Per integrarsi l'ipotesi di simulazione di reato non è necessaria una denuncia in senso formale
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 febbraio – 30 maggio 2013, n. 23587
Presidente Milo – Relatore Raddusa
Ritenuto in fatto
1. C.F. propone ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano con la quale è stata confermata la condanna comminata in primo grado alla pena di giustizia ai danni del ricorrente, riconosciuto responsabile dei reati di falsità ideologica ex art. 483 cp (capo A), tentata truffa (capo B) e simulazione del reato di falso (capo C), tutti commessi in (omissis).
2. Otto i motivi di ricorso addotti a sostegno del gravame di legittimità.
2.1 Con il primo si lamenta violazione di legge per aver la Commissione Tributaria sospeso il giudizio, omettendo di istruire e decidere all'interno di quel processo la querela di falso, dando così corpo ad un fuorviante ed errato esercizio dell'azione penale, confondendo il mezzo processuale attivato, la querela di falso proposta, volto esclusivamente a contestare il dato probatorio legato al giudizio tributario, con l'intenzione del ricorrente di accusare qualcuno di falso ideologico o materiale.
2.2 Con il secondo motivo si deduce violazione di legge avuto riguardo al disposto di cui all'art. 367 cp anche in relazione all'art. 336 cpp. La simulazione di reato presupporrebbe la presentazione di una querela a norma dell'art. 336, non certo la querela di falso di cui all'art. 221 cpc. Mancherebbe poi nel proporre la querela di falso la pretesa punitiva.
2.3 Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge processuale per la mancata assunzione di una prova decisiva giusti gli artt. 606 comma I lettera d e 495 comma 2 cpp. La Corte di appello ha ritenuto non essenziale la chiesta perizia grafologica volta a contestare le conclusioni della consulenza di parte disposta dal PM a fronte delle criticità delle stesse per come evidenziate dal consulente di parte del ricorrente. La Corte avrebbe peraltro negato tale perizia sul presupposto, smentito dagli atti, che la consulenza di parte del ricorrente sarebbe stata effettuata senza esaminare l'originale ma solo copia della sottoscrizione, così da assumere un rilievo recessivo.
2.4 Con il quarto motivo si lamenta vizio di motivazione, illogica, contraddittoria e assente sempre con riferimento all'aver affermato il valore recessivo dell'elaborato di parte perché fondato su copie e non sull'originale e per aver pedissequamente ascritto valore assorbente alla indagine tecnica disposta dal Pm a fronte di quella operata dal consulente di parte privata ; e contraddittoria sarebbe la motivazione nel rilievo ascritto alla deposizione del portalettere che ebbe a curare la notifica a mezzo posta degli avvisi di accertamento, considerando il tempo trascorso tra la deposizione e i fatti e la genericità delle dichiarazioni all'uopo rese.
2.5 Con i motivi quinto, sesto e settimo si denunzia violazione di legge avuto riguardo alle ipotesi di reato contestate nonché vizio di motivazione. Proponendo la querela di falso il C. aveva intenzione di ottenere una perizia volta ad attestare l'autenticità della sottoscrizione esercitando una legittima facoltà processuale; e tale liceità sarebbe in netta contrapposizione con la sussistenza del contestato falso ideologico in atto pubblico e della simulazione di reato né possono ritenersi integrati gli artifizi e raggiri di cui alla tentata truffa contestata in presenza di una legittima iniziativa processuale.
2.6 Con l'ultimo e ottavo motivo si contesta la continuazione tra la truffa tentata e il falso ideologico ex art. 483 cp; la seconda infatti, in nome del rapporto di specialità tra le due fattispecie, nell'asserto difensivo è destinata a rimanere assorbita nella truffa.
Considerato in diritto
3. La sentenza impugnata va annullata, per le ragioni precisate di seguito, limitatamente alla ritenuta configurabilità nella specie dei reati contestati ai capi A e B della rubrica; e ciò pur se in ragione di valutazioni in diritto, comunque ascritte all'egida della lamentata violazione di legge, non esattamente conformi alle prospettazione dei relativi motivi articolati dalla difesa.
4. In fatto il giudizio di responsabilità reso dai Giudici di merito, secondo un ricostruzione ritenuta in modo conforme in entrambi i primi due gradi del processo che occupa, muove dalla querela di falso proposta dal C. nel giudizio promosso innanzi alla Commissione Tributaria di Como avverso una cartella esattoriale fondata su tre avvisi di accertamento e rettifica promossi a carico del predetto. Querela avente ad oggetto il ricevimento delle raccomandate afferenti gli avvisi in questione che il ricorrente affermava non aver mai ricevuto contestando all'uopo la sottoscrizione delle relative ricevute postali. In esito alla querela la Commissione Tributaria, sospeso il processo, trasmetteva gli atti alla Procura della Repubblica di Como che disponeva al fine indagine tecniche, segnatamente una consulenza grafologica, le cui conclusioni, poste a fondamento del processo in esame e del giudizio di responsabilità reso in esito allo stesso, erano nel senso della certa attribuibilità delle firme apposte sugli avvisi di ricevimento al C. .
5. Questa la traccia in fatto posta a fondamento della resa valutazione di responsabilità ai danni del ricorrente, osserva la Corte come palesemente infondati debbano ritenersi i motivi calendati ai numeri da 1 a 5 del ricorso in esame.
5.1 In limine alla stessa intellegibilità deve ritenersi il primo motivo di doglianza. Prescindendo dalla stessa funzionalità del rilievo e in particolare dalla strumentalità dello stesso rispetto alla effettiva possibilità di incidere, invalidandone gli effetti, sia sull'esercizio che sulla stessa definizione dell'azione penale, non pare superfluo ribadire che, interposta la querela di falso, la Commissione tributaria, altro non poteva che sospendere il processo giusta l'art. 39 d.lvo 546/92 in attesa della definizione della querela stessa, esclusa dal potere di accertamento di quel giudice; diverso discorso è invece quello afferente la trasmissione degli atti alla competente procura, resa nella specie in rigoroso ossequio al disposto di cui all'art. 331 ultimo comma cpp, nel caso a mano peraltro motivata da quanto si dirà da qui a poco in punto alla configurabilità della contestata simulazione di reato.
Non si rinviene, dunque, alcuna peculiare anomalia quanto all'acquisizione della “notitia criminis”.
5.2 Una trattazione congiunta meritano i motivi di ricorso dal II al V che immediatamente involgono la contestazione sub C della rubrica, relativa al reato ex art. 367 cp, e che trasversalmente coprono la affermata assenza di una valida denunzia del reato simulato ( motivo sub 2) sino alla contestata configurabilità in radice del reato in questione (motivo sub 5), passando attraverso l'affermata violazione dell'art. 495 comma II cpp (per la mancata assunzione di una prova decisiva identificata nella perizia grafologica) ed il dedotto vizio di motivazione, nelle sue diverse prospettazioni elencate ex lettera e comma 1 art. 606 cpp, quanto alla valutazione dei momenti probatori acquisiti in processo a supporto della condanna (motivo sub 4 con riferimento alla perizia del PM ed alla deposizione della portalettere che ebbe a procedere alla consegna degli atti).
Tutte le censure in questione sono infondate.
5.2.1 Diversamente da quanto evidenziato dalla difesa del ricorrente, la simulazione di reato, al pari della calunnia, non presuppone una denunzia in senso formale, attesa la deformalizzata atipicità dell'atto propalativo per come identicamente configurato nell'incipit sia dell'art. 367 che dell'art. 368 cp (con riferimento alla non necessarietà di forme specifiche di denunzia avuto riguardo in particolare alla simulazione da ultimo si veda Sez., 6, Sentenza n. 35543 del 17/07/2012 Rv. 253396). Occorre, piuttosto, che l'accusa della commissione di un reato risulti cristallizzata in qualunque atto rivolto ad una pubblica autorità che sia tenuta, ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen., a denunciare all'autorità giudiziaria la notizia di reati perseguibili d'ufficio mentre è indifferente che la stessa risulti veicolata mediante una formale denunzia al giudice penale (in termini, ex plurimis, la sentenza nr 30297/2002 di questa sezione della Corte). Ed in linea con siffatta interpretazione sono state ritenute suscettibili di dare corpo ai due reati in discussione, poi distinti sul piano della determinatezza o della agevole identificazione del soggetto responsabile del reato propalato (trovando applicazione in tali casi la calunnia), condotte processuali tipicamente ma non esclusivamente proprie del contenzioso civile che finiscono per sostanziarsi in incolpazioni esplicite o implicite di fatti di reato (ad esempio, con riferimento al disconoscimento della scrittura privata cfr Sez. 6, Sentenza n. 7643 del 22/10/2009; per quanto remoto, si veda anche, nella distinzione tra calunnia e simulazione e per il riferimento che qui interessa alla querela di falso, sezione VI sentenza nr 1385/70).
Ciò che conta, dunque, è che la propalazione sia rivolta a soggetto comunque tenuto a veicolarne il contenuto in favore della A.G.; ancora, che la propalazione stessa si riveli idonea a provocare investigazioni e accertamenti della polizia giudiziaria. Guardando al caso di specie, va evidenziato come la querela di falso nella specie sollevata dal ricorrente è stata resa all'uopo affermando che la firma di sottoscrizione apposta sulla relata di notifica, a mezzo posta, degli avvisi di accertamento impugnati innanzi alla Commissione tributaria di Como non era quella del C. , destinatario degli atti oggetto di notifica, malgrado così risultasse ivi attestato; la relativa condotta, in coerenza, poneva necessariamente i prodromi tipici del falso ex art. 479 cp. Delle due l'una: fosse stato vero quanto affermato dal C. poteva configurarsi o il falso immediatamente riferibile al portalettere che nella specie - rivestendo il ruolo di ufficiale notificatore - avrebbe falsamente attestato la consegna degli atti direttamente a mani del C. ; o, ancora, in alternativa, ex art. 48 cp, il falso andava ascritto a terzi ignoti che, ingannando il notificatore, avrebbero fornito falsamente le generalità del C. stesso all'atto della notifica (da qui, in ragione di quanto sopra accennato in punto alla distinzione tra calunnia e simulazione, considerata la incerta identificazione del reato simulatamente propalato, la correttezza della contestazione siccome qualificata in termini di simulazione).
Le superiori osservazioni rendono evidenti la infondatezza delle contestazioni sottese ai motivi sub 2 e 5. Non occorreva, per ritenere integrata la ipotesi di reato contestata, una denunzia formale - di certo non ravvisarle nella querela di falso - ai sensi dell'art. 336 cpp. Il tenore poi della detta querela di falso non lascia spazio al dubbio in ordine alla configurabilità nella specie della ipotesi di cui all'art. 367 cp, sostanziandosi in una propalazione di possibili condotte penalmente sanzionate e procedibili d'ufficio, non immediatamente e univocamente ascrivibili a soggetti determinati o altrimenti identificabili agevolmente.
5.2.2 Non meno infondati gli ulteriori motivi di ricorso immediatamente afferenti il reato contestato sub e della rubrica.
Il giudizio di responsabilità conformemente reso dai Giudici del merito poggia primariamente sugli esiti della consulenza grafologica disposta in sede di indagini dal Pm ed acquisita in dibattimento in esito alla deposizione della consulente. Consulenza che ha cristallizzato la responsabilità del C. attribuendo con certezza allo stesso le firme apposte sulle cartoline di ricevimento delle notifiche oggetto del falso contestato e che è stata ritenuta pienamente convincente in ragione della completezza dell'approfondimento tecnico svolto a discapito di quella, di parte privata, allegata dalla difesa del ricorrente, eseguita non sugli originali degli atti sottoscritti ma solo su delle fotocopie.
La difesa lamenta che a fronte del contrasto tecnico emergente tra i due diversi momenti di indagine tecnica, la Corte di appello avrebbe dovuto riaprire l'istruttoria e disporre un perizia, ritenuta nella specie decisiva tanto da meritare la articolazione del rilievo di cui alla lettera d del comma I dell'art. 606 cpp. La perizia, tuttavia, non rientra nella categoria della "prova decisiva" ed il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell'art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione (in tal senso cfr Sez. 6, Sentenza n. 43526 del 03/10/2012 Rv. 253707). E nella specie, ritiene la Corte logica e completa la valutazione in fatto resa dalla Corte distrettuale, in linea con quella del Tribunale, in forza alla quale, in un ambito tecnico di peculiare rilievo come quello grafologico, viene ascritto all'elaborato tecnico allegato dalla difesa del ricorrente, sul presupposto della inidoneità del relativo accertamento in quanto reso non sugli originali dei documenti recanti la firma tacciata di falsità, un significato non solo recessivo ma anche di manifesta non funzionalità rispetto alla possibilità di inficiare la validità delle conclusioni esposte dal consulente del PM.
5.2.3 La difesa, infine, con il quinto motivo di ricorso, evidenzia che a differenza di quanto affermato dalla Corte e dal giudice di primo grado, anche la consulenza di parte privata sarebbe stata effettuata raffrontando gli scritti di comparazione con l'originale degli avvisi sottoscritti assertivamente da terzi diversi del C. ; e che la motivazione deve comunque ritenersi illogica e contraddittoria laddove, nel raffronto tra le due consulenze, finisce per ascrivere rilievo esclusivo a quella operata su impulso del pm in ragione della affermata circostanza relativa alla comparazione con gli originali, conferendo inoltre spazio probatorio inadeguato alla dichiarazione della portalettere considerato il lasso di tempo trascorso dai fatti. Anche a voler seguire la difesa su tale ultima considerazione, resta da evidenziare che il convincimento dei giudici del merito risulta fondato primariamente sugli esiti della consulenza grafologica: pur espungendo dagli elementi a supporto della decisione la deposizione della portalettere, la motivazione contestata regge comunque il giudizio di responsabilità reso ai danni del ricorrente.
Sulla completezza e logicità del motivare quanto al convincimento fondato sulla consulenza del PM si è già detto; qui resta da aggiungere che l'affermazione in forza alla quale anche la consulenza di parte privata ebbe a fondarsi sugli originali sottende un travisamento probatorio per più versi non ammissibile, considerando che nella specie si verte in ipotesi di doppia valutazione conforme e che comunque il ricorso in parte qua denunzia vizi di autosufficienza (la detta consulenza di parte non è stata allegata al ricorso stesso).
Conclusivamente, la sentenza impugnata merita la conferma quanto alla condanna legata alla contestata simulazione di reato.
6. Per converso, deve ritenersi fondata la contestata violazione di legge avuto riguardo alle altre due ipotesi di reato contestate, il falso ex art. 483 cp di cui al capo A e la truffa tentata di cui al capo B; ciò pur se per valutazioni in diritto sulla configurabilità, nel caso a mano, delle fattispecie richiamate non esattamente in linea con quelle articolate in ricorso.
6.1. Quanto al falso ideologico, lo stesso risulta contestato in ragione della mendace affermazione, sottesa alla querela di falso, in forza alla quale il C. avrebbe negato di aver sottoscritto gli avvisi di ricevimento degli accertamenti poi impugnati innanzi alla Commissione tributaria. Il delitto di previsto dall'art. 483 cod. pen. sussiste tuttavia solo qualora l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati e, cioè, quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente. Nella specie, anche tralasciando ogni ulteriore approfondimento in punto al momento di collocazione della dichiarazione falsa sottesa alla querela di falso, profilo del tutto pretermesso nella valutazione dei Giudici del merito, è in ogni caso di palese evidenza che la stessa si concreta in una mera prospettazione difensiva priva, in radice, di siffatta funzionalità, trattandosi di affermazione che per produrre effetti resta subordinata ad un accertamento giudiziale.
Ne viene la certa erroneità dell'applicazione al caso della norma posta a fondamento della condanna per il fatto di cui al capo A della rubrica.
6.2 In ordine poi alla truffa tentata, ricostruita individuando gli artifizi e raggiri nella proposizione della querela di falso siccome finalizzata a trarre in inganno la Commissione Tributaria nel tentativo di conseguire l'ingiusto profitto rintracciato nell'omesso versamento degli importi oggetto della pretesa tributaria contestata, va ricordato come questa Corte, in diverse occasioni (ex plurimis cfr Sez. 2, Sentenza n. 498 del 16/11/2011, Rv. 251768; Sez. 2, Sentenza n. 39314 del 09/07/2009 Rv. 245291; ed ancora N. 7346 del 1996 Rv. 296291. N. 1074 del 1997 Rv. 206783. N. 21868 dei 2002 Rv. 221842, N. 3135 del 2003 Rv. 223830. N. 29929 del 2007 Rv. 237699) ha avuto modo di chiarire che, in tema di truffa, pur non esigendosi l'identità tra la persona indotta in errore e quella che subisce conseguenze patrimoniali negative per effetto dell'induzione in errore, va comunque esclusa la configurabilità del reato nel caso in cui il soggetto indotto in errore sia un giudice che abbia adottato un provvedimento giudiziale contenente una disposizione patrimoniale favorevole all'imputato: detto provvedimento non è, infatti, equiparabile ad un libero atto di gestione di interessi altrui, costituendo (non espressione di libertà negoziale, bensì) esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, finalizzato all'attuazione delle norme giuridiche ed alla risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti. Gli artifici e raggiri di cui sia vittima il giudice rilevano penalmente soltanto nei casi tassativamente descritti dall'art. 374 c.p., per il divieto di analogia "in malam partem” in diritto penale.
Ne viene, anche con riferimento alla contestazione di cui al capo B della rubrica, la non configurabilità del reato, tentato, ivi prospettato ed erroneamente posto a fondamento della statuizione di condanna impugnata, la quale anche in parte qua va annullata.
7. Le superiori considerazioni impongono l'annullamento della decisione impugnata con riferimento alla condanna resa in punto ai contestati reati di cui ai capi A e B della rubrica. E siffatto annullamento, determinando il venir meno della pluralità dei reati da prendere in considerazione ai fini della condanna, provoca in coerenza l'assorbimento dell'ultimo motivo di ricorso, legato alla continuazione e divenuto per l'effetto privo di rilievo. Peraltro poiché nella specie era stata applicata la continuazione tra le tre diverse imputazioni sfociate in condanna, con individuazione del reato più grave nella simulazione di reato di cui al capo C, può nel caso, una volta espunti gli aumenti apportati per i reati di cui ai capi A e B della rubrica, procedersi alla determinazione finale della pena giusta la lettera L dell'art. 620 cpp in misura di mesi nove di reclusione in corrispondenza a quanto comminato in primo grado per la simulazione di reato, l'unica imputazione residuata a fondamento del giudizio di responsabilità a giudizio di questa Corte.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento ai capi A) e B) della rubrica,perché i fatti non sussistono. Rigetta nel resto il ricorso e determina la misura della pena riferibile al residuo capo C) in mesi nove di reclusione.
02-06-2013 17:14
Richiedi una Consulenza