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Sentenza

Sulla misura interdittiva prefettizia antimafia.
Sulla misura interdittiva prefettizia antimafia.
Consiglio di Stato, Sez. III, 7/3/2013 n. 1386
N. 01386/2013REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7781 del 2012, proposto da:

Fravesa s.r.l., trust Tricalò in persona dei rispettivi rappresentati pro tempore, rappresentati e difesi dall'avv. Loris Maria Nisi, con domicilio eletto presso Sebastiano Comerci in Roma, viale Parioli, n.112;

 

contro

U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, Ministero dell'Interno in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00191/2012

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

 

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell' U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria e del Ministero dell'Interno;

 

Viste le memorie difensive;

 

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2013 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Nisi e dello Stato Lumetti Maria Vittoria;

 

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con un primo ricorso davanti al Tar Calabria, sede di Reggio Calabria, la società Fravesa s.r.l. impugnava l'informativa a carattere interdittivo resa dalla Prefettura di Reggio Calabria, ex art.10 d.p.r. n. 252/98 prot. n. 0082695 del 23 dicembre 2009.

 

Successivamente, i soci della società costituivano, con atto del 28 aprile 2010, il trust Tricalò liberandosi delle proprie quote e l'amministratore unico della soc. Fravesa, Sig. Giovanni Tripodi (cl. ‘82) comunicava le proprie dimissioni.

 

Pertanto, il trustee, divenuto socio unico della Fravesa s.r.l., in data 1° luglio 2010, in esito ad assemblea ordinaria, provvedeva alla nomina di un nuovo amministratore unico. Tale situazione veniva rappresentata al Comune di Gioia Tauro, che tuttavia, con deliberazione della Giunta Comunale n. 89 del 9 settembre 2010 disponeva la risoluzione del contratto di appalto stipulato il 18 febbraio 2006 per ristrutturazione del palazzo comunale.

 

Con motivi aggiunti la società Fravesa, ritenendo che la costituzione del trust, costituisse elemento nuovo che avrebbe dovuto portare il Comune di Gioia Tauro a richiedere all'autorità Prefettizia la persistenza del pericolo di inquinamento mafioso, impugnava la delibera di risoluzione del rapporto contrattuale.

 

Con ordinanza n. 80/2010 il Tar ordinava alla Prefettura di produrre la documentazione posta a sostegno dell'informativa e l'amministrazione, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, ottemperava, depositando le informazioni rese dalla Prefettura di Milano, dalla Questura di Reggio Calabria, dal Comando Carabinieri della Provincia di Reggio Calabria.

 

In data 19 luglio 2011 interveniva un nuovo provvedimento prefettizio che la società impugnava con ulteriori motivi aggiunti, al contempo rinunciando all'impugnativa avverso gli atti del Comune di Gioia Tauro.

 

2. Il Tar dichiarava improcedibile sia il ricorso principale, avverso la prima informativa, che il ricorso per motivi aggiunti, per espressa volontà della parte di non insistere sulla domanda di annullamento del provvedimento del Comune di Gioia Tauro.

 

Pertanto la decisione del Tar riguardava solo la seconda informativa interdittiva, avverso la quale la parte aveva dedotto “eccesso di potere, violazione di legge, errata interpretazione della normativa applicabile, travisamento dei fatti”.

 

Il Tar ha ricostruito i caratteri distintivi del c.d. trust antimafia, costituito dalla società, dopo l'informativa antimafia del 23 dicembre 2009, rilevando tra l'altro che lo stesso ha avuto ingresso nel nostro ordinamento attraverso la Convenzione dell'Aja, approvata l'1 luglio 1985, ratificata dall'Italia con la l. n. 364/1989 ed entrata in vigore nel gennaio 1992, come strumento di autonomia privata per istituire patrimoni destinati a scopi predeterminati e sottolineando che esso può configurarsi come un rapporto giuridico tra più soggetti, il disponente, il trustee ed i beneficiari, in cui il primo dispone di una massa di beni a favore del trustee, il quale si vincola al perseguimento di un fine a lui soggettivamente estraneo, che può assumere i contenuti più vari e che i beni conferiti in trust vanno a costituire un patrimonio separato (c.d. effetto segregativo), con la conseguenza che il patrimonio segregato in trust non può essere aggredito dai creditori (né dagli aventi causa) personali del disponente e/o del trustee, formando così una massa separata e distinta.

 

Il Tar poi ha ritenuto che, in linea generale, attesa la struttura e la finalità del trust, l'atto istitutivo del trust Tricalò, socio unico della Fravesa, non prestava il fianco al pericolo di elusioni della disciplina sulle informative antimafia, considerata la qualità dei soggetti individuati come trustee e come guardiani, conformemente a quanto riconosciuto anche dai Carabinieri di Reggio delegati dal Prefetto per i nuovi accertamenti; cionondimeno, entrando nello specifico, il Tar è pervenuto alla conclusione che la informativa prefettizia era sorretta da una adeguata motivazione e non veniva incisa dalle considerazioni della società appellante.

 

Infatti il Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria aveva evidenziato, con la nota 23 maggio 2011, che la società Fravesa risultava ancora avere partecipazioni in altri consorzi, tutti impegnati in attività edilizie, il cui amministratore era sempre Tripodi Giovanni (cl. 82), precedente amministratore unico della Fravesa, ed ancora che i beneficoggetti non avrebbero potuto condizionare le scelte societarie, peraltro tanto più che si era successivamente disposta la risoluzione del rapporto lavorativo.Inoltre, nei confronti del Tripodi Giovanni (cl. ‘82), ex amministratore e assunto dal Trust con mansioni meramente esecutiva, non si paventavano, nella stessa informativa, elementi assurgenti a sospetto se non minime frequentazioni e la pendenza di procedimenti penali non connessi a reati di mafia.

 

Il Tar, oltre che sull'assunzione dei due sopradetti beneficiari (Tripodi Giovanni, cl.82, e Tripodi Demetrio), aveva richiamato il contenuto dell'informativa che aveva rilevato la comunanza di interessi tra il trust e altre società tutte facenti capo a Tripodi Giovanni, precedente amministratore di Fravesa e poi dipendente e amministratore unico pure dei consorzi.

 

La partecipazione ai detti consorzi di Fravesa era stata segnalata come elemento di persistente possibile condizionamento mafioso della gestione del trust. L'appellante sostiene che i consorzi non erano più operativi in quanto si era esaurito lo scopo sociale. Ed infatti la Fravesa per potere partecipare ad alcune specifiche gare di appalto che richiedevano dei requisiti specifici, procedeva alla costituzione di ati e consorzi al fine di far acquistare alla medesima società i requisiti richiesti per la partecipazione. Ma tali consorzi ormai non erano più operativi per il raggiungimento dell'oggetto sociale a seguito della ultimazione dei lavori appaltati per i quali erano stati costituiti.

 

Conclude quindi la società chiedendo la riforma della sentenza.

 

Si sono costituiti la Prefettura di Reggio Calabria ed il Ministero dell'Interno senza tuttavia presentare memorie.

 

Alla pubblica udienza dell'8 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

 

3. L'appello non è fondato.

 

Va premesso che l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione; trattandosi di una misura a carattere preventivo, l'interdittiva prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell'esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, nella loro rilevanza e complessità, dal Prefetto territorialmente competente.

 

Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati.

 

D'altro canto, essendo il potere esercitato, espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale da parte della criminalità organizzata.

 

Non è quindi necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l'interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore indiziario con l'ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo. Tuttavia occorre che siano individuati elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsiglino l'instaurazione di un rapporto dell'impresa con la pubblica amministrazione,

 

Infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

 

4. Venendo al caso di specie ritiene la Sezione che gli elementi indiziari raccolti dalla Prefettura di Reggio Calabria sorreggono sul piano della motivazione la interdittiva antimafia.

 

Senza ripercorrere i caratteri del trust riassunti dalla sentenza appellata è indubbio, in astratto, che l'atto istitutivo del trust Tricalò, socio unico della Fravesa, non presterebbe in sé il fianco al pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata, venendosi a determinare un distacco della nuova compagine sociale da quella vecchia, anche considerata la qualità dei soggetti individuati come trustee e come guardiani, conformemente a quanto riconosciuto anche dai Carabinieri di Reggio delegati dal Prefetto per i nuovi accertamenti.

 

In concreto, tuttavia , non poteva non considerarsi la genesi e la evidente derivazione del trust Tricalò dalla società già destinataria di informativa antimafia e la personalità del Tripodi Giovanni (cl. 82), come tratteggiata nella prima informativa e negli atti ad essa sottesi con particolare riguardo alle plurime frequentazioni con esponenti della criminalità, e del Tripodi Demetrio; per quest'ultimo l'informativa dei Carabinieri del 2011 dava conto di circostanze significative, essendo imputato in una operazione della DDA per turbata libertà degli incanti e fratello convivente di Giovanni (cl. 71), imputato per falso giuramento e favoreggiamento personale con l'aggravante di cui all'art. 7 l.n. 203/91.

 

Sui legami tra la soc. Fravesa e la nuova compagine societaria basti considerare che quest'ultima assumeva nella propria struttura i due soggetti figli dei disponenti; la stessa appellante, per quanto evidenzi che tali soggetti avevano compiti meramente esecutivi, non nega che gli stessi avevano una specifica conoscenza delle tematiche aziendali ed avevano acquisito una professionalità nel tempo per quanto attiene il campo di operatività della Società.

 

Pertanto in una logica indiziaria, quale richiesta per l'informativa antimafia, non appare irragionevole la conclusione del primo giudice ed ancor prima della Prefettura in ordine ad un ruolo significativo dei due soggetti nelle scelte societarie al di là dell'elemento formale della qualifica rivestita e più in generale dei caratteri distintivi del trust ,nè può attribuirsi rilevanza alla successiva risoluzione, in data 25 novembre 2011, del rapporto lavorativo, perché fatto sopravvenuto all'atto impugnato.

 

In aggiunta, l'informativa mette in luce la comunanza di interessi tra il trust ed altre società tutte facenti capo a Tripodi Giovanni, precedente amministratore di Fravesa e poi dipendente.

 

L'appellante insiste sul rilievo, già respinto dal primo giudice, che si tratterebbe di rapporti con consorzi nati per specifici lavori, ormai tutti ultimati. Inoltre secondo la appellante la circostanza che la soc. Fravesa avesse delle partecipazioni nei costituiti consorzi avrebbe potuto riverberarsi su tali consorzi ma non sulla nuova compagine della Fravesa atteso che il socio della stessa aveva dismesso ogni sua partecipazione da quest'ultima società.

 

Ma tali considerazioni dell'appellante non appaiono persuasive.

 

Non può superarsi il fatto che i tre consorzi indicati nell'informativa erano riconducibili a Tripodi Giovanni (cl. 82), e comunque erano ancora esistenti e non formalmente estinti nonostante il preteso esaurimento dell'oggetto sociale. Del resto la informativa metteva in evidenza “la comunanza di interessi” non della società Fravesa ma dello stesso trust in argomento con le società di cui sopra “tutte riconducibili al precedente amministratore unico della Fravesa”; comunanza di interessi quindi, correttamente segnalata come elemento di un persistente possibile condizionamento mafioso nella gestione del trust.

 

5. L'appello quindi va rigettato.

 

6. Spese ed onorari considerata la scarsa attività difensionale delle amministrazioni costituite possono essere compensati.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

 

Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore

 

Hadrian Simonetti, Consigliere

 

Dante D'Alessio, Consigliere

 

Alessandro Palanza, Consigliere

   

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/03/2013

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Avv. Antonino Sugamele

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