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Sentenza

Posto di blocco. Carabinieri aggrediti. In sede di prequisizione rivenuti 210.000 euro e una mitraglietta cal. 7,65. Ricorso rigettato.
Posto di blocco. Carabinieri aggrediti. In sede di prequisizione rivenuti 210.000 euro e una mitraglietta cal. 7,65. Ricorso rigettato.
Autorità:  Tribunale  Brescia
Data:  04 ottobre 2012
Numero: 
Intestazione

		  TRIBUNALE  DI BRESCIA
                        Sezione riesame
composto dai signori
Dott. Michele Mocciola - Presidente relatore
Dott. Elena Stefana - Giudice
Dott. Andrea Guerrerio - Giudice
riunito in Camera di Consiglio ha pronunciato la seguente
                          ORDINANZA
sull'appello  presentato/pervenuto  in  data  16.12.2011 dal Pubblico
Ministero  di Brescia avverso l'ordinanza del G.I.P. del 
		  Tribunale  di
Brescia  9.12.2011  di  rigetto della richiesta di applicazione della
misura  cautelare  della  custodia  in  carcere nei confronti di D.A.
relativamente al delitto di riciclaggio
Vista la sentenza della Corte di Cassazione del 11.5.2012 (depositata
 1.8.2012) di annullamento con rinvio dell'ordinanza di questo 
		  Tribunale 
  3.1.2012;
Premesso che gli atti sono pervenuti a questo Ufficio in data 5.9.2012 
sciogliendo la riserva formulata all'udienza camerale del 2.10.2012

(Torna su   ) Fatto
OSSERVA
Il giorno 6.12.2011 i carabinieri di Brescia procedevano al controllo del conducente dell'autovettura BMW con targa ...omissis... dopo l'ingresso della menzionata autovettura nel garage sita in Via A.M..
Al momento della richiesta dei documenti il soggetto - poi arrestato e identificato in D.A. - aggrediva il militare colpendolo con calci e pugni; analoga aggressione subiva l'altro militare intervenuto finché entrambi riuscivano a bloccare l'indagato.
In sede di perquisizione personale, domiciliare e dell'auto erano recuperati la somma complessiva di oltre 210.000 euro ed una mitraglietta cal. 7,65 con due caricatori e relativo munizionamento.
In sede di interrogatorio di garanzia l'indagato si avvaleva della facoltà di non rispondere.
Con ordinanza del 9.12.2011 il Giudice applicava al ricorrente la misura massima ritenendo presenti gravi indizi dei delitti di porto e detenzione
abusivi di arma, resistenza a p.u. e lesioni volontarie e sussistenti le esigenze cautelari del pericolo di recidiva; respingeva la richiesta del Pubblico Ministero di applicazione della misura carceraria per il contestato delitto di riciclaggio in relazione al possesso della ingente somma di euro 210.000 per l'assenza di elementi probatori e logici quanto al delitto presupposto.
Avverso detto provvedimento il Pubblico Ministero ha proposto appello rinnovando la richiesta di applicazione della misura cautelare carceraria in relazione al delitto ex art. 648bis c.p..
Al riguardo l'appellante rileva che ai fini della sussistenza del delitto di riciclaggio non è necessario l'accertamento giudiziale del delitto presupposto, che l'interessato non ha fornito alcuna spiegazione quanto all'origine di quella rilevante somma, che la suddivisione in mazzette di quella somma e le altre circostanze fattuali relative al controllo e all'arresto di D.A. depongono per l'illecita provenienza della somma, provenienza indicata alternativamente dall'appellante nel settore del traffico delle armi ovvero a quello degli stupefacenti. Infine, segnalava che l'attività di occultamento del denaro e le altre condotte tenute dell'indagato erano tali da integrare la condotta tipica del riciclaggio.
Concludeva quindi per la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Deduceva infine il Pubblico Ministero la sussistenza del pericolo di recidiva e valutava adeguata la sola misura carceraria.
Con ordinanza 3.1.2012 questo Tribunale respingeva l'impugnazione osservando: che la sola detenzione dell'ingente somma di cui l'imputato non aveva indicato la provenienza non era di per sé gravemente indiziaria del delitto di riciclaggio; che gli elementi fattuali sottolineati dal Pubblico Ministero non permettevano di individuare neppure in via astratta alcuna fattispecie delittuosa; che la somma non poteva essere ricondotta al settore delle armi perché la detenzione congiunta delle armi e del denaro escludeva in via logica il contemporaneo possesso di armi e denaro; che la sola frequentazione di D.A. con soggetti dediti allo spaccio di stupefacenti non valeva a collegare il denaro a tale ultimo ambito delittuoso.
In riferimento alla giurisprudenza di legittimità evocata dall'appellante il Tribunale osservava che il compendio rimesso non valeva alla configurazione neppure astratta e sommaria del delitto presupposto.
Con sentenza 11 maggio - 1 agosto 2012 la Corte di Cassazione annullava la predetta ordinanza disponendo rinvio per nuovo esame.
La Corte, richiamata la già menzionata giurisprudenza di legittimità, osservava che l'assenza di fonti reddituali in capo a D.A., le modalità di occultamento e l'assenza di giustificazioni circa il possesso della somma, in uno con il comportamento processuale (il silenzio serbato nell'interrogatorio di garanzia) sono elementi in grado di individuare, con elevata probabilità, la provenienza illecita del denaro; rilevava inoltre che nemmeno ai fini dell'affermazione di responsabilità all'esito del giudizio è necessario l'accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, né dell'esatta tipologia del reato, dei suoi autori e del soggetto passivo.
Da ultimo, la Corte segnalava la possibilità per il Tribunale di una diversa qualificazione di quella condotta (detenzione della somma di ingiustificata provenienza).
Ritualmente instaurato il contraddittorio, all'odierna udienza camerale, presente il ricorrente che nulla dichiarava, non era presente il Pubblico Ministero ritualmente avvisato, e la difesa, richiamata la pregressa produzione documentale, chiedeva il rigetto dell'impugnazione.
L'appello è infondato e va perciò respinto.
La Corte di Cassazione con la pronuncia di annullamento ha affermato il principio di diritto consolidato tale per cui non è necessario, nella tipologia del delitto di riciclaggio, l'accertamento giudiziale del delitto presupposto, principio cui invero si era uniformata anche la decisione poi annullata e che anche in questa sede di rinvio viene osservato, valendo quel principio nel senso che non è richiesta una sentenza di merito di accertamento del reato presupposto onde addivenire alla configurazione del delitto di riciclaggio, essendo sufficiente, come recita la sentenza di annullamento e rinvio, che il delitto presupposto risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile.
Ha, quindi, la Corte censurato tale ultimo provvedimento sotto il profilo di una erronea motivazione laddove il Collegio non ha tenuto in debito conto, ai fini della valutazione dell'illecita provenienza del denaro detenuto da D.A., le seguenti circostanze:
- l'assenza di lecite fonti di reddito in capo all'indagato;
- le modalità di occultamento del denaro;
- la sproporzionata reazione di D.A. all'atto del controllo di p.g.;
- l'assenza di giustificazione circa il possesso di quella rilevante somma.
A tale ultimo proposito la Corte rilevava che la documentazione prodotta dalla difesa in sede di impugnazione del Pubblico Ministero non era stata valutata dal Tribunale ai fini di un'eventuale giustificazione di quella detenzione.
S'impone allora, in questa sede di rinvio, di verificare se questi aspetti così schematizzati valgano ad una individuazione (astratta) del delitto presupposto.
In primo luogo rileva il Tribunale che il dato dell'assenza di fonti di reddito non è in sintonia con le risultanze in atti.
Invero, dall'esame del passaporto risulta che D.A. è cittadino del Regno Unito e risulta dalle dichiarazioni rese in sede di convalida che lo stesso, cittadino inglese e residente a Londra, con titolo di studio superiore, è direttore di società, circostanza questa affatto smentita da accertamenti di natura diversa. L'esatta identificazione dell'indagato e la sua cittadinanza e residenza in un diverso Paese dell'Unione Europea escludono in radice che si tratti di soggetto senza fissa dimora e privo di fonti di reddito, atteso che l'assenza di fonti di reddito in Italia è del tutto consona alla cittadinanza e residenza estera di D.A., e alla conseguente percezione di redditi altrove, e l'assenza di redditi in Italia non è sintomatica di uno stato di impossidenza incompatibile con la detenzione della somma sequestrata, proprio perché lo svolgimento di attività lavorativa si colloca in altro Stato.
In relazione alla giustificazione circa la provenienza della somma, osserva il Tribunale che la documentazione prodotta dalla difesa in occasione della precedente udienza camerale - documentazione oggi richiamata - dà conto delle circostanze di consegna di quella somma e del soggetto che ha affidato la somma a D.A. (risulta la consegna da parte del titolare della ditta P.K. operante nel settore dell'edilizia). Le ulteriori investigazioni di p.g. non smentiscono questa dazione e, quindi, -non consentono di ricostruire un ambito illecito di consegna del denaro.
Ed invero, la p.g. ha concentrato la sua attenzione sui preventivi di spesa allegati dalla difesa, e relativi al materiale che D.A. avrebbe dovuto acquistare in Italia con il denaro ricevuto dalla ditta albanese, deducendo che si tratta di meri elenchi acquisiti a mezzo web, e che l'accertata assenza di contatti tra la ditta albanese (o suoi emissari) e le menzionate ditte italiane deporrebbero per la falsità di quel contesto commerciale come documentato.
In realtà, dalla documentazione prodotta non risultano dichiarazioni della ditta albanese di avere contattato società italiane e di avere concordato materiali e prezzi, bensì molto più semplicemente che la ditta in questione ha dato mandato a D.A. per l'acquisto di quei materiali in Italia; la circostanza che gli allegati elenchi del materiale e delle ditte italiane siano stati acquisiti su siti web non inficia la dichiarazione scritta di quella consegna di denaro, dal momento che se anche così fosse si tratterebbe di indicazioni di massima circa i soggetti commerciali operanti nel settore di competenza della ditta albanese che D.A. avrebbe dovuto contattare per eventuali accordi commerciali. Quelle indagini di p.g. peraltro non hanno per nulla confutato il documentato accordo tra D.A. e la società albanese, e il mandato conferito per l'acquisto.
Insomma, la documentazione attesta una consegna di denaro contante con finalità commerciali e gli accertamenti circoscritti al territorio italiano non hanno smentito quella consegna con quella finalità; l'assenza al momento dell'arresto di contatti sul suolo italiano tra D.A. e le ditte italiane di cui agli elenchi non depone per una falsità di quella documentazione della cui autenticità allo stato non può dubitarsi in assenza di elementi contrari. I sospetti della p.g. anche quanto all'autenticità della sottoscrizione di D.A. su tali documenti non hanno allo stato alcun supporto di tipo tecnico, e rimangono confinati all'ambito dei sospetti in attesa di accertamenti più approfonditi.
In conclusione, v'è traccia documentale di una consegna da una ditta albanese bene individuata a D.A. di quella rilevante somma, circostanza che ne esclude l'origine delittuosa, né si rinviene in atti alcun elemento per assumere l'illecita detenzione di quella somma in capo alla società mandante. Ed una volta documentata l'origine del denaro il silenzio processuale dell'indagato non è risolutivo a fronte delle iniziative difensive congrue per la dimostrazione della liceità della detenzione (iniziative che, all'evidenza, hanno richiesto una fattiva collaborazione dell'indagato per il reperimento di quei documenti).
Orbene, una volta escluse condizioni personali di indigenza di D.A. e l'assoluta mancanza di giustificazione della somma, i residui aspetti evidenziati dalla Corte di Cassazione non valgono a integrare per via astratta l'illecita provenienza del denaro e, quindi, il reato presupposto del delitto di riciclaggio.
L'occultamento del denaro si spiega con naturali ragioni di sicurezza connesse alla particolare entità della somma, specie considerando che si trattava di affidamento di quella rilevante somma da parte di terzi; la reazione di D.A. all'intervento della p.g. si spiega per la contestuale detenzione in capo al D.A. di un'arma da guerra (secondo le successive verifiche balistiche) - fatto per il quale è in corso misura cautelare - e la necessità di sfuggire ad un controllo che avrebbe portato all'accertamento di quel gravo delitto in materia di armi.
In conclusione, i profili di fatto indicati in sede di annullamento quali possibili indicatori dell'illecita provenienza del denaro, si sono rivelati, alla verifica fattuale e di merito, inidonei al riguardo sia per la loro inconsistenza (condizioni personali e origine del denaro), sia per la loro Irrilevanza o comunque equivocità di significato (reazione alla p.g. e occultamento della somma).
A ciò consegue l'impossibilità di ascrivere la detenzione della somma ad un ambito illecito tale da configurare il delitto presupposto del delitto ex art. 648-bis c.p. .
Infine, quanto ad una possibile diversa qualificazione della condotta suggerita dalla Corte di Cassazione in relazione alla mera detenzione del denaro in assenza di condotte tipiche del delitto di riciclaggio (e si richiamano le pregresse argomentazioni di questo Tribunale circa l'assenza delle condotte proprie del delitto di riciclaggio, laddove la sentenza della Corte di Cassazione non ha diversamente opinato in proposito), osserva il Collegio che la contravvenzione dell'art. 708 c.p. -che pure non avrebbe consentito misura cautelare - è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale (da ultimo con la sentenza 370 del 1996), e che il delitto ex art. 12-quinquies legge n. 356 del 1992 non è configurabile atteso che D.A. non è indagato per alcuno dei delitti indicati nella norma stessa (e non potrebbe farsi riferimento al delitto di riciclaggio che in questo caso viene escluso per carenza della condotta identificativa).
In conclusione, pronunciando in sede di rinvio, e ritenuta l'assenza di elementi congrui per affermare la provenienza illecita della somma di denaro di cui D.A. era in possesso, deve escludersi la configurazione del delitto di riciclaggio ex art. 648-bis c.p.; va ugualmente escluso tale ultimo delitto per difetto delle condotte normativamente tipizzate, e non si ravvisano nella condotta della detenzione del denaro, quand'anche si volesse ritenere ingiustificata, estremi identificativi di altra fattispecie delittuosa.
Deve perciò respingersi l'impugnazione del Pubblico Ministero avverso l'ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Brescia del 9.12.2011.
(Torna su   ) P.Q.M.
P.Q.M.
Visto l'art. 310c.p.p.
pronunciando in sede di rinvio, respinge l'appello proposto dal Pubblico Ministero di Brescia avverso l'ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Brescia 9.12.2011.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in data 2.10.2012
Avv. Antonino Sugamele

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