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Sentenza

Truffa aggravata per un direttore amministrativo che per ottenere finanziamenti modifica il numero degli alunni nei registri di classe.
Truffa aggravata per un direttore amministrativo che per ottenere finanziamenti modifica il numero degli alunni nei registri di classe.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 settembre - 6 novembre 2013, n. 44673
Presidente Prestipino – Relatore Verga

Motivi della decisione

Ricorre per cassazione, a mezzo dei difensori, M.V. , avverso la sentenza della Corte d'Appello di Trento che, in data 18.5.2012, in riforma della sentenza del Tribunale di Rovereto che in data 25.11.2010, aveva assolto l'imputato dal reato di cui all'art. 640 bis c.p., lo aveva condannato per tentata truffa aggravata così modificando l'originaria contestazione. Al M. era stato contestato di avere in qualità di direttore amministrativo ed in concorso con il direttore didattico del centro di formazione professionale veronese, con artifici e raggiri indotto in errore la provincia autonoma di Trento procurando all'Istituto l'ingiusto profitto della percezione di una quota maggiore di finanziamento per l'anno formativo 2007 - 2008 pari ad Euro 148.500 relativa alla formazione della classe seconda D per la quale non ricorrevano i requisiti minimi per la costituzione con correlativo danno per l'ente pubblico.
Il tribunale lo aveva assolto ritenendo che non fosse stata raggiunta la prova certa dell'integrazione dei reato sotto il profilo oggettivo, in particolare non ha ritenuto che le condotte ingannatrici posti in essere dall'imputato abbiano determinato un profitto per l'istituto ed abbiano provocato un danno alla provincia.
La corte d'appello ha ritenuto accertata la responsabilità dell'imputato per il reato di tentata truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Innanzitutto ha ritenuto accertato, come descritto anche nella motivazione del giudice di primo grado, che l'imputato in concorso con il direttore didattico aveva indotto in errore con artifici e raggiri il servizio scuola della PAT, comunicando l'iscrizione alla classe seconda D civile di alcuni allievi che mai si erano iscritti (I. , L. , Lo. e S.Z. ) facendoli poi risultare nel registro di classe fittiziamente assenti e poi come ritirati. Inoltre ha ritenuto accertato che l'imputato aveva comunicato l'iscrizione alla classe di tre allievi (C. , K. e P. ) iscritti ad altre classi (classi 2 A meccanica, 2 B elettrico e 2 C elettronica), classi che regolarmente frequentavano. Così facendo era stato superato fittiziamente il numero di otto allievi necessario per la costituzione della classe 2 D edile e per ottenere il finanziamento pubblico. Ritenevano i giudici d'appello che il danno e il conseguente profitto ingiusto che rappresentano l'evento del delitto di truffa non si erano però prodotti per cause estranea alla volontà dell'imputato perché dagli atti e dalle testimonianze non era emerso se e in che parte il finanziamento non dovute e assegnato fosse stato successivamente versato con deminutio patrimonii della provincia e correlativo ingiusto profitto del centro Veronesi.
Ricorre per cassazione l'imputato deducendo che il provvedimento impugnato è incorso in violazione di legge. Sostiene che è stato provato nell'istruttoria dibattimentale che la PAT aveva riconosciuto l'esigenza di impostare la gestione delle classi nella prospettiva dell'obiettivo della cosiddetta dispersione zero, così come era risultato che la PAT avrebbe comunque attivato la classe seconda edile anche in presenza di soli sei iscritti o avrebbe accorpato gli stessi ad un'altra seconda classe con conseguente necessità di sdoppiarla in presenza di un numero di studenti superiore a 25. A tal fine richiamava le dichiarazioni del teste Ce. . Lamenta pertanto un'erronea valutazione del fatto e del quadro normativo di riferimento.
Il ricorso è infondato.
Premesso che la totale riforma della sentenza di primo grado impone al giudice di appello, secondo una regola di giudizio, sempre ribadita da questa Corte (sez. 1 sentenza n. 1381 del 10/02/1995, ud. 16/12/1994, PM C/Verderosa Rv. 201487; sez. 2, 12.12.2002 n. 15756 PG in proc. contrada rv. 225564), la dimostrazione dell'incompletezza o della non correttezza ovvero dell'incoerenza delle relative argomentazioni con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da corretta, completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, senza lasciare spazio alcuno, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi di prova diversi o diversamente valutati, deve rilevarsi che nel caso di specie i giudici d'appello hanno prospettato una soluzione divergente rispetto a quella indicata dal primo giudice suffragata da un rigoroso percorso motivazionale, supportato da un organico e coerente apprezzamento degli aspetti giuridici e di fatto acquisiti, articolato attraverso passaggi logici dotati della indispensabile saldezza.
Il giudice di appello ha raffrontato il proprio decisum non solo con le censure dell'appellante, ma anche con il giudizio espresso dal primo giudice, che si compone sia della ricostruzione del fatto che della valutazione complessiva degli elementi probatori, nel loro valore intrinseco e nelle connessioni tra essi esistenti ed ha tenuto conto anche delle deduzioni difensive espresse dal M. nella memoria depositata in atti.
A fronte di tale organica e coerente motivazione il ricorrente ripropone le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, senza tenere conto di quanto detto dalla Corte territoriale con motivazione logica e coerente.
Il M. sotto il profilo del vizio di legge e del difetto di motivazione, sollecita alla Corte una diversa lettura dei dati normativi e di fatto accertati senza tenere in considerazione quanto indicato dai giudici d'Appello che hanno tolto valenza alla deposizione Ce. dando atto con motivazione logica e coerente che costui si era limitato ad affermare che la Provincia (giunta provinciale) avrebbe potuto, mediante una decisione politica, cambiare le sue determinazioni e fissare un diverso numero di presenze in una classe, situazione che nel caso di specie non si era però verificata, prova ne era che l'imputato aveva dovuto porre in essere le condotte artificiose accertate invece di chiedere semplicemente di poter costituire una classe con un numero di studenti inferiore ad 8.
Il ricorso deve pertanto essere respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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