Dice ad un'amica "voglio prostituirmi" e l'amica la mette in contatto con una casa chiusa. Condannata per favoreggiamento, non è semplice aiuto.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 novembre 2013 – 7 gennaio 2014, n. 120
Presidente Mannino – Relatore Gazzara
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Lucca, con sentenza del 19/2/2010, dichiarava C.D. colpevole per avere concorso con A.V. nel favorire e sfruttare la prostituzione di I.C., quest'ultima indirizzata dall'imputata alla predetta V., gestrice di una casa in cui veniva esercitato il meretricio. La condannava alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 300,00 di multa.
La Corte di Appello di Firenze, chiamata a pronunciarsi sull'appello interposto nell'interesse della D., con sentenza del 22/3/2013, in riforma del decisum di prime cure, ha assolto l'imputata dal reato ad essa ascritto perché il fatto non sussiste.
Propone ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Firenze, con i seguenti motivi:
- difetto di motivazione e erronea interpretazione e applicazione dell'art. 3, L. 75/58, rilevando il vizio di illogicità argomentativa nel punto in cui il decidente afferma che la D. non ha fornito alcun contributo causale alla attività di prostituzione della C., poiché la stessa si limitò a presentare l'amica alla V., gerente la casa di prostituzione; il giudice di merito, peraltro, omette di esaminare quanto emerso in corso di primo grado, davanti al Tribunale: l'imputata per circa una settimana si prostituì, insieme con l'amica, con un determinato cliente, così da concretizzare una condotta favoreggiatrice della prostituzione, il cui elemento soggettivo è da individuare nel dolo generico, ravvisabile nella specie.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e va accolto.
Ad avviso della Corte territoriale appare evidente, dalle dichiarazioni rese da I., che la D. non ha fornito alcun contributo causale all'esercizio della prostituzione da parte dell'amica: in sostanza, la condotta dell'imputata, che acconsentiva alle richieste di prostituirsi, avanzate dalla predetta I. e, quindi, presentava a quest'ultima la V., non è da considerare determinante sotto il profilo causale a favorire il meretricio della C., apparendo questa una condotta motivata unicamente dalla volontà di aiutare l'amica; peraltro non risulta che la prevenuta abbia mai percepito denaro dalla persona offesa.
Va rilevato che la sentenza riformatrice della Corte di Appello, pur non ignorando elementi fattuali della vicenda in questione, richiamati compiutamente dal Tribunale a sostegno della ritenuta responsabilità dell'imputata in relazione al reato ad essa ascritto, perviene alla pronuncia assolutoria, a seguito di una erronea interpretazione e applicazione dell'art. 3, L. 75/58 e attraverso una illogica motivazione come giustamente rilevato in ricorso.
Risulta accertato, per conforme convinzione e decisione, sul punto, dei giudici di primo e secondo grado, che la D. accompagnò la C. presso la V., gestrice di una casa di prostituzione, proprio per consentire alla straniera di prostituirsi; risulta, altresì che, in detto appartamento, l'imputata propose all'amica straniera un incontro a tre con un determinato cliente, prospettando alla stessa di dividere tra esse, di poi, il provento; incontro che si concretizzò e si ripetè altre volte per circa una settimana.
E', pertanto, palesemente illogico il discorso giustificativo, sviluppato nella sentenza laddove si afferma che la prevenuta non ha fornito un contributo causale all'attività di prostituzione della p.o., visto che gli elementi costituenti la piattaforma probatoria, ut supra richiamati, e sui quali non c'è contestazione, rappresentano una chiara conferma della tesi accusatoria.
Va osservato, che è principio consolidato quello secondo il quale il reato di favoreggiamento della prostituzione si concretizza ogni qualvolta un soggetto ponga in essere una qualsiasi attività per agevolare l'esercizio richiede in capo all'agente, quale elemento psicologico, il dolo generico e non quello specifico.
Va, altresì, evidenziato che la corte di merito, nel riformare totalmente il decisum di prime cure, non ha ottemperato all'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (ex multis Cass. S.U. 20/9/2009, n. 33748).
In dipendenza di quanto rilevato, questo Collegio ritiene di dovere annullare con rinvio la pronuncia impugnata, affinché il giudice ad quem, nell'ottica delle osservazioni, ut supra, svolte, proceda a nuovo esame.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.
09-01-2014 22:44
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