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Sentenza

Favoreggiamento: un amico si prostituisce. Meglio non fargli pubblicita'.
Favoreggiamento: un amico si prostituisce. Meglio non fargli pubblicita'.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 maggio – 8 luglio 2014, n. 29734
Presidente Fiale – Relatore Orilia

Ritenuto in fatto

Con la sentenza 4.3.2011 la Corte d'Appello di Lecce ha confermato la colpevolezza di V.G. in ordine al reato di favoreggiamento della prostituzione di C.A., osservando, per quanto ancora interessa, che la condotta dell'imputato, alla stregua dei quadro probatorio evincibile ex actis era stata tale da agevolare concretamente l'attività di meretricio.
Per l'annullamento della sentenza l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione denunciando, ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cpp, l'inosservanza dell'art. 3 n. 8 della legge n. 75/1958 e dell'art. 27 Cost. nel combinato disposto con i commi 1 e 3 nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

Considerato in diritto

Con l'unico motivo il ricorrente, premessa una ricostruzione di carattere teorico del reato di favoreggiamento della prostituzione, rimprovera alla Corte d'Appello una applicazione della legge in senso astratto, disattendendo la tesi difensiva secondo cui l'imputato si era limitato a fornire un mero aiuto ad un vecchio amico che versava in condizioni disagiate, concedendogli il mero uso della propria abitazione e richiama in proposito le dichiarazioni dello stesso C.A. nonché del cliente L.F. secondo cui non vi è stata nessuna interposizione del V. Rimprovera inoltre al Collegio di avere ritenuto irrilevante la circostanza secondo cui al momento dell'accesso del capitano dei Carabinieri nella casa del V. quest'ultimo si limitava a pattuire una prestazione personale coi finto cliente senza mai indicare come potenziale prestatore della performance sessuale il C., se non dopo una espressa richiesta del Capitano B. Richiama inoltre i principi di cui all'art. 27 commi 1 e 3 della Costituzione, ritenendo inaccettabile il configurarsi di una responsabilità oggettiva che contrasterebbe con la funzione rieducativa della pena.
Il motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il reato di favoreggiamento della prostituzione si perfeziona favorendo in qualsiasi modo la prostituzione altrui, così che non si rende necessaria una condotta attiva, essendo sufficiente ogni forma di interposizione agevolativa quale quella di mettere in contatto il cliente con la prostituta. Non sono invero richiesti dalla norma in esame comportamenti corrispondenti ad una condotta tipica, essendo invece sufficiente al perfezionarsi degli elementi costitutivi dei reato una generica condotta avente un effetto di facilitazione che non deve necessariamente avere il carattere dell'abitualità connessa ad una reiterazione di atti. Ancora, sempre secondo la giurisprudenza, il favorire "in qualsiasi modo" postula che gli estremi del reato siano integrati da un solo fatto di agevolazione; per cui va considerato favoreggiamento della prostituzione qualsiasi interposizione, anche occasionale, purché sia tale da agevolare la prostituzione di una persona (ex plurimis Cass. sez. 3 n. 10938 del 31.10.2001 in motivazione; conf. Cass. sez. 3, 25.6.2002 Marchioni; Cass. sez. 4 n. 4842 del 2.12.2003). Il reato è solo eventualmente abituale, ben potendo dunque essere integrato da un solo fatto di agevolazione (Sez. 3, Sentenza n. 17856 dei 03/03/2009 Ud. dep. 29/04/2009 Rv. 243753).
Nel caso in esame, la Corte d'Appello ha fondato il proprio giudizio di responsabilità sulla condotta agevolatrice del V. richiamando innanzitutto le circostanze di fatto delineate dal Tribunale (e tra queste circostanze spicca l'indicazione della tariffa e dei tipo di prestazioni previste); ha inoltre evidenziato la messa a disposizione della propria abitazione per consentire al C. di esercitare ivi il meretricio; ancora, ha richiamato la frase detta dall'imputato al Capitano B., finto cliente "ti posso mandare dalla mia amica che in questo momento però è impegnata", nonché le originarie dichiarazioni dei C. circa la fornitura dell'occorrente (creme e preservativi) da parte del V..
Il percorso argomentativo appare dunque non solo in linea con la citata giurisprudenza, ma segue un filo del tutto coerente dal punto di vista logico e pertanto si sottrae decisamente alla censura anche sotto il profilo motivazionale: infatti, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene solo alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Al giudice di legittimità è infatti preclusa - in sede di controllo sulla motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa). Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (cass. Sez. 6, Sentenza n. 9923 del 05/12/2011 Ud. dep. 14/03/2012 Rv. 252349). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).
In definitiva il ricorso tende a sollecitare la rilettura del quadro probatorio in chiave diversa e, cioè sotto il profilo del mero aiuto per consentire il soddisfacimento delle fondamentali esigenze in tal modo si propone un riesame nel merito della vicenda, attività preclusa in base ai principio esposti: esso pertanto va dichiarato inammissibile.
L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (cass. sez. 3, Sentenza n. 42839 del 08/10/2009 Ud. dep. 10/11/2009; cass. Sez. 4, Sentenza n. 18641 del 20/01/2004 Ud. dep. 22/04/2004; sez. un., Sentenza n. 32 del 22/11/2000 Cc. (dep. 21/12/2000). Pertanto, il tema della prescrizione - pure posto dall'imputato - non può essere affrontato in questa sede.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Avv. Antonino Sugamele

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