiscenza" dello stesso indagato.
4.2. Ora, se è vero che la necessità di tutelare la genuinità delle fonti di prova non si esaurisce (come afferma la giurisprudenza di questa Corte regolatrice) con la chiusura delle indagini, è altrettanto pacifico che la valutazione del pericolo di inquinamento probatorio non può avvenire a futura memoria, ma deve possedere i caratteri della concretezza e della attualità, avendo attinenza alla specifica fase procedimentale in corso e allo stato delle acquisizioni conoscitive. E di tali caratteri di concretezza e attualità si impone una congrua verifica, per vero non compiutamente svolta dai giudici dell'appello cautelare nel caso di specie, in rapporto alla posizione dell'indagato posto in stato coercitivo e non già - come afferma l'ordinanza impugnata - in rapporto alla necessità (recte possibilità) di scoprire eventuali altri reati ed eventuali altri indagati (Sez. 6, 30.5.1995 n. 2179, Stilo, rv. 202820; Sez. 6, 29.1.2007 n. 10851, P.M. in proc. Tamponi, rv. 235973). Anche l'indirizzo giurisprudenziale per cui il pericolo di inquinamento probatorio influente sull'applicazione di una misura cautelare personale può riferirsi non solo all'indagato, ma anche alla posizione di eventuali concorrenti, richiede pur sempre che tali condotte inquinanti investano il quadro probatorio emergente dalle indagini in una proiezione valutativa necessariamente comune a tutti gli indagati (Sez. 3, 12.10.2007 n. 40535, Russo, rv. 237556). In altre parole non può giudicarsi congruo e coerente il riferimento al pericolo di alterazione dei dati probatori sviluppato dal Tribunale con riguardo esclusivo a condotte di coindagati del R., senza che si sia chiarita la loro connessione con la peculiare posizione oggettiva e soggettiva dello stesso R.
4.3. Quanto alle esigenze cautelari afferenti al pericolo di recidiva criminosa, non vi è dubbio che -come afferma questa S.C. - nei reati contro la pubblica amministrazione al correlativo giudizio di sfavorevole prognosi comportamentale non ostano né la eventuale dimissione dall'ufficio, né l'eventuale sospensione dal servizio, nell'esercizio del quale l'indagato ha commesso i reati ascrittigli. La validità del principio nondimeno va calibrata sul caso e sulla situazione concreti, dovendo il giudice della cautela fornire lineare e logica motivazione sulle evenienze fattuali che rendano non solo astrattamente possibile, ma concretamente probabile, che l'indagato, pur in una diversa condizione soggettiva, possa proseguire nella realizzazione di fatti illeciti omologhi a quelli già accertati e muniti degli stessi indici di offensività (ex plurimis: Sez. 1, 16.1.2013 n. 15667, Capogrosso, rv. 255351; Sez. 6, 10.1.2013 n. 19052, De Pietro, rv. 256223; Sez. 6, 27.3.2013 n. 23625, Pastore rv. 256261). Nel caso in esame il Tribunale non ha chiarito attraverso quali metodiche il R., se posto in stato di custodia domestica, nonostante la pubblicità e il clamore suscitati dall'iniziale applicazione della misura carceraria allo stesso e ai molti coindagati, possa continuare a compromettere il regolare funzionamento degli uffici giudiziari partenopei, pur versando in stato di sospensione dal servizio deliberata per l'intera durata del regime cautelare.
Questa S.C. ha a più riprese evidenziato (S.U. 3.3.2011 n. 16085, Khalil, rv. 249324) come la natura di extrema ratio assegnata alla custodia cautelare in carcere renda indispensabile, nel fare ricorso a tale strumento di cautela processuale, il preventivo vaglio del duplice canone della adeguatezza (idoneità della misura coercitiva massima parametrata sulla specifica e non astratta capacità della misura a tutelare esigenze cautelari determinate secondo criteri di gradualità afflittiva) e della proporzionalità (art. 275 co. 2 c.p.p.) rispetto alla reale entità del fatto e alla sanzione già irrogata o irroganda.
4.4. Conclusivamente nel caso in esame le descritte carenze di logicità e completezza valutative della motivazione dell'ordinanza impugnata ne impongono l'annullamento con rinvio degli atti al Tribunale di Napoli, perché proceda a nuovo esame sui punti e profili critici segnalati, colmando -nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito - le esposte lacune in coerente applicazione dei principi di diritto dettati dalle richiamate decisioni di legittimità.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli.
Avv. Antonino Sugamele

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