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Sentenza

Apologia del fascismo. Manifesto del Partito Socialista Nazionale. Archiviato il procedimento penale.
Apologia del fascismo. Manifesto del Partito Socialista Nazionale. Archiviato il procedimento penale.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 1° aprile – 1° ottobre 2014, n. 40629
Presidente Cortese – Relatore Magi

In fatto e in diritto

1. In data 4 agosto 2012 il GIP dei Tribunale di Padova disponeva l'archiviazione del procedimento penale iscritto a carico di A.M. e F.T. per l'ipotesi di reato di cui all'art. 4 legge n. 645 del 1952.
Ad avviso del giudice di merito le indagini svolte non avevano evidenziato l'esistenza di concreti elementi dei reato di apologia dei fascismo - idonei a sostenere l'accusa in giudizio - in rapporto ai contenuti di un manifesto diffuso dal Movimento Fascismo e Libertà - Partito Socialista Nazionale, oggetto di attenzione investigativa sulla base di un esposto inoltrato da B.E.
2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione B.E., lamentando l'intervenuta violazione del contraddittorio, non avendo ricevuto comunicazione della richiesta di archiviazione del pubblico ministero ai sensi dell'art. 408 co. 2 cod.proc.pen.
Il ricorrente, al di là di censure di merito e in diritto relative al contenuto del decreto, rappresenta la sua qualità di persona offesa.
Le indagini sono derivate da un esposto a sua firma, in cui si chiedeva espressamente di ricevere avviso, redatto anche nella qualità di segretario della sezione locale del partito Unione di Centro.
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile, pur dando per scontato l'omesso avviso, per manifesta infondatezza dei motivi addotti.
L'avviso di cui all'art. 408 cod.proc.pen. va ritenuto atto 'necessario' Il dove il soggetto che ha chiesto di poter interloquire sugli sviluppi del procedimento rivesta la qualità formale di persona offesa.
Per tale si intende - come da ormai costante orientamento giurisprudenziale - il soggetto titolare del bene giuridico immediatamente leso dal reato (tra le molte, Sez. III n. 62229 del 14/01/2009 Rv. 242532) e ciò pone la necessità di una stretta correlazione tra la posizione soggettiva individuale e il contenuto (rectius la direzione di tutela) della disciplina incriminatrice.
Nel caso in esame la legge Scelba - n.645 dei 1952 - mira a rendere effettiva la XII Disp. Trans. della Costituzione, che prevede - quale corollario dell'approdo al sistema democratico di rappresentanza politica - il divieto di ricostituzione (sotto qualsiasi forma) del disciolto partito fascista.
Al di là dell'analisi del contenuto precettivo delle singole norme - che esula dall'ambito della presente decisione - è evidente che il bene giuridico oggetto di tutela è la stessa integrità dell'ordinamento democratico e costituzionale (con le sue ricadute in tema di divieto del ricorso alla violenza come metodo di lotta politica e rifiuto di atteggiamenti discriminatori basati su condizioni o qualità personali ) il che esclude il rilievo `individuale' della posizione giuridica tutelata.
Il singolo cittadino, interessato al mantenimento delle garanzie e degli equilibri costituzionali, è tutelato dalle disposizioni incriminatrici in questione (che non concernono il compimento di specifici atti lesivi della integrità fisica o morale di individui determinati) in modo indiretto ed in quanto membro di una comunità che si riconosce nei valori fondanti della costituzione repubblicana.
Non può dirsi pertanto portatore - in tale veste - della qualità di persona offesa nel senso prima descritto.
Né può dirsi diversa la condizione del ricorrente in rapporto all'impegno politico svolto in una articolazione locale di un partito politico, posto che ciò non influisce sul dato prima illustrato, restando la ipotetica lesione riconducibile ad interessi generali dell'intera collettività e non di singole formazioni politiche di ispirazione democratica. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in euro 1,000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende.
Avv. Antonino Sugamele

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