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Sentenza

Un cospicuo numero di magrebini, trattenuti in attesa di espulsione nel C.P.T. fuggono dal centro. In parte vengono bloccati dai carabinieri ed in parte riescono ad eludere l'intervento dei militi, superando la recinzione e fuggendo per le campagne. La totalità dei fuggitivi viene rintracciata e numerosi di essi denunciano di essere stati vittime di pesanti ritorsioni, concretizzatesi in forme di violenza fisica e morale.-
Un cospicuo numero di magrebini, trattenuti in attesa di espulsione nel C.P.T. fuggono dal centro. In parte vengono bloccati dai carabinieri ed in parte riescono ad eludere l'intervento dei militi, superando la recinzione e fuggendo per le campagne. La totalità dei fuggitivi viene rintracciata e numerosi di essi denunciano di essere stati vittime di pesanti ritorsioni, concretizzatesi in forme di violenza fisica e morale.-
Cassazione penale  sez. V   
Data:
    06/06/2013 ( ud. 06/06/2013 , dep.06/08/2013 ) 
Numero:
    34028

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE QUINTA PENALE                        
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. MARASCA       Gennaro    -  Presidente   -                     
    Dott. DE BERARDINIS Silvana    -  Consigliere  -                     
    Dott. PALLA         Stefa -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. BRUNO         Paolo A.   -  Consigliere  -                     
    Dott. PISTORELLI    Luca       -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                L.C. N. IL (OMISSIS); 
                  L.G. N. IL (OMISSIS); 
            D.P. N. IL (OMISSIS); 
                G.H. N. IL (OMISSIS); 
           S.R. N. IL (OMISSIS); 
                    D.F. N. IL (OMISSIS); 
            A.V. N. IL (OMISSIS); 
              C.M. N. IL (OMISSIS); 
         M.V. N. IL (OMISSIS); 
             D.P.M. N. IL (OMISSIS); 
                 F.G. N. IL (OMISSIS); 
                R.G. N. IL (OMISSIS); 
                C.A.C. N. IL (OMISSIS); 
             V.N. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la  sentenza  n.  185/2007  CORTE  APPELLO  di  LECCE,   del 
    16/02/2010; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 06/06/2013 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. STEFANO PALLA; 
    Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano Francesco, 
    che  ha  concluso  per  annullamento  senza  rinvio  per  intervenuta 
    prescrizione dei reati ascritti agli imputati diversi da      R.  e 
         C.. Conferma delle statuizioni civili. 
    Rigetto dei ricorsi di      C. e      R.; 
    udito, per la parte civile, Avv. Pistelli M. per   Sa.; 
    uditi  i  difensori avv. Raimondi G., in sostituzione avv. Ricci  E., 
    avv. Massa F.M.; avv. Faggiano Maria Rosaria; avv. Sisto F.P.. 
                     


    Fatto
    FATTO E DIRITTO

    Con sentenza 16.2.10 la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma di quella in data 22.7.05 del locale tribunale, ha condannato - per quel che qui rileva - L.C., per il solo reato di lesioni aggravate in danno di S.M., J.F., Y.R., S.M., L.A. e B.M., alla pena di un anno di reclusione; V.N., per il solo reato di lesioni aggravate in danno di A.M., B.S. L., nonchè del S., del S., del L. e del B., alla pena di mesi dieci di reclusione;

    L.G., per i soli reati di lesioni aggravate in danno del S., del B.S. e del Sa., alla pena di mesi dieci di reclusione; D.P., per il reato di lesioni aggravate in danno dell' A. e per quello di percosse, aggravate ai sensi dell'art. 61 c.p., n. 9, in danno del Sa. - così diversamente qualificata l'imputazione di lesioni aggravate -, nonchè per il reato di violenza privata in danno del B., alla pena di mesi otto di reclusione; G.H., per il solo reato di lesioni aggravate in danno del Sa., alla pena di mesi sei di reclusione; S.R., per il solo reato di cui all'art. 610 c.p., in danno del B., alla pena di mesi sei e giorni quindici di reclusione; D.F., per i reati di lesioni e violenza privata ascrittigli, ad eccezione di quelli in danno di Sa.Mo., alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione; A.V., per i reati di lesioni personali ascrittigli, escluso il delitto di violenza privata per il quale veniva assolto per non aver commesso il fatto, alla pena di mesi otto di reclusione.

    La sentenza di primo grado veniva confermata per gli imputati D. P.M., F.G., C.M. e M.V., i quali, per i reati di cui agli artt. 40, 110, 582, 585, in relazione agli art. 577 c.p. e art. 61 c.p., n. 4, erano stati condannati ciascuno alla pena di un anno di reclusione, nonchè per R.G. e C.A.C., i quali, per i reati di cui agli artt. 110 e 479 c.p. e art. 61 c.p., n. 2, con la concessione ad entrambi di attenuanti generiche, erano stati condannati ciascuno alla pena di mesi nove di reclusione.

    Tutti i reati erano ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione;

    la pena era condizionalmente sospesa per tutti gli imputati e per L.C., L.G., V., D., G., D., S., A., D.P., F., C. e M. venivano confermate le statuizioni civili di condanna al risarcimento dei danni in favore delle "residue" parti civili Associazione Studi Immigrazione (ASGI), B.M., A.M., Ag.Ba., L.A., A.M., B.S.L., K.K. e H.M., rappresentate dall'Avv. Francesco Calabro; So.Mo. e A.Y., rappresentate dall'Avv. Maurizio Scardia; Sa.Mo., rappresentato dall'Avv. Massimo Pistilli.

    I fatti erano relativi alla fuga messa in atto, la sera del (OMISSIS), da un cospicuo numero di magrebini, trattenuti in attesa di espulsione nel Centro di Permanenza Temporanea (CTP) "Regina Pacis" ubicato in (OMISSIS), i quali erano stati in parte bloccati dai carabinieri addetti alla vigilanza ed in parte erano riusciti ad eludere l'intervento dei militi e, superata la recinzione, si erano dispersi nelle campagne circostanti.

    La quasi totalità dei fuggitivi era poi stata rintracciata e ricondotta all'interno del CTP, ma successivamente numerosi di essi avevano denunciato di essere stati vittime, una volta ricondotti nel CTP "Regina Pacis", di pesanti ritorsioni, concretizzatesi in forme di violenza fisica e morale, donde l'inizio dell'indagine penale - nel corso della quale le parti lese erano state esaminate nelle forme dell'incidente probatorio - nei confronti del direttore del CTP, don L.C., nonchè degli operatori del Centro e dei militari dell'Arma dei carabinieri, che aveva portato - per quel che qui rileva - alla affermazione di responsabilità degli odierni ricorrenti nei termini sopra indicati. Tutti i predetti imputati hanno proposto ricorso per cassazione.

    L'Avv. Emilio Ricci, nell'interesse di L.C. deduce, con il primo motivo, violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per essere le dichiarazioni delle parti lese - ad eccezione di quelle riguardanti A. e Ai. - state assunte, in sede di incidente probatorio, in violazione dell'art. 63 c.p.p., comma 2, che sanziona con l'inutilizzabilità le dichiarazioni di chi avrebbe dovuto sin dall'inizio essere sentito nella veste di indagato, con l'assistenza del difensore.

    Nella specie, infatti - secondo il ricorrente - sussistevano ab origine rilevanti indizi di reità in ordine ad un cospicuo numero di delitti, avendo il carabiniere I.G. riferito dei vani tentativi dei militari di opporsi alla furia degli stranieri in fuga, tanto che il medesimo era stato costretto a sparare un colpo in aria a scopo intimidatorio venendo poi strattonato dai fuggitivi, mentre per calarsi dal terrazzo del CTP i magrebini avevano anche danneggiato il telone di copertura di un mezzo militare saltando su di esso.

    Non era pertanto condivisibile l'assunto della Corte di appello secondo cui non sarebbe esistito alcun collegamento giuridicamente rilevante tra le condotte poste in essere dagli extracomunitari in fuga e quelle successive, riconducibili agli operatori del centro e ai militari coinvolti negli scontri, in quanto era necessario appurare se le lesioni denunciate fossero state la conseguenza del salto spiccato dai magrebini nel tentativo di fuggire dal centro di accoglienza oppure se avevano diversa origine: si verteva dunque nel caso previsto dall'art. 371 c.p.p., comma 1, lett. b), con la conseguenza che le dichiarazioni rese dalle persone offese in sede di incidente probatorio dovevano essere dichiarate inutilizzabili.

    Con il secondo motivo si deduce violazione di legge nella parte in cui era stata disattesa la richiesta di dichiarazione dell'estinzione del reato di lesioni per essere intervenuta la remissione della querela da parte delle persone offese.

    I relativi atti di remissione - evidenzia la difesa del ricorrente - erano stati formalizzati nelle s.i.t. rese ai carabinieri il 22.12.02, ma i giudici di appello avevano ritenuto di non poterne tener conto perchè rese in un contesto di intimidazione, laddove invece dall'istruttoria dibattimentale era risultato che i carabinieri avevano ben spiegato alle parti lese le conseguenze di tale loro decisione e, ciononostante, costoro avevano confermato la loro scelta processuale, quindi fatta consapevolmente e volontariamente.

    Con il terzo motivo si deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per esservi stato un apprezzamento delle dichiarazioni delle persone offese in palese contrasto con quelli che sono i criteri che la giurisprudenza di legittimità ha individuato "per la valutazione del sapere proveniente da chi ha un interesse personale a un certo esito del processo".

    Nella specie, secondo il ricorrente, difettavano l'attendibilità dei dichiaranti e l'intrinseca attendibilità delle loro dichiarazioni, dal momento che le parti lese, nel corso dell'incidente probatorio, avevano non solo riferito in dettaglio circostanze già comunicate in precedenza, ma avevano introdotto anche circostanze del tutto nuove, fornendo inoltre in numerosi passaggi un racconto poco credibile, come allorchè B.S., B. e So. avevano sostenuto di non aver riportato alcuna conseguenza fisica nel saltare giù dal balcone del CTP per darsi alla fuga. Inoltre, nella specie, i magrebini avevano avuto un evidente interesse a mentire in quanto l'avvio di un procedimento penale che li vedeva come vittime ne avrebbe non solo ritardato l'espulsione, ma avrebbe potuto creare i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per fini di giustizia, possibilità di cui gli stranieri - come emergeva dalla lettura della sentenza impugnata - erano a conoscenza.

    Con il quarto motivo si deduce, infine, l'intervenuta prescrizione, medio tempore, del reato di lesioni aggravate, la causa estintiva essendo maturata il 22.5.10.

    L'Avv. Federico Massa, sempre nell'interesse di L.C., deduce, con il primo motivo, violazione di legge con riferimento all'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 4, nonchè in ordine alla mancata considerazione dell'intervenuta remissione di querela.

    L'aggravante in questione - evidenzia il difensore - doveva ritenersi insussistente dal momento che essa presuppone che le modalità dell'azione siano tali da presentare un quid pluris rispetto agli ordinari mezzi di attuazione del reato e che rivelino comunque un'indole particolarmente malvagia dell'agente e la sua insensibilità ad ogni richiamo umanitario, mentre nella specie non poteva dubitarsi che, pur volendo ammettere che L.C. avesse effettivamente commesso quanto contestatogli, "tali attività tanto erano coessenziali alla causazione dell'evento tipico del reato da non aver neanche determinato lesioni di una qualche gravità", avendo inoltre l'imputato agito in un contesto generale caratterizzato dall'agitazione e dall'allarme generati dal tentativo di evasione di massa dal centro di permanenza, laddove comunque mancava la specifica contestazione degli elementi di fatto che avrebbero connotato, secondo l'accusa, il comportamento del prevenuto nei termini definiti dall'aggravante in questione.

    Quanto alla intervenuta remissione della querela, non era ammissibile una revoca della remissione della stessa, quale risultante dalla volontà manifestata dai querelanti, il 18.12.02, dinanzi ai Carabinieri del N.O. di Lecce, allorchè avevano affermato che la precedente remissione era stata effettuata per il timore di essere ulteriormente trattenuti nel Centro: solo la prova rigorosa di un vizio assoluto della volontà avrebbe infatti potuto vanificare gli effetti della remissione, non la mera dichiarazione dell'interessato circa la sussistenza di presunti elementi di condizionamento, laddove peraltro J.F. e Ja.Ri. non risultava avessero mai proposto querela. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, con riferimento all'art. 40 c.p., comma 2, essendo L. C. stato ritenuto colpevole di una serie di reati di lesioni personali, in maniera generica e confusa, "anche ai sensi dell'art. 40 cpv. c.p.", senza che avessero mai costituito oggetto di definizione e/o indicazione, nell'ambito del giudizio, la fonte dell'obbligo giuridico di impedire l'evento; l'ambito di riferimento di tale obbligo; le circostanze che rendevano concretamente possibile l'intervento finalizzato ad impedire l'evento.

    Con il terzo motivo si deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per essere gravemente carente o all'evidenza contraddittoria la motivazione relativa ai sei episodi di lesioni addebitate all'imputato.

    Con riferimento a B.M. e L.A., la Corte di merito si era limitata a riportare le sintesi delle dichiarazioni da costoro rese il 19.3.03 in sede di incidente probatorio, ma il B. aveva riferito che don L.C. gli aveva dato uno schiaffo e che poi era stato percosso dagli addetti al centro e da alcuni carabinieri, senza indicare alcuna ulteriore partecipazione del ricorrente ai successivi fatti; quanto a J. e Y., non vi era alcun riferimento all'attività lesiva posta in essere nei loro confronti dall'imputato, essendosi la Corte di appello limitata a richiamare, nell'ambito della trattazione dedicata alla vicenda di So.Mo., la circostanza dell'esistenza in atti del riscontro delle lesioni riportate dai due; quanto all'episodio in danno di Sa.Mo., era stato contestato esclusivamente uno sputo in viso, inidoneo dunque ad integrare gli estremi del reato di cui all'art. 582 c.p., senza che fosse possibile neanche ipotizzare un contributo causale del L., prima e dopo l'episodio non presente sul posto, ai fatti di reato contestati agli altri imputati;

    con riferimento a So.Mo., la Corte di secondo grado aveva espresso una motivazione solo apparente, non considerando il contrasto tra le dichiarazioni del predetto e le risultanze della certificazione medica redatta dai sanitari dell'Ospedale (OMISSIS), attestante "trauma cranico facciale con vasta ferita l.c. al sopracciglio sx, labbro inferiore sx e mento", con prognosi di dieci giorni, senza che fosse stato rilevato il gravissimo danno che sarebbe stato determinato - secondo il racconto del So. - dal colpo di manganello sui denti, laddove peraltro i carabinieri in servizio presso il Centro, esaminati, avevano riferito che il So., dopo essersi lasciato cadere dalla balconata, presentava una ferita al volto che sanguinava abbondantemente, lesione del tutto aderente al contenuto del certificato medico del pronto soccorso.

    Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza attesa l'evidente contraddittorietà tra la pronuncia di condanna a carico del L. per i sei episodi di lesioni e la parte della sentenza che Sembrerebbe affermare la sussistenza della responsabilità penale anche per ulteriori ipotesi oggetto della originaria contestazione, estranee alla parte del capo a) non specificamente relativo a don L.C.".

    L.G. e V.N. deducono, con il primo motivo, violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), con riferimento all'art. 63 c.p.p., comma 2, emergendo chiaramente, sin dagli atti del fascicolo delle indagini preliminari, la sussistenza di cospicui indizi di reità a carico delle parti offese in relazione ad una serie di delitti, collegati con quelli ascritti ai ricorrenti, per cui le dichiarazioni rese nel corso dell'incidente probatorio dovevano essere ritenute inutilizzabili. Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) risultando dagli atti, con riferimento alla remissione di querela considerata dalla Corte leccese avvenuta in un clima di intimidazione, che le dichiarazioni di remissione erano state fatte dalle parti lese alla presenza degli agenti di p.g. inviati presso il Centro su impulso della Procura di Lecce, con l'assistenza dell'interprete e del loro difensore di fiducia.

    Con il terzo motivo si censura la mancata considerazione, nel computo della pena, delle attenuanti generiche già concesse invece dal primo giudice.

    D.P. deduce, con il primo motivo, violazione di legge per essere stata pronunciata dal primo giudice sentenza di condanna in relazione a fatti di reato mai contestati e peraltro coperti dalla intervenuta remissione della querela, che solo con una tesi suggestiva i giudici territoriali avevano ritenuto non frutto di una volontà liberamente e regolarmente formatasi, laddove poi, con riferimento all'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 9, i giudici non avevano considerato che il D. era un semplice operatore del CTP e, pertanto, non aveva svolto una pubblica funzione o un pubblico servizio, non potendo comunque ritenersi - sostiene espressamente la difesa del ricorrente - che il "Regina Pacis" avesse mai svolto un servizio di pubblica utilità.

    Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) dovendo in ogni caso sussistere un nesso strumentale tra l'abuso del potere o la violazione dei doveri ed il reato commesso, laddove peraltro dagli atti del procedimento era emerso con certezza che il D., alle ore 23 del (OMISSIS), si trovava a (OMISSIS) presso la stazione, distante 180 km da (OMISSIS), colmabile in una ora e %, per cui l'imputato era partito dal Centro tra le ore 20,15 e le ore 20,45, mentre il Sa. alle ore 21 si trovava a Lecce e non era potuto arrivare in (OMISSIS) prima delle 21,30, in tempo quindi non utile per ricevere lo schiaffo - come denunciato dalla parte lesa - dal D., il quale, per la stessa ragione, non poteva aver neanche commesso il reato di violenza privata in danno di B.M., che aveva dichiarato di essere rientrato al Centro dopo le ore 21,45 del 22.11.02, mentre forti contraddizioni si riscontravano anche tra il contenuto della querela di Ab.Mo. e le sue dichiarazioni successive, solo nell'incidente probatorio avendo il predetto sostenuto di essere stato percosso nei corridoi del Centro dagli operatori, rimanendovi per l'intera notte fino a che la mattina seguente era stato costretto da un carabiniere a mangiare carne di maiale.

    Nè corrispondeva al vero -prosegue la difesa del ricorrente - che le discordanze erano dovute a problemi di traduzione e a mancata comprensione con l'interprete, in quanto le querele erano state redatte con l'ausilio degli Avvocati Marcello Petrelli e Maurizio Scardia, alla presenza dell'interprete, scelto dai querelanti, N.M., ed inoltre molti dei fatti riferiti dalle parti offese erano stati smentiti dalle testimonianze del M.llo D.N. M., dell'App. S.L., del carabiniere N. R., nessuno dei quali aveva notato scene di violenza, mentre da altre testimonianze si era appreso che i fuggitivi erano rimasti feriti subito dopo la fuga ed il dott. s.N., esaminato come teste, aveva ritenuto le lesioni riportate dai querelanti compatibili sia con la caduta che con le percosse.

    Con il terzo motivo si deduce l'intervenuta estinzione dei reati per prescrizione.

    G.H. deduce, con il primo motivo, violazione di legge per non essere stato ritenuto il reato di percosse, in luogo di quello di lesioni aggravate ex art. 61 c.p., n. 4, con conseguente estinzione per intervenuta rituale remissione di querela.

    Con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per non essere stato provato il nesso eziologico tra le percosse, presuntivamente inferte dall'imputato al Sa.Mo., e le lesioni lamentate dalla p.o., la quale aveva anche denunciato precedenti maltrattamenti ad opera dei carabinieri e ben poteva aver riportato lesioni a seguito della caduta dall'alto e della fuga posta in essere il giorno precedente, come rilevato anche dal dott. s., e pertanto le dichiarazioni del Sa. erano da ritenere inattendibili. Con il terzo motivo si deduce l'intervenuta prescrizione del reato.

    S.R. lamenta, con il primo motivo, violazione di legge per essere stata pronunciata sentenza di condanna in relazione a reati mai contestati, laddove peraltro i querelanti avevano ritualmente rimesso la querela e, con il secondo motivo, deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non avendo considerato i giudici territoriali che la p.o. B.M. aveva sostenuto, tra l'altro, di essere stato privato dei vestiti, oltre che dal S., anche dal D., il quale ultimo, invece, in quelle ore si trovava a Bari, per cui il B. avrebbe dovuto essere ritenuto inattendibile.

    Con il terzo motivo si deduce l'intervenuta prescrizione del reato.

    D.F. deduce, con il primo motivo, violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c) per mancata enunciazione del fatto in forma chiara e precisa in ordine alle condizioni di tempo e di luogo in cui si sarebbero verificate le singole condotte contestate, nonchè in ordine alla individuazione dei singoli soggetti che avevano compiuto le singole condotte contestate, con conseguente violazione del diritto di difesa.

    Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con riferimento alle ricognizioni personali eseguite, per violazione dell'art. 214 c.p.p., avendo il giudice di appello motivato il rigetto della relativa doglianza su una valutazione ipotetico-deduttiva della presunta somiglianza dei soggetti affiancati agli odierni imputati durante le operazioni di ricognizione, laddove invece i soggetti affiancati non erano somiglianti agli imputati, sia fisicamente che nell'abbigliamento, sia prima che dopo la disposta sospensione dell'udienza finalizzata al deperimento di persone aventi caratteri di effettiva somiglianza con gli attuali appellanti come precisato in sentenza, ed inoltre l'attendibilità delle ricognizioni era inficiata essendo dalle stesse emerso che alcuni soggetti, pur essendo risultati altrove, erano stati tuttavia riconosciuti come presenti al momento del fatto.

    Con il terzo motivo si deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per essere la sentenza impugnata assolutamente generica nella indicazione temporale dei fatti e dei soggetti interessati dalle condotte contestate, oltre che contraddittoria in quanto negli episodi contestati - per i quali era stato mandato assolto l'imputato O.V. per non aver commesso il fatto - la Corte di merito aveva stabilito il principio della fidefacenza degli ordini di servizio e delle testimonianze relative, pur in presenza di un convergente atto di ricognizione formale da parte delle parti lese le cui dichiarazioni in tal modo - sostiene il ricorrente - erano da considerare inattendibili e quindi insufficienti a provare la responsabilità di tutti i carabinieri imputati ( D., C. e M.).

    Con il quarto motivo si deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per non avere i giudici di appello considerato le dichiarazioni del teste p., sulla regolarità dei turni di servizio e sul comportamento regolare tenuto dai carabinieri in servizio all'interno del Centro. Con il quinto motivo si evidenzia che nelle more tra la pronuncia della sentenza di secondo grado e il deposito della motivazione della stessa è intervenuta l'estinzione dei reati per prescrizione.

    A.V., con i primi due motivi, sviluppa le medesime doglianze del D. e, con il terzo, deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per avere la Corte di merito sviluppato una motivazione dal contenuto assolutorio dell' A., dichiarandone "di fatto" l'estraneità ai fatti contestati, pervenendo poi illogicamente alla conferma della condanna (se pure ridotta nella pena) inflitta allo stesso nelle conclusioni.

    Con il quarto motivo si deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per non avere i giudici illogicamente considerato che in occasione dei due episodi di lesioni narrate dal So., l' A. non fosse in servizio all'interno del Centro, quanto al primo, avvenuto immediatamente dopo la fuga del So., mentre con riferimento al secondo l'imputato aveva terminato il suo turno di servizio non più di trenta minuti dopo l'arrivo del So.

    presso il Centro, precisamente alle ore 01 del (OMISSIS).

    Anche il predetto ricorrente lamenta poi la mancata valutazione delle dichiarazioni del teste p., a fronte della inattendibilità del So., le cui dichiarazioni erano state smentite dai testi esaminati i quali avevano riferito di averlo visto riverso in terra a causa della caduta dal balcone da cui si era lanciato.

    Con il quinto motivo si deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, avendo i giudici di appello ritenuto non colpevole il coimputato Ottomano, pur in presenza di un convergente atto di ricognizione formale da parte di L. e B., in ragione della fidefacenza degli ordini e dei memoriali di servizio da cui emergeva che il predetto era assente dal Centro durante i presunti atti di violenza, senza però estendere tale assoluzione a tutti i carabinieri coinvolti negli stessi episodi del "Regina Pacis".

    Da ultimo, si deduce l'intervenuta prescrizione dei reati.

    C.M. e M.V. anch'essi - come i due precedenti ricorrenti - a mezzo dell'Avv. Francesco Paolo Sisto, formulano cinque motivi riportanti le stesse doglianze evidenziate dai coimputati D. e A..

    D.P.M. e F.G. formulano anch'essi - sempre a mezzo dell'Avv. Francesco Paolo Sisto - con i primi due motivi, doglianze analoghe a quelle dei quattro precedenti ricorrenti, con il terzo motivo deducendosi violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per essere stata ritenuta la colpevolezza dei due sulla base delle dichiarazioni della p.o. D., riscontrate dal formale riconoscimento, nonostante l'inattendibilità del D. e l'aver questi negato, in sede di s.i.t, di aver riportato lesioni, e nonostante l'avvenuta assoluzione del carabiniere D. (per non essere risultato in servizio), pur riconosciuto anch'esso dal D..

    Con il quarto motivo si deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per non avere i giudici tenuto conto della deposizione del teste L. - di guardia la mattina del 22, assieme a F. e D.P., il quale aveva affermato che nessun suo collega era entrato nel corridoio (dove sarebbero avvenute le violenze), se non per recarsi in bagno. Con il quinto motivo si deduce l'intervenuta prescrizione dei reati.

    C.A.C. e R.G., sanitari in servizio presso il CTP "Regina Pacis" e condannati per il reato di falso ideologico con riferimento a 11 certificati medici a loro firma, per il tramite dell'Avv. Francesca G. Conte deducono violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) evidenziando che ai fini della consumazione del reato in esame è necessario che chi attesta i fatti sia ben conscio della loro falsità, occorrendo che sia provato che i fatti certificati non corrispondano al vero e che il medico abbia agito con la volontà di commettere il reato, dovendosi escludere il dolo ogni volta che la falsità risulti oltre o contro l'intenzione dell'agente, come allorchè risulti dovuta a mera leggerezza o negligenza, accadendo spesso che la falsa diagnosi risulti dovuta ad una diagnosi errata, determinata da colpa e non da dolo.

    Nella specie - secondo i ricorrenti - difettava l'elemento soggettivo del reato di falso in atto pubblico, essendosi trattato, da parte dei due medici, di un comportamento sicuramente censurabile, sotto il profilo della negligenza nel modus operandi e di redazione dei certificati medici, senza che però vi fosse la prova della loro coscienza e volontà di commettere un falso, aggravato inoltre dal fine di fornire "copertura" ad altri, tanto che i due L., gli iniziali destinatari della "copertura" tramite le certificazioni mediche, erano stati assolti, circostanza che - contrariamente all'assunto della Corte leccese - consentiva di escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, anche perchè non appariva verosimile che in un momento frenetico in cui i due medici si erano trovati ad operare la notte del (OMISSIS), avessero deciso di stilare false certificazioni e, se tali fossero state le loro intenzioni - conclude la difesa dei ricorrenti - avrebbero di certo fatto coincidere le date dei certificati con quelle della loro presenza nel Centro e con la presenza dei magrebini sottoposti a visita, per cui era evidente che, mancando tale coincidenza, si fosse trattato di un mero errore materiale nella sottoscrizione dei certificati.

    Preliminarmente - osserva questa Corte - vanno esaminate le doglianze, comuni alla maggior parte dei ricorrenti, riguardanti la asserita inutilizzabilità, per violazione dell'art. 63 c.p.p., comma 2, delle dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio dalle parti lese, nonchè quella concernente la questione di improcedibilità per intervenuta remissione di querela, avente rilievo per la quasi totalità degli addebiti di lesioni personali per i quali è intervenuta condanna da parte dei giudici territoriali. Con riferimento alla prima questione si sostiene, da parte dei ricorrenti, che all'epoca in cui le parti lese erano state esaminate già sussistevano nei loro confronti numerosi indizi di reità in relazione a "un cospicuo numero di delitti e per i quali, pertanto, era necessario procedere osservando le prescrizioni dettate per coloro che sono coinvolti nei fatti di causa".

    In particolare - si assume - erano ravvisabili nelle condotte rappresentate dai carabinieri esaminati, gli estremi dei reati di resistenza o, quanto meno, di minaccia a p.u., oltre che di danneggiamento, come nel caso del telone di copertura di un mezzo militare, divelto dopo che i magrebini erano saltati su di esso per tentare la fuga dal CTP. Senonchè, oltre a presentarsi sostanzialmente come aspecifiche, non essendo indicato dai ricorrenti a chi sarebbero riferibili i reati ravvisabili nelle condotte dei fuggitivi e su chi inciderebbero di conseguenza le violazioni concernenti l'art. 63 c.p.p., comma 2, tali censure non presentano alcuna rilevanza con riferimento al contenuto dell'esame al quale si sono sottoposte le parti lese in sede di incidente probatorio.

    Come rilevato, infatti, dagli stessi ricorrenti - in particolare dalla difesa di don L.C. -, l'esame delle parti offese era indirizzato al chiarimento delle dinamiche delle presunte aggressioni subite per mano degli imputati e pertanto - come correttamente posto in rilievo dai giudici di merito - alcun collegamento giuridicamente rilevante era configurabile tra le condotte poste in essere dai soggetti in fuga dal CTP e, quelle successive, riconducibili agli operatori del Centro e ai militari coinvolti negli scontri.

    La necessità, infatti, di appurare l'origine delle denunciate lesioni, se cioè fossero conseguenza del salto spiccato dai fuggitivi oppure se fossero derivate aliunde, non era rapportabile, in termini di necessario collegamento, ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), alla dedotta - dalle difese dei ricorrenti - sussistenza di indizi per i reati di resistenza e/o di minacce a p.u. (indizi, peraltro, mai ravvisati dalla Procura salentina), dal momento che la fuga, ovvero il tentativo di essa - come perspicuamente rimarcato dalla Corte leccese - aveva costituito solo l'antefatto delle condotte criminose successivamente addebitate agli odierni ricorrenti, queste ultime del tutto autonome e causalmente svincolate dalle prime.

    Legittimamente, pertanto, sono state ritenute utilizzabili le dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio dalle parti lese, le quali hanno così concorso a formare il materiale probatorio posto a base, ai sensi dell'art. 526 c.p.p., della deliberazione da parte dei giudici di merito. Del pari legittimamente, e proprio in conseguenza della piena utilizzabilità delle indicate dichiarazioni, non è stata riconosciuta la dovuta efficacia giuridica alla intervenuta remissione di querela ad opera delle parti lese, avendo le stesse - come analiticamente riportato dalla Corte salentina nelle pagine da 35 a 43 dell'impugnata sentenza - riferito di essere state oggetto di pressioni di vario genere, sia per desistere dall'azione che per modificare o edulcorare la reale versione dei fatti, tanto che la p.o. D.M., ad esempio, aveva raccontato di esplicite pressioni da parte del direttore del CTP che gli aveva chiesto di rinunciare all'azione penale regalandogli, nell'occasione, sigarette e schede telefoniche, e T.M. (l'interprete di stanza presso il CTP "Regina Pacis" di (OMISSIS)) gli aveva chiesto di sottoscrivere il "foglio delle firme" in cambio della promessa di lasciare il CTP. Era stata proprio la situazione di confusione generalizzata - hanno specificato ancora i giudici di secondo grado - a produrre l'effetto di paralizzare la volontà degli ospiti del CTP, i quali non solo avevano inizialmente reso una querela non dettagliata, ma avevano poi manifestato la volontà di rimettere tutte le querele allorchè, il 22.12.02, erano stati sentiti dalla p.g. delegata. Senonchè - come aveva riferito il M.llo F. il quale aveva proceduto all'audizione dei denuncianti, raccogliendo poi la volontà di remissione delle querele in data 22.12.02 -, la volontà di rimettere le querela era stata addirittura manifestata coralmente prima che ai querelanti fosse rivolta alcuna domanda, venendo peraltro seguita dalla puntuale conferma dei fatti rappresentati, mentre il M.llo D., anch'egli impegnato nell'identica attività del collega F., aveva ricordato che, intervenuta la remissione della querela da parte degli interessati, i medesimi gli avevano poi confidato, nel corso degli atti di individuazione fotografica, che alla base del loro comportamento vi era stata la paura di ritorsioni.

    In tale situazione pertanto - significativa anche in termini di evidente assenza di intento calunniatorio da parte dei denuncianti -, non certo illogicamente i giudici salentini hanno ritenuto l'irrilevanza dell'intervenuta remissione della querela in quanto frutto non di volontà liberamente e regolarmente formatasi, necessaria per la produzione degli effetti giuridici suoi propri.

    Rilevata, dunque, l'infondatezza delle doglianze prospettate dai ricorrenti, con riguardo alla inutilizzabilità delle dichiarazioni delle parti lese e alla improcedibilità dei reati perseguibili a querela, le dichiarazioni delle parti offese sono state valutate in termini di attendibilità intrinseca ed estrinseca da parte dei giudici territoriali, supportate anche dagli opportuni riscontri (certificati medici del Pronto soccorso dell'Ospedale (OMISSIS), attestanti le lesioni riportate dalle parti lese) che ne hanno vieppiù confermato la bontà ai fini di delineare un quadro probatorio di certezza in termini di responsabilità dei ricorrenti - ad eccezione di A.V. - in ordine ai reati agli stessi ascritti.

    Sul punto, si palesano generiche le doglianze della difesa di L.C., secondo cui i denuncianti, in sede di incidente probatorio, avrebbero, oltre che dettagliare circostanze già comunicate in precedenza, introdotto circostanze del tutto nuove", spinti dall'interesse a mentire onde creare i presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno a fini di giustizia, come pure generico è l'assunto di "poca plausibilità" delle dichiarazioni nella parte in cui B.S., B.M. e S. M. avevano affermato che in conseguenza della caduta per il tentativo di fuga, non si erano "fatti nulla", ed altrettanto generica è la censura di inattendibilità dei medesimi per essere risultato che alcuni di loro, nel momento in cui si era proceduto all'incidente probatorio, vivevano assieme, "convivenza che ha chiaramente creato l'occasione per una comune concertazione della versione dei fatti da offrire".

    Va però accolto, sempre con riferimento a don L.C., l'ultimo motivo di gravame, quello cioè concernente l'estinzione dei residui reati ascrittigli, in quanto in relazione ad essi è maturato il termine massimo di prescrizione, con conseguente irrilevanza del motivo riguardante l'aggravante ex art. 61 c.p., n. 4, prospettato peraltro in termini generici, per insussistenza degli elementi costitutivi e per non avere comunque "gli elementi di fatto, che in ipotesi avrebbero connotato il comportamento dell'imputato nei termini definiti dall'aggravante in argomento, mai costituito oggetto di specifica contestazione", come pure generico è il quarto motivo redatto dall'Avv. F. Massa, relativo alla asserita nullità della sentenza impugnata in quanto le "precedenti considerazioni svolte nella parte motiva della sentenza medesima sembrerebbero affermare la sussistenza della responsabilità penale anche per ulteriori ipotesi oggetto della originaria contestazione", laddove peraltro - osserva questa Corte - le indicate parti lese D.M. e L.H. non risultano neanche costituite parti civili nei confronti del ricorrente.

    I primi due motivi di ricorso di L.G. e V. N. riguardano le violazioni dell'art. 63 c.p.p., comma 2, e art. 152 c.p., nei termini sopra esaminati, con conseguente loro infondatezza, mentre la censura riguardante il trattamento sanzionatorio, di cui al terzo motivo, è da ritenere assorbita dall'intervenuta prescrizione dei reati di lesioni ascritti ai due imputati. D.P., G.H. e S.R. - tutti operatori del Centro "Regina Pacis" che dunque svolgevano una pubblica funzione della quale hanno abusato, sì che legittimamente è stata ritenuta l'aggravante ex art. 61 c.p., n. 9 - formulano anch'essi la doglianza concernente la mancata estinzione dei reati per intervenuta remissione della querela, nei termini comuni agli altri imputati, preceduta dalla generica eccezione di nullità della sentenza di primo grado per violazione dell'art. 522 c.p.p., essendo intervenuta - lamentando i ricorrenti - "una trasformazione strutturale dell'addebito specificamente formulato nel capo d'imputazione; infatti, il primo giudice ha pronunciato sentenza di condanna nei confronti dei prevenuti non soltanto in relazione a reati mai contestati in precedenza, ma soprattutto in relazione a fatti mai addebitati, nè enunciati nell'imputazione e rispetto ai quali nessun esercizio del diritto di difesa è stato concretamente posto in essere".

    Con argomentazioni miranti ad una alternativa ricostruzione dei fatti per cui è processo e ad una rivalutazione del materiale probatorio, non consentite in sede di legittimità, i ricorrenti - in particolare il D. - hanno prospettato l'inattendibilità del narrato della parte lesa Sa. per non aver potuto questi subire lo schiaffo del D. in quanto alle ore 21 del (OMISSIS) il Sa. era a Lecce (e non presso il CTP "Regina Pacis", come invece affermato nella sentenza impugnata), mentre il D. era in viaggio verso (OMISSIS) per raggiungere la locale stazione ferroviaria dove alle ore 23 gli era stato affidato un altro dei fuggiaschi, So.Mo..

    Senonchè, con motivazione del tutto adeguata ed immune dai segnalati profili di illogicità, i giudici salentini hanno evidenziato la piena attendibilità del Sa., le cui dichiarazioni accusatorie hanno riguardato don L.C., dal quale il predetto aveva subito uno sputo in faccia; V. e D., dai quali era stato colpito; L.G., dal quale pure il Sa. era stato colpito con un calcio; G., il quale, in concorso con V. e D., aveva percosso Sa.Mo. in varie parti del corpo, cagionandogli lesioni.

    Le stesse dichiarazioni, infine, non sono state reputate dai giudici di appello sufficienti per ritenere la colpevolezza anche del carabiniere D., ma non per la loro inattendibilità, quanto perchè - come precisato dalla Corte di merito - lo stesso Sa., in sede di incidente probatorio del 4.3.03, aveva manifestato dubbi in ordine alla capacità di riconoscere i militari autori della violenza in suo danno, affermando: "Forse sarei in grado di riconoscere solo alcuni dei carabinieri coinvolti negli episodi di cui alla denunzia-querela".

    In particolare, la Corte di appello ha reputato del tutto compatibili le dichiarazioni della predetta p.o. con la documentata presenza del D. a (OMISSIS) alle ore 23 dello stesso (OMISSIS), per la presa in consegna del So., argomentando circa la percorribilità in due ore della distanza (OMISSIS) e sottolineando che il So.

    aveva fatto ingresso nel CTP, di ritorno da (OMISSIS), alle ore 00,30 del (OMISSIS), coprendo pertanto la distanza in un'ora e 1/2.

    Poichè il Sa. - argomentano ancora i giudici di appello - era stato ritrovato in quel di (OMISSIS), secondo il suo stesso racconto, confermato anche in sede di incidente probatorio, "verso le 06,00 del pomeriggio", nei pressi della stazione ferroviaria; era stato condotto in ufficio dai carabinieri e rinchiuso in una stanza per circa mezz'ora, per poi essere ricondotto in auto nel CTP "Regina Pacis", tanto che il registro degli ingressi del (OMISSIS) riportava - hanno evidenziato i giudici - l'annotazione secondo cui "alle ore 18,50 degli operatori portano un extracomunitario fuggito nella notte dal Centro", ne conseguiva la piena convergenza dei dati forniti dal Sa. con l'orario di ingresso nel CTP, con conseguente esclusione di ogni problema di compatibilità delle accuse del Sa. con la presenza nel Centro del D., essendo quest'ultimo solo successivamente partito alla volta di (OMISSIS).

    Quanto poi alla assenza di scene di violenza notate dai militari presenti nel Centro e sentiti come testimoni, la Corte salentina ha evidenziato come tutti i fatti di violenza per cui è processo si siano verificati nel corridoio antistante gli uffici della direzione del Centro e ciò non a caso, trattandosi - hanno specificato i giudici - di una zona della struttura non interessata dal raggio di azione delle telecamere installate per ragioni di sicurezza e che, successivamente all'iniziale afflusso di persone a seguito della fuga posta in essere, non era risultata particolarmente frequentata dal momento che i rinforzi sopraggiunti erano subito stati organizzati per la effettuazione dei vari servizi. Anche nei confronti di D., G. e S. l'impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio per essere i reati agli stessi ascritti estinti a seguito di intervenuta prescrizione. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento ai ricorrenti D., C., M., D.P. e F., in accoglimento dell'ultimo dei rispettivi motivi di ricorso, la cui responsabilità per i reati loro ascritti riposa, secondo la coerente, esaustiva e logica motivazione della sentenza impugnata, nelle dichiarazioni delle parti lese e negli esiti positivi dei riconoscimenti formali eseguiti dalle stesse.

    A fronte della sostanzialmente aspecifica doglianza in esordio formulata dai ricorrenti, circa la genericità dei rispettivi capi d'imputazione, con conseguente nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa e mancata correlazione tra fatto descritto e fatto ritenuto in sentenza, i giudici di appello hanno evidenziato come nei confronti del carabiniere D.F. si pongano le attendibili dichiarazioni accusatorie della p.o. Ab.

    secondo cui questi, bloccato dopo il tentativo di fuga fallito, era stato portato nel corridoio del Centro, dove poi la mattina seguente erano stati condotti anche B.S.L. e De.Mo. ed erano avvenute le violenze ad opera di un "uomo in divisa", poi riconosciuto, in sede di ricognizione formale (preceduta dal positivo esito della individuazione fotografica) per il D., il quale, sedutosi sulla pancia dell' Ab., gli aveva aperto la bocca con la forza e lo aveva costretto a mangiare carne di maiale e poi "con il manganello ha spinto in modo che la ingoiavo".

    Riscontri a tali affermazioni - hanno sottolineato i giudici - erano anche giunti dalle dichiarazioni del De., il quale aveva indicato nell' Ab.i (oltre che nel B.S.) la persona che era stata colpita e che aveva avuto modo di vedere durante le ore di permanenza nel corridoio del "Regina Pacis", in cui anch'egli era stato condotto, nonchè dal significativo particolare richiamato ancora dalla p.o. secondo cui il carabiniere che lo aveva costretto ad ingoiare carne di maiale era da poco montato di servizio, circostanza riscontrata dalla documentazione in atti da cui risultava che il D., dopo essere stato impiegato in via d'urgenza nella ricerca dei fuggitivi, fino alle ore 3 del mattino, aveva iniziato il turno ordinario alle ore 7, e senza che in senso favorevole all'imputato potessero valutarsi le dichiarazioni del teste La., carabiniere anch'egli in servizio al "Regina Pacis" il (OMISSIS), unitamente al D. e con il medesimo turno di servizio, il quale si era mostrato - hanno rimarcato i giudici di appello - particolarmente incerto in sede di controesame e nulla era stato in grado di riferire in ordine al sopraggiungere di cittadini extracomunitari nel corridoio, nonostante la sicura presenza, in quella stessa mattina, di B.S., De. e L.. Il primo di essi aveva subito i colpi inferrigli da Gi. (alias, Lu.) L. e V.N., unitamente a due carabinieri che lo avevano colpito con il manganello in dotazione, riportando la frattura del calcagno, oltre a lesioni all'arto superiore sinistro, braccio sinistro e contusioni diffuse, secondo il referto ospedaliere, mentre De.Mo. ed il suo compagno di fuga L. H. erano stati colpiti al volto da don L.C. dopo che gli stessi erano stati rintracciati e ricondotti al Centro in manette, mentre i carabinieri D.P., F. e D. (come tali riconosciuti all'esito di ricognizione formale dal De.) avevano successivamente colpito il De. con pugni e calci costringendolo poi a mangiare carne di maiale cruda, come riferito dalla stessa parte lesa, alla presenza di don L.C., D., Lu. e V., e sempre nel corridoio antistante gli uffici della direzione del Centro.

    Al pestaggio di L.A., costretto anch'egli dal carabiniere D. (come tale riconosciuto con certezza dalla predetta parte lesa) ad ingoiare carne cruda con l'uso del manganello, avevano poi assistito i carabinieri C.M. e M.V. (anch'essi riconosciuti con certezza dal L., il quale nella circostanza aveva riportato le lesioni reperiate dal dott. R., la falsità dei cui certificati aveva riguardato non le patologie riscontrate, ma la causale indicata e la data di effettuazione della relativa visita), i quali, pur polendo, non erano intervenuti in alcun modo e sulla cui identificazione non potevano sorgere dubbi avendo il L. evidenziato - come precisato dai giudici salentini - che il C. all'epoca dei fatti non portava gli occhiali e che il M. non presentava alcun "pizzetto" sul volto, come invece in occasione della ricognizione del 6.3.03.

    A diverse conclusioni, nel senso della fondatezza del ricorso, deve invece pervenirsi con riferimento al carabiniere A.V..

    Relativamente a tale imputato, infatti, i giudici di appello hanno prospettato, in esordio dell'esame della relativa posizione, una soluzione assolutoria, derivante sia dal non comparire il suo nominativo nella parte del capo d'imputazione in cui a ciascun imputato era stata ascritta la condotta specifica di cui veniva chiamato a rispondere, sia perchè, indicato con non sufficiente certezza dal So., in sede di ricognizione formale del 7.3.03, come il carabiniere che materialmente gli aveva usato violenza, era risultato per tabulas che l' A., come aveva confermato anche il teste a., era stato impiegato fino alle ore 10 del mattino del (OMISSIS).

    nella ricerca dei fuggitivi, per cui non era stato presente all'interno del Centro.

    Contraddittoriamente, però, la stessa Corte di merito ha, nel prosieguo, evidenziato che avendo l' A. preso servizio presso il "Regina Pacis", lo stesso (OMISSIS), con turno 19,00-01,00, egli era presente al momento dell'arrivo da (OMISSIS) del So., avvenuto alle ore 00,30, "con conseguente piena compatibilità della circostanza (malgrado l'apodittica negativa della difesa) con le accuse della parte lesa, rimaste però estranee al thema decidendum".

    Ha quindi la Corte leccese rideterminato la pena in mesi otto di reclusione, previa assoluzione di " A.V. dal residuo delitto di violenza privata a suo carico per non aver commesso il fatto".

    L'impugnata sentenza va pertanto annullata, relativamente a tale ricorrente, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce per nuovo esame.

    Da ultimo, i ricorsi di C.A.C. e R.G. devono essere rigettati in quanto infondati.

    Costoro, sanitari in servizio presso il CTP "Regina Pacis", hanno materialmente formato undici certificati medici, tutti in data (OMISSIS), attestanti, contrariamente al vero, che le lesioni riportate dalle parti offese in essi indicate ( L., Ab., B.S., Ag., Ai., Ad., De., So., B., Ar. e Sa.) erano state causate da "lancio volontario dal piano sopraelevato del Centro, per tentata fuga dallo stesso".

    Si era trattato di false attestazioni dal momento che - hanno del tutto perspicuamente rilevato i giudici territoriali e ciò conseguendo peraltro da quanto fin qui evidenziato - la maggior parte delle lesioni riportate dai predetti magrebini erano state causate da atti di violenza ai loro danni posti in essere per aver tentato la fuga dal "Regina Pacis", non essendo peraltro la d.ssa C. risultata neanche in servizio il (OMISSIS), mentre Ag., Ai. e Ad., fuggiti dal Centro il (OMISSIS), erano stati rintracciati e ricondotti al "Regina Pacis" solo il (OMISSIS), donde l'impossibilità di essere stati visitati e refertati il 23.11.02.

    A fronte di tali oggettive risultanze, non hanno pregio le doglianze dei due imputati secondo cui essi non sarebbero stati consapevoli della falsità dei fatti attestati e sarebbe quindi mancante l'elemento soggettivo del delitto di falso ideologico per essere l'attestazione contraria al vero frutto di mera leggerezza o negligenza dovuta a colpa.

    Sul punto, i giudici territoriali hanno rimarcato anzitutto come fosse apparso evidente - ed anche il c.t.p. si., all'esito del suo esame, era stato molto più "possibilistà rispetto alla causale indicata dalla tesi accusatoria - che le lesioni orbitali, quelle mentoniere o delle ossa della clavicola, ben difficilmente avrebbero potuto essere compatibili con le conseguenze di un salto in piedi spiccato da una modesta altezza, aggiungendo significativamente che il teste An. - collega della C. il quale aveva messo al corrente quest'ultima della fuga attuata dagli ospiti del Centro - aveva chiesto spiegazioni alla predetta dei certificati medici dalla stessa redatti il 23.11.02, ricevendo dalla collega la confessione che la causale riportata dalle certificazioni medesime era stata indicata fittiziamente e mai era stata dichiarata dagli interessati.

    Vi era stata quindi - hanno del tutto correttamente concluso i giudici salentini - una consapevole immutatio veri alla quale i due sanitari del CTP si erano prestati all'evidente fine di mascherare la realtà effettiva, attraverso la manipolazione di dati fondamentali, poi messi a disposizione degli organi investigativi, a nulla valendo, per escludere il dolo - osserva da ultimo questa Corte - il maldestro comportamento posto in essere dai due imputati, già peraltro rimarcato dai giudici territoriali, consistito nel replicare il certificato medico anche per tutti coloro per i quali già vi era in atti la documentazione sanitaria di provenienza ospedaliera, e nel redigere a macchina i certificati stessi pur se in precedenza - come aveva affermato il teste M.llo Ma. - i medesimi erano stati sempre redatti a mano.

    Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di C. e R., singolarmente, al pagamento delle spese processuali.

    Al rigetto dei ricorsi, agli effetti civili, dei precedenti imputati, segue la condanna di L.G., D.P., V. N. e G.H. (ma non di R.G., come pure richiesto in sede di conclusioni scritte, dall'Avv. Massimo Pistelli, non essendo Sa.Mo. costituito parte civile nei suoi confronti), in solido tra loro, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Sa.Mo., che si reputa di dover liquidare in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge, disponendosi che le spese in favore del patrono del Sa., Avv. Pistelli Massimo, siano anticipate dallo Stato, essendo il Sa. stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
    PQM
    P.Q.M.

    Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente ai reati rispettivamente ascritti a L.C., L.G., D.P., G.H., S.R., D. F., C.M., M.V., D.P.M., F.G. e V.N., per essere detti reati estinti per prescrizione.

    Rigetta agli effetti civili i predetti ricorsi e condanna i ricorrenti L.G., D.P., V.N. e G.H., in solido, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Sa.Mo., liquidate in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge e dispone che le spese in favore del patrono del Sa., Avv. Massimo Pistelli, siano anticipate dallo Stato. Annulla la sentenza impugnata relativamente ad A.V., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce.

    Rigetta i ricorsi di C.A.K. e R.G. che condanna, singolarmente, al pagamento delle spese processuali.

    Così deciso in Roma, il 6 giugno 2013.

    Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2013
Avv. Antonino Sugamele

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