Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Penalista Trapani

Sentenza

Una donna sostiene di essere stata sequestrata in un albergo: ma la stanza non è chiusa a chiave e la camera è dotata di telefono. La Cassazione annulla.
Una donna sostiene di essere stata sequestrata in un albergo: ma la stanza non è chiusa a chiave e la camera è dotata di telefono. La Cassazione annulla.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 ottobre – 15 novembre 2013, n. 45931
Presidente Teresi – Relatore Orilia

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza 9.1.2012 la Corte d'Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva ritenuto R.G. colpevole dei reati di atti persecutori (capo A), sequestro di persona (capo B) e violenza sessuale continuata (capo D) in danno di O.R. , condannandolo, con la recidiva, alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione, oltre alle pene accessorie.
La Corte di merito, per quanto ancora interessa, ha osservato che il contesto complessivo in cui la parte offesa si era venuta a trovare negli alberghi in cui aveva soggiornato con l'imputato (contesto caratterizzato da sopraffazioni, botte e umiliazioni), appariva tale da escludere il consenso della donna ai rapporti sessuali.
Ha ritenuto sussistente inoltre il reato di sequestro di persona perché, pur non potendosi ritenere che la parte offesa abbia subito una privazione completa della libertà personale (essendo aperta la porta della camera d'albergo in cui l'imputato a volte la lasciava ed essendo la stanza dotata di telefono), tuttavia, la sua libertà appariva gravemente compromessa a fronte delle caratteristiche soggettive della donna, soggetto psicologicamente fragile, priva delle risorse necessarie per sottrarsi al giogo impostole dal prevenuto; quanto al trattamento sanzionatorio, ha ritenuto corretta l'applicazione della recidiva in considerazione dei precedenti penali del R. .
2. Contro la sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione (sulla base di tre motivi).

Considerato in diritto

1. Con un primo motivo, il ricorrente denunziando l'inosservanza dell'art. 609 bis cp e il vizio di motivazione sotto il profilo della illogicità e contraddittorietà, rileva che dagli atti del processo emerge con assoluta chiarezza l'inesistenza del più grave reato di violenza sessuale perché non sussisteva nessun nesso teleologia) tra le lesioni e i maltrattamenti e la violenza sessuale contestata, per cui mancava l'elemento costitutivo del reato: osserva che la sentenza impugnata nulla riferisce in ordine alla rappresentazione di un dissenso della parte offesa e della percezione di un tale dissenso da parte dell'imputato, essendosi limitata a rilevare che il reato di violenza sessuale risultava integrato sulla base dell'intento della donna di impedire l'aggravarsi di una situazione, intento manifestato attraverso una serie di condotte collaborative, non risultando dagli atti che l'imputato avesse mai esercitato violenza o minaccia sulla donna al fine di costringerla ad avere rapporti sessuali con lui.
Il motivo è infondato.
Essendo dedotto anche il vizio di motivazione, è bene premettere che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Cass. sez. terza 19.3.2009 n. 12110; Cass. 6.6.06 n. 23528).
Ancora, l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; premesso Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).
Ciò, è pacifico che all'epoca dei fatti tra l'imputato e la parte offesa R..O. esisteva un rapporto di coppia che si estrinsecava anche in soggiorni presso strutture alberghiere di ... e .... È pacifico altresì che la relazione era caratterizzata da ripetuti comportamenti minacciosi dell'uomo che cagionavano alla donna un perdurante stato di ansia e paura (non avendo il ricorrente mosso nessuna censura alla ritenuta sussistenza del reato di atti persecutori di cui al capo A).
Orbene, come già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di reati contro la libertà sessuale, nei rapporti di coppia di tipo coniugale non ha valore scriminante il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca, quando è provato che l'autore, per le violenze e minacce precedenti poste ripetutamente in essere nei confronti della vittima, aveva la consapevolezza del rifiuto implicito della stessa agli atti sessuali (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16292 del 07/03/2006 Ud. dep. 12/05/2006 Rv. 234171). È stato infatti precisato che ogni forma di costrizione fisica o psichica, idonea ad incidere sulla altri determinazione nella sfera sessuale, costituisce anche allo interno di una coppia, coniugale e paraconiugale, condotta punibile a sensi dell'art. 609 bis c.p. (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 16292 /2006 cit.; nonché Cass. Sezione 3 P.U. 4 febbraio 2004 imp. Riggio).
Tanto premesso, il punto focale che il ricorso propone consiste nel verificare se, pur in presenza di una serie di comportamenti minacciosi dell'imputato, i rapporti sessuali siano stati liberamente accettati dalla donna oppure siano la diretta e necessaria conseguenza delle patite minacce. La problematica è complicata dalla circostanza che la parte lesa, nel negare di avere subito veri e propri atti di costrizione fisica finalizzati al congiungimento carnale, ha in ogni caso evidenziato la natura meramente soggettiva del suo convincimento di essere vittima di violenza (laddove ha precisato di avere acconsentito ai rapporti fisici per timore di subire ulteriori violenze e per tenere il suo compagno calmo, considerato il suo atteggiamento costantemente violento).
Sul punto, va rilevato che le la Corte d'Appello ha dato atto della costante condotta antidoverosa del R. nei confronti della O. consistita in minacce, anche gravi, in violenze fisiche e aggressioni morali (cfr. pagg. 10 e 11); l'esistenza di atti persecutori - come già detto. - non è peraltro messa in discussione dall'imputato.
Le riferite dichiarazioni dalla donna inerenti al motivo per cui ha accettato i rapporti sessuali sono sufficienti - come ha rilevato dalla Corte territoriale - per evidenziare una palese connessione tra la condotta arbitraria e prevaricatrice dell'uomo ed i rapporti subiti dalla parte lesa e per escludere che la O. agisse in piena libertà morale e con un consenso valido.
Poiché è emerso che la donna soggiaceva senza resistenza palese ai rapporti, necessita verificare se l'agente abbia avuto la consapevolezza della condizione della vittima e del suo implicito rifiuto agli atti sessuali. Questa problematica è stata affrontata con sintetica, ma congrua motivazione dalla Corte territoriale la quale ha rilevato come la passiva accettazione dei rapporti fosse determinata dalla volontà della donna di evitare ulteriori vessazioni da parte del compagno e che il contesto di sopraffazione era evidentemente noto all'imputato poiché dallo stesso consapevolmente cagionato e sfruttato (pag. 11).
La docile sottomissione della parte lesa (“cercavo di essere più sottomessa possibile": cfr. pag. 11 sentenza) era dunque il risultato del completo annientamento della sua libertà di autodeterminazione e la invalidità del consenso, in quanto coatto, era certamente riconoscibile da parte dello imputato, che con le sue condotte violente aveva determinato lo stato di prostrazione della compagna.
La sentenza dunque non merita censura in ordine alla sussistenza del reato di violenza sessuale.
2 Con il secondo motivo, denunziando la violazione dell'art. 605 cp e illogicità e contraddittorietà della motivazione il ricorrente lamenta che la Corte d'Appello, pur avendo riconosciuto che la parte offesa si determinasse spontaneamente a raggiungere l'imputato negli alberghi di ... e ... giustificava tale comportamento alla luce delle caratteristiche personologiche della stessa, la quale invece, acconsentiva a rimanere chiusa nella stanza, che peraltro era dotata di telefono e non veniva mai chiusa a chiave dall'imputato quando lo stesso usciva dall'albergo.
Il motivo è invece fondato.
È vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte ai fini della configurabilità dell'elemento materiale del delitto di sequestro di persona, non è necessario che la costrizione si estrinsechi con mezzi fisici, dovendosi ritenere sufficiente qualsiasi condotta che, in relazione alle particolari circostanze del caso, sia suscettibile di privare la vittima della capacità di determinarsi ed agire secondo la propria autonoma ed indipendente volontà (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 38994 del 01/10/2010 Ud. dep. 04/11/2010 Rv. 248537; Cass. Sez. 5, n. 14566 del 14.2.05, dep. 19.4.05, rv. 231354; Cass. Sez. 2, n. 472 del 22.6.84, dep. 15.1.85, rv. 167426, ed altre).
Nel caso di specie però, la Corte d'Appello ha dato una motivazione assolutamente incoerente in ordine al requisito della costrizione, che comunque implica un accertamento rigoroso: ed infatti, ha fondato il suo convincimento (cfr. pag. 8 e 9) sulle caratteristiche "personologiche" della donna, evidentemente riferendosi al carattere "debole" e "incapace di reagire", nonché allo "stato di soggezione" e "prostrazione" (di cui aveva precedentemente parlato a pag. 7), e ancora al senso di "spaesamento" per non essersi mai molto allontanata dalla sua residenza e comunque mai per ..., nonché sul fatto che l'imputato l'aveva più volte costretta a rimanere in albergo oltre l'orario che si era prefissata (pag. 9), ma non ha mai accertato che il R. avesse approfittato di tale debolezza per costringerla a rimanere chiusa nell'albergo, privandola così della libertà personale; anzi, ha rilevato che era la stessa donna a raggiungerlo volontariamente nella stanza d'albergo e che quando lui lasciava la camera, la porta non veniva chiusa a chiave e la parte offesa aveva l'uso del telefono. La Corte di merito, insomma, ha accertato comportamenti di gelosia, anche esagerata, caratterizzata anche da atteggiamenti violenti, ma sempre legati alla gelosia, sfociati, come si è visto, anche in privazioni della libertà sessuale, e, più in generale, comportamenti incidenti sulla libertà psichica di determinazione, traendo, sulla base di tali rilievi, del tutto illogicamente, la prova dell'elemento materiale del reato di sequestro di persona, che invece implica una costrizione necessariamente incidente sulla libertà di determinarsi e di agire ma sempre in relazione alla libertà di movimento della vittima.
La sentenza va pertanto annullata con rinvio per un nuovo esame in ordine al reato di sequestro di persona.
3. Infondato è, infine, il terzo motivo di ricorso con cui il ricorrente, denunziando l'erronea applicazione dell'art. 99 cp, si duole della contestata recidiva rilevando che i giudici di merito l'hanno erroneamente giustificata in considerazione delle "plurime pendenze" mentre invece occorreva l'esistenza di precedenti condanne pronunciate con sentenza passate in giudicato.
È sufficiente rilevare in proposito che la Corte di merito ha fatto giustamente riferimento "ai precedenti penali” dell'imputato, ricavandoli, evidentemente, dal certificato penale contenuto nel fascicolo. Del resto, la stessa sentenza di primo grado aveva indicato le condanne riportate dall'imputato.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'art. 605 cp con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano per nuovo esame sul punto; rigetta il ricorso nel resto.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza