Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: nel sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente è necessaria, da parte del giudice, una valutazione relativa all’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 gennaio - 2 maggio 2013, n. 19051
Presidente De Roberto – Relatore Fidelbo
Ritenuto in fatto
1. Con provvedimento del 14.6.2012 il G.i.p. del Tribunale di Bari disponeva a carico della Tecno Hospital di Tattoli s.r.l. il sequestro preventivo, anche per equivalente, a fini di confisca ex artt. 19 e 53 d.lgs. 231/2001, di un locale a piano terra sito in (omissis) , di una multiproprietà sita in (OMISSIS) e di alcuni conti correnti accesi presso Istituti di credito, per una somma complessiva di Euro 160.000, corrispondente al profitto derivante dai reati di corruzione e truffa aggravata posti in essere a vantaggio della società Tecno Hospital da T.G. , quale amministratore di fatto, in concorso con funzionari pubblici, tra cui L..C. , direttore generale della Asl di ..., F..L. , direttore amministrativo della stessa Asl, nonché An..Co. e M..V. , rispettivamente Capo area e funzionario della Gestione e Patrimonio della Asl ....
Con il medesimo provvedimento il G.i.p. disponeva analogo sequestro anche nei confronti degli indagati, in relazione ai reati di corruzione e truffa di cui ai capi B), C) e D) della imputazione provvisoria.
Secondo l'accusa gli indagati avrebbero costituito una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione ed il patrimonio, composta da privati imprenditori e da funzionari pubblici preposti ai vertici dell'Asl di ..., allo scopo di favorire gli interessi delle aziende legate ai T. , tra cui la Tecno Hospital.
Nel caso in esame la Tecno Hospital, tramite l'amministratore di fatto T. , aveva fornito quattro tavoli OPT 100 al Presidio ospedaliero (omissis) per il prezzo di Euro 513.187,99, prezzo ritenuto sproporzionato rispetto al valore reale dei beni, risultante dal confronto con l'acquisto dello stesso numero di tavoli, della stessa tipologia e provenienza acquistati dalla Asl di ... al prezzo di 370.029,81, sicché il sequestro ha riguardato il profitto costituito dal maggior prezzo ricavato dalla vendita grazie all'attività corruttiva del T. , pari ad Euro 160.000.
2. Contro il sequestro proponeva istanza di riesame la Curatela della Tecno Hospital, dichiarata fallita con sentenza del (omissis), che chiedeva la revoca della misura cautelare reale e la restituzione dei beni in quanto soggetto estraneo ai reati.
3. Con ordinanza del 5.7.2012 il Tribunale di Bari ha respinto l'istanza di riesame.
I giudici hanno innanzitutto escluso che la Curatela del fallimento possa considerarsi terzo estraneo al reato; inoltre, hanno sottolineato, da un lato, che la confisca non ha carattere punitivo, ma solo cautelare, dall'altro, che l'applicabilità della confisca ai beni delle persone giuridiche per i reati commessi dai vertici è espressamente prevista dall'art. 19 d.lgs. 231/2001.
Inoltre, hanno ritenuto insussistente il profilo di illegittimità del sequestro dedotto con riferimento all'asserito difetto di motivazione in ordine alla prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori della procedura fallimentare, puntualizzando che un bilanciamento di tali contrapposti interessi è configurabile solo nell'ipotesi di confisca facoltativa e non anche di confisca obbligatoria, come nel caso in esame in cui trova applicazione l'art. 322-ter c.p.: in presenza di una confisca obbligatoria le ragioni di tutela dei terzi creditori sono recessive rispetto alle prevalenti esigenze di tutela della collettività, perché sarebbe inconcepibile che taluno possa ottenere soddisfazione dei propri crediti su una somma di denaro ottenuta illecitamente grazie all'attività corruttiva e truffaldina dei vertici della società.
Per quanto concerne i due immobili sequestrati il Tribunale ha ritenuto che la dedotta esistenza di atti d'acquisto trascritti in epoca anteriore al sequestro potrà, semmai, determinare l'inefficacia del provvedimento di sequestro rispetto agli acquirenti in buona fede, sequestro che in tal caso si estenderà sulla somma versata alla Curatela a titolo di prezzo.
Riguardo al sequestro dell'unico conto corrente attivo, quello presso la Banca Sella, i giudici hanno respinto la tesi difensiva, secondo cui non avrebbe alcuna relazione con la società fallita, in quanto conto intestato alla Curatela fallimentare.
4. Contro l'ordinanza del Tribunale di Bari hanno proposto ricorso per cassazione i difensori della Curatela fallimentare.
Con il primo motivo si deduce la violazione dell'art. 19 comma 3 d.lgs. 231/2001, per avere il Tribunale ritenuto, erroneamente, che il sequestro fosse finalizzato ad un'ipotesi di confisca obbligatoria. Si sostiene, infatti, che la confisca prevista dall'art. 19 d.lgs. cit. a carico delle persone giuridiche è facoltativa qualora venga disposta, come nel caso in questione, per equivalente ai sensi del secondo comma della norma citata, desumendosi ciò inequivocabilmente dalla lettera della disposizione. Ne consegue che l'intero ragionamento fatto dal Tribunale per escludere la necessità di motivare le ragioni circa la preferenza riconosciuta agli interessi dello Stato rispetto a quelli dei creditori della procedura fallimentare perde di significato, dovendo riconoscersi che andavano applicati gli artt. 19 e 53 d.lgs. 231/2001 e non gli artt. 322-ter c.p. e 321 comma 2 c.p.p., trattandosi di un sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di un ente.
Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 322-ter c.p., per avere l'ordinanza impugnata negato l'estraneità del curatore rispetto alla società fallita. In particolare, si assume che, anche ammesso che quella in questione sia una confisca obbligatoria, il Tribunale avrebbe dovuto comunque tenere conto che anche l'art. 322-ter c.p. prevede un limite alla confisca nel caso i beni che costituiscono il profitto o il prezzo appartengano a persona estranea al reato. Ne consegue che anche il sequestro, finalizzato alla confisca, non può essere disposto in presenza di diritti dei terzi estranei sulle cose da sequestrare e già sequestrate, come accaduto nel caso in esame per quanto concerne il locale posto auto scoperto, aggiudicato a Su..Lo. in data 5.6.2012, e la multiproprietà di ... venduta a D..R. .
Con il terzo motivo si denuncia l'erronea applicazione dell'art. 322-ter c.p. sotto due distinti profili: innanzitutto si ribadisce che il sequestro preventivo è intervenuto successivamente all'acquisto dei due cespiti immobiliari da parte di terzi in buona fede, del tutto estranei ai reati per cui si procede; inoltre, si rileva che il sequestro del conto corrente presso la Banca Sella è da solo sufficiente a garantire il profitto illecito quantificato dal giudice, sicché il Tribunale avrebbe dovuto rimodulare l'originario provvedimento di sequestro, soprattutto nel quantum.
Considerato in diritto
5. Il primo motivo del ricorso è infondato.
5.1. Parte ricorrente formula una duplice critica all'ordinanza impugnata, da un lato contestando l'erroneo riferimento fatto in più occasioni all'art. 322-ter c.p., anziché all'art. 19 d.lgs. n. 231/2001, dall'altro assumendo che la confisca per equivalente prevista dal secondo comma della disposizione da ultimo richiamata non abbia natura obbligatoria, ma solo facoltativa, con la conseguenza che il sequestro preventivo avrebbe dovuto essere preceduto da una diversa valutazione in ordine al periculum, ponderando la pretesa dello Stato con gli interessi dei creditori nella procedura fallimentare a carico della Tecno Hospital.
Quanto al primo profilo, si osserva che, al di là di qualche improprio riferimento all'art. 322-ter c.p. contenuto nell'ordinanza impugnata, dovuto probabilmente alla circostanza che un analogo sequestro risulta emesso nei confronti delle persone fisiche indagate, non vi è alcun dubbio che a carico della società il sequestro preventivo sia stato disposto ai sensi degli artt. 53 e 19 d.lgs. n. 231/2001, come risulta in maniera inequivocabile dalla lettura congiunta del provvedimento genetico di applicazione delle misure cautelari reali del 7 giugno 2012 e della stessa ordinanza del Tribunale di Bari, dovendo ritenersi che la Tecno Hospital sia indagata in ordine agli illeciti amministrativi di cui al d.lgs. cit..
5.2. Una volta chiarito questo aspetto, deve essere respinta la tesi sostenuta nel ricorso secondo cui la confisca per equivalente prevista dall'art. 19 comma 2 d.lgs. cit. ha natura facoltativa.
I difensori della Curatela insistono sulla diversa formulazione della disposizione in questione rispetto all'art. 322-ter c.p., che regolamenta una analoga previsione di confisca, evidenziando come nel secondo comma dell'art. 19 d.lgs. cit. la presenza della locuzione "può" escluda alla confisca per equivalente un ambito applicativo obbligatorio, a differenza di quanto prevede la norma codicistica che non contiene alcuna differenziazione tra la confisca diretta e quella c.d. di valore, entrambe obbligatorie.
La tesi non è condivisibile.
È vero che le confische cui fanno riferimento gli articoli richiamati presentano alcune differenze sostanziali, ma non nel senso sostenuto nel ricorso. Infatti, il carattere obbligatorio della confisca disciplinata dall'arti. 19 d.lgs. 231/2001 deriva direttamente dalla sua natura di sanzione principale e autonoma affermata solennemente dall'art. 9 comma 1 d.lgs. cit..
Si tratta di una autentica novità introdotta nell'azione di contrasto contro i patrimoni accumulati illecitamente dalla c.d. criminalità del profitto, che segna la distanza con l'istituto della confisca come misura di sicurezza prevista nel codice penale, sebbene proprio con riferimento alla misura prevista dall'art. 322-ter c.p. si stia cercando di evidenziarne la natura propriamente sanzionatoria, soprattutto in relazione alla confisca per equivalente.
Del resto le Sezioni unite di questa Corte hanno avuto modo di riconoscere esplicitamente la natura di sanzione principale, autonoma e obbligatoria alla confisca prevista dall'art. 19 d.lgs. 231 del 2001, di cui hanno evidenziato la natura afflittiva e la sua funzione di deterrenza, in vista di prevenzione generale e speciale (Sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, Fisia Italimpianti).
Il riconoscimento della confisca come sanzione principale determina una serie di conseguenze, anche pratiche, in quanto sarà assoggettata alle garanzie che presiedono il diritto punitivo, con riflessi importanti ad esempio sul divieto di applicazione retroattiva ovvero in presenza di estinzione dell'illecito dipendente da reato.
Ma, ai fini che qui interessano, la natura di sanzione principale e obbligatoria della confisca disciplinata nel d.lgs. 231 del 2001 costituisce un argomento fortemente contrario alla tesi, sostenuta nel ricorso, circa la netta differenziazione tra le due ipotesi contenute nell'art. 19 d.lgs. cit. Si tratta, infatti, della stessa confisca cui si riferisce l'art. 9 d.lgs. cit., cioè una delle sanzioni applicabili agli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, sicché appare difficile che tale sanzione, il cui carattere principale e obbligatorio non viene messo in dubbio, possa conoscere una sua applicazione facoltativa nella versione di confisca per equivalente.
L'uso della locuzione "può", contenuta nel secondo comma dell'ari:. 19 cit., non trasforma in sanzione facoltativa la confisca di valore, ma sta semplicemente a significare che perché abbia luogo questo tipo di confisca il giudice deve preventivamente verificare una serie di condizioni, in presenza delle quali l'ablazione del profitto o del prezzo resta comunque obbligatoria.
Infatti, per disporre la confisca per equivalente devono ricorrere i seguenti presupposti: a) l'impossibilità di procedere alla confisca diretta del prezzo o del profitto; b) l'equivalenza di valore tra i beni confiscati e il prezzo o il profitto derivante dal reato.
Da questo punto di vista non c'è alcuna differenza con la confisca per equivalente regolamentata nel codice penale (artt. 322-ter, 640-quater, 644 c.p.)- Si tratta comunque di una forma di confisca che trova il suo fondamento e limite nel vantaggio tratto dal reato e prescinde dalla pericolosità derivante dalla res, in quanto non è commisurata né alla colpevolezza dell'autore del reato, né alla gravità della condotta, avendo come obiettivo quello di impedire al colpevole di garantirsi le utilità ottenute attraverso la sua condotta criminosa. Scopo di questo istituto è quello di superare le angustie della confisca "tradizionale", rispetto alla quale si pone in un rapporto di alter natività - sussidiarietà, per la sua attitudine a costituire un rimedio alle difficoltà di apprensione dei beni coinvolti nella vicenda criminale, cioè a supplire agli ostacoli connessi alla individuazione del bene in cui si incorpora il profitto e di consentire la confisca anche nel caso in cui l'apprensione del prezzo o del profitto derivante dal reato non sia più possibile in conseguenza dell'avvenuta cessione a terzi oppure a causa di forme di occultamento o, semplicemente, perché i beni sono stati consumati. In questi casi la confisca per equivalente consente di aggredire ugualmente il profitto illecito perché si riferisce al valore illecitamente acquisito. È evidente, quindi, come il nesso eziologico tra i beni oggetto di confisca e il fatto-reato dimostri una tendenza ad allentarsi fino a scomparire, in quanto il provvedimento ablatorio colpisce i beni indipendentemente dal loro collegamento, diretto o mediato, con il reato. Allora, la provenienza dei beni da reato non rappresenta più oggetto di prova, dal momento che scompare ogni relazione di tipo causale.
In sostanza, caratteristica comune della confisca per equivalente, nelle varie ipotesi previste, è che "può" essere adottata solo se, per una qualsivoglia ragione, i proventi dell'attività illecita, di cui pure sia certa l'esistenza, non siano rinvenuti nella sfera giuridico - patrimoniale dell'autore del reato, perché consumati, confusi o trasformati, in tali casi intervenendo l'ablazione su beni svincolati dal collegamento fisico con il reato stesso.
È solo in questo senso che può essere intesa la facoltatività della confisca per equivalente, cioè con riferimento alla presenza dei presupposti che legittimano una diversa modalità di apprensione del prezzo e del profitto del reato oggetto di ablazione, prescindendo dal nesso di pertinenzialità con il reato stesso: ma una volta accertata la sussistenza dei presupposti - tra cui, come si è detto, anche l'equivalenza di valore tra beni confiscati e prezzo o profitto del reato - pure questa forma di confisca ha natura obbligatoria.
5.3. La natura obbligatoria della confisca in questione contraddice la tesi difensiva avanzata dalla parte ricorrente, secondo cui l'adozione del sequestro preventivo avrebbe dovuto essere preceduta da una valutazione comparativa tra ragioni della confisca e interessi dei creditori della procedura fallimentare: al contrario, nel caso di sequestro preventivo per equivalente, funzionale alla confisca obbligatoria (artt. 53 e 19 d.lgs. 231/2001), la valutazione in ordine al periculum è limitata alla sola verifica della stessa confiscabilità del bene. In altri termini, in tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e delle persone giuridiche, per il sequestro preventivo dei beni di cui è obbligatoria la confisca, anche per equivalente, dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato, fermo restando il requisito del fumus delicti - che nella specie non è oggetto di contestazione -, è sufficiente accertarne la confiscabilità, in ciò risolvendosi il requisito del periculum.
Nella specie, la verifica in ordine alla confiscabilità è stata compiuta, prima dal G.i.p. e poi dal Tribunale, sicché deve escludersi la sussistenza delle violazioni di legge dedotte con il primo motivo del ricorso.
6. Infondati sono anche i motivi (secondo e terzo) con i quali la Curatela del fallimento contesta, sotto diversi profili, il sequestro per avere avuto ad oggetto beni appartenenti a persona estranea al reato.
6.1. Nella specie, la ricorrente non si è opposta al sequestro assumendo che i beni della società fallita le appartengano, ma ha lamentato che siano stati sottoposti a sequestro preventivo due beni (posto auto e immobile in multiproprietà) alienati dalla stessa Curatela, prima del provvedimento cautelare reale, rispettivamente a S..L. e a D..R. , entrambi terzi in buona fede.
Si osserva che nella specie gli unici interessati a contestare il sequestro dei due beni immobili sono i terzi in buona fede, mentre la Curatela dei fallimento è priva di concreto interesse al riguardo, avendo peraltro regolarmente incassato il prezzo della vendita.
6.2. D'altra parte, deve escludersi che la stessa Curatela possa essere considerata "terzo estraneo al reato". Sul punto l'ordinanza impugnata ha già risposto, richiamandosi ad una pacifica giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca di beni appartenenti alla società fallita, la curatela fallimentare non è terzo estraneo al reato, in quanto il concetto di appartenenza ha una portata più ampia del diritto di proprietà, sì che deve intendersi per terzo estraneo al reato soltanto colui che non partecipi in alcun modo alla commissione dello stesso o all'utilizzazione dei profitti derivati (cfr., Sez. un., 24 maggio 2004, n. 29951, curatela fall., in proc. Focarelli). Infatti, la sentenza che dichiara il fallimento priva la società fallita dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti a quella data, assoggettandoli alla procedura esecutiva concorsuale finalizzata al soddisfacimento dei creditori, ma tale effetto di spossessamelo non si traduce in una perdita della proprietà, in quanto la società resta titolare dei beni fino al momento della vendita fallimentare (Sez. un., 24 maggio 2004, curatela fall., in proc. Romagnoli).
Le stesse decisioni sopra citate hanno anche affermato che il sequestro preventivo avente ad oggetto un bene confiscabile in via obbligatoria deve ritenersi assolutamente insensibile alla procedura fallimentare, prevalendo l'esigenza di inibire l'utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente "pericoloso" in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato; lo stesso deve dirsi con riferimento al sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria, per equivalente, del profitto ottenuto illecitamente in quanto derivante da reato.
7. È invece fondata la censura, contenuta nella parte finale del terzo motivo di ricorso, con cui si assume la violazione degli artt. 53 e 19 d.lgs. 231/2001 in ordine alla entità dei beni sequestrati rispetto al valore del profitto illecito conseguito.
7.1. In particolare, non può condividersi quanto affermato nell'ordinanza impugnata circa il fatto che non competa al tribunale del riesame procedere agli "adempimenti estimatori, rimessi invece alla fase della confisca.
Si tratta di un'interpretazione ormai superata da una giurisprudenza che, valorizzando l'applicazione dei principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità anche sul versante delle misure cautelari reali, ha affermato che nel sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente è necessaria da parte del giudice una valutazione relativa all'equivalenza tra il valore dei beni e l'entità del profitto, così come avviene in sede esecutiva della confisca, non essendovi ragioni per cui durante la fase cautelare possa giustificarsi un sequestro avente ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto o il prezzo del reato (Sez. V, 9 ottobre 2009, n. 2110, Sortino; Sez. III, 7 ottobre 2010, n. 41731, Giordano; Sez. V, 21 gennaio 2010, n. 8152, Magnano; Sez. VI, 23 novembre 2010, n. 45504, Marini).
Nella specie, al Tribunale di Bari era stato richiesto di verificare il rapporto di equivalenza tra beni oggetto del sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria e entità del profitto, avendo parte ricorrente individuato e documentato un valore maggiore dei beni oggetto della misura cautelare rispetto al valore di 160.000 Euro corrispondenti al profitto illecito attribuito alla Tecno Hospital, rilevando inoltre come il solo sequestro del conto corrente presso la banca Sella fosse da solo sufficiente a "garantire" il profitto illecito.
8. Pertanto, l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Bari perché, sulla base dei principi di diritto sopra indicati, rivaluti l'entità dei beni oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente al fine di accertare la corrispondenza di valore rispetto alla quantificazione del profitto illecito percepito dalla società Tecno Hospital.
Nel resto il ricorso deve essere respinto.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al valore dei beni sequestrati e rinvia al Tribunale di Bari per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso.
03-05-2013 23:58
Richiedi una Consulenza