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Sentenza

Un tizio invia una serie assillante di email ad un giornalista che replica con una email con una frase: perchè non ti spari? Va riconosciuta al giornalista la scriminante della ritorsione.
Un tizio invia una serie assillante di email ad un giornalista che replica con una email con una frase: perchè non ti spari? Va riconosciuta al giornalista la scriminante della ritorsione.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 giugno - 24 settembre 2013, n. 39467
Presidente Dubolino – Relatore Zaza

Ritenuto in fatto

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Giudice di pace di Bologna del 03/06/2010, con la quale il giornalista G.L..R. veniva assolto per insussistenza del fatto dall'imputazione del reato continuato di cui all'art. 594 cod. pen., contestatagli come commessa in danno di L..M. , autore di scritti trasmessi con il mezzo della posta elettronica a diverse istituzioni e testate giornalistiche, fra le quali ultime il periodico ... presso il quale lavorava il R. , inviandogli con lo stesso mezzo due missive ingiuriose.
La parte civile ricorre sui punti e per i motivi di seguito indicati.
1. Il ricorrente deduce nullità della sentenza di primo grado in quanto priva delle indicazioni del nome del difensore della parte civile, delle prove introdotte nel giudizio della parte civile, degli articoli di legge applicati e del termine per il deposito della motivazione nel dispositivo, nonché in conseguenza della lettura del dispositivo oltre il termine dell'orario d'ufficio delle ore 17 e senza che il giudice si fosse ritirato in camera di consiglio.
2. Sull'assoluzione dell'imputato, il ricorrente deduce mancanza di motivazione in ordine alle argomentazioni della parte civile, illogicità dell'apodittica affermazione dell'essere unico intento del M. quello di invitare il R. a desistere dall'invio degli scritti e violazione di legge nel riconoscimento della scriminante della ritorsione, non consentita per offese realizzate con il mezzo telefonico e quindi anche con il mezzo telematico al primo parificabile.

Considerato in diritto

1. Il motivo di ricorso relativo all'eccepita nullità della sentenza di primo grado è infondato.
Come correttamente osservato nella sentenza impugnata, le indicazioni del nominativo del difensore della parte civile e delle conclusioni dallo stesso presentate non sono previste dall'art. 546 cod. proc. pen. a pena di nullità della sentenza, mentre neppure oggetto di previsione della norma è la precisazione delle prove dedotte dalla stessa parte civile. Il dispositivo della sentenza di primo grado riportava, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l'espressa menzione sia della norma incriminatrice violata, ossia l'art. 594 cod. pen., che della norma processuale in relazione alla quale la sentenza veniva pronunciata, cioè l'art. 530 cod. proc. pen.; non senza considerare che la mancata indicazione degli articoli di legge applicati non costituisce comunque causa di nullità della sentenza (Sez. 2, n. 27185 del 16/06/2010, Verdi, Rv. 247851). Sono altresì corrette le conclusioni dei giudici di merito per le quali non è necessaria l'indicazione nel dispositivo del termine di deposito della motivazione laddove lo stesso corrisponda a quello ordinario, non derivandone alcun pregiudizio per la difesa del momento in cui detto termine è in tal caso previsto ope legis dall'art. 544, comma 2, cod. proc. pen., e non è prescritto alcun limite orario per la lettura del dispositivo, neanche a questo proposito essendo peraltro dedotta la lesione che la difesa avrebbe subito dal fatto che detta lettura sia avvenuta oltre la cessazione dell'orario d'ufficio. Quanto infine alla dedotta omissione del ritiro in camera di consiglio del giudice di primo grado, a parte le considerazioni del Tribunale sull'essere sufficiente per un giudice monocratico che lo stesso si isoli in modo da impedire ad altri di interferire nella sua deliberazione, il rilievo del ricorrente è generico a fronte del dato del verbale dibattimentale, dal quale risulta che il Giudice di pace dava lettura del dispositivo dopo essersi in effetti ritirato in camera di consiglio.
2. Infondati sono altresì i motivi di ricorso relativo all'assoluzione dell'imputato.
La sentenza impugnata è congruamente motivata sull'esclusione del carattere offensivo dell'espressione “perché non ti spari?”, di cui alla prima missiva telematica inviata dal R. al M. , in quanto da intendersi come richiesta rivolta a quest'ultimo, sia pure con tono brusco, di desistere dall'assillante invio di messaggi di posta elettronica all'imputato. Ed a ciò il ricorrente oppone unicamente una diversa valutazione di merito sul carattere ingiurioso della frase ed ulteriori rilievi su aspetti, quali il numero delle missive inviate dal M. e le offerte dell'imputato di riparazione del danno, che non incidono su detta valutazione.
Contrariamente poi a quanto ulteriormente sostenuto dal ricorrente, non vi sono ragioni per escludere l'applicabilità della causa di non punibilità della ritorsione ad ingiurie reciproche commesse con il mezzo della posta elettronica, nella specie individuate nella risposta del R. (con le espressioni “non so se lo sai ma sei lo zimbello di tutte le redazioni...fai qualcosa di concreto nella vita, cresci un po'...sei ridicolo e con questo ho chiuso, non perdo il mio tempo con le nullità”), alla missiva con la quale il M. aveva rivolto all'imputato, a seguito del messaggio precedentemente esaminato, la frase “se chiamano intelligente non voltarti perché certamente non cercano te”. Al di là della correttezza o meno della parificazione del mezzo telematico a quello telefonico, l'assunto del ricorrente sull'inapplicabilità a quest'ultimo della causa di non punibilità in esame non trova sostegno nella previsione normativa di cui all'art. 599, comma primo, cod. pen., che non pone alcun limite in relazione al mezzo con,1 quale le condotte ingiuriose sono realizzate; mentre il difforme precedente citato nel ricorso (Sez. 1, n. 16729 del 21/03,2001, La Rosa, Rv. 218721) "guarda il diverso caso del reato di molestie commesso con il mezzo del telefono, al quale sicuramente non possono estendersi gli effetti della reciprocità di offese che eventualmente caratterizzi il pur concorrente reato di ingiuria in considerazione della mancanza di un'espressa previsione e della non corrispondenza delle condotte del due reati e degli interessi tutelati dalle rispettive norme incriminatrici.
Infondata è infine la censura di mancanza di motivazione sulla documentazione prodotta dalla parte civile in ordine alla sindrome ansioso-depressiva insorta nel M. a seguito dei fatti, vertendo le stesse su circostanze implicitamente quanto evidentemente ritenute irrilevanti una volta esclusa l'intrinseca valenza lesiva delle condotte contestate.
Non è oggetto di ricorso, e non è pertanto devoluta a questa Corte erroneità del riferimento del dispositivo della sentenza di primo grado alla formula assolutoria dell'insussistenza del fatto anche per la condotta in ordine alla quale è stata riconosciuta la diversa causa di proscioglimento della non punibilità per ritorsione.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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