Omicidio aggravato dalla crudeltà. Campo nomadi, un uomo ubriaco, viene dato alle fiamme. Per la Cassazione sussiste l'aggravante della crudeltà.
Autorità: Cassazione penale sez. I
Data udienza: 23 novembre 2012
Numero: n. 47896
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto - Presidente -
Dott. CAVALLO Aldo - Consigliere -
Dott. LOCATELLI Giuseppe - Consigliere -
Dott. CAPRIOGLIO Piera M. - rel. Consigliere -
Dott. BONI Monica - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO PRESSO CORTE D'APPELLO
DI TORINO;
nei confronti di:
1) G.F.G. N. IL (OMISSIS) C/;
2) O.A.C. N. IL (OMISSIS) C/;
3) S.M. N. IL (OMISSIS) C/;
avverso la sentenza n. 29/2010 CORTE ASSISE APPELLO di TORINO, del
23/05/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERA' MARIA SEVERINA CAPRIOGLIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRATICELLI Mario
che ha concluso per l'annullamento con rinvio per G. e O.,
rigetto per S.;
uditi i difensori avv.ti ARICO' per S., Antoniotti per
G. e DAVIDE MOSSO PER O..
(Torna su ) Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 23.5.2011 la Corte d'assise d'appello di Torino riformava la pronuncia del 7.6.2010, emessa dalla Corte d'assise della stessa città, che aveva condannato G.F.G., O.A. e S.M. per il reato di omicidio aggravato dalla crudeltà in danno di D.V., assolvendo i primi due per non aver commesso il fatto e confermando la condanna dello S., a pena che veniva però ridotta esclusa l'aggravante, da ventiquattro a sedici anni di reclusione.
I fatti si svolsero il (OMISSIS) ove ha sede un campo nomadi, in (OMISSIS), luogo di fortunosa dimora di numerose famiglie di origine rumena, dopo le ore 22, allorquando il D., sicuramente ubriaco, venne investito da fiamme e riportò gravissime ustioni a seguito delle quali, poco meno di un mese dopo, decedette. Una prima sommaria relazione della Squadra Mobile aveva ricondotto le fiamme ad un atto anticonservativo dell'uomo, ma indagini più approfondite avevano fatto emergere l'appiccamento del fuoco da parte di terzi. In particolare i giudici di merito avevano valorizzato la testimonianza oculare di SA.Gi., persona che, ancorchè avanti negli anni, aveva rappresentato quanto era apparso ai suoi occhi la sera del fatto dalla vetrata del balcone della sua abitazione sita al primo piano di (OMISSIS) ed in particolare il dato che l'ubriaco D. si muoveva tra le vetture in transito in (OMISSIS) a torso nudo ed urlante e che altri due soggetti cercavano di riportarlo all'interno del campo nomadi tirandolo in quella direzione, nonchè la circostanza che ad un certo punto, dalla stradina che collegava l'area delle baracche all'arteria ove trovavasi la vittima, arrivò un quarto uomo che vuotò il contenuto di un recipiente addosso al D., in mezzo alla strada, tra l'altro avendo cura di svuotare tutto il contenuto del recipiente, quindi gli diede fuoco e scappò subito dopo lungo la stradina che portava all'interno del campo nomadi, prima che gli altri due a loro volta si allontanassero dalla sede stradale. La teste precisava poi che uno degli altri due uomini già presenti al momento del sopraggiungere del quarto uomo, quello con la giacca rossa, cercò di spegnere le fiamme con la giacca, che i due si erano trattenuti sul luogo e poi se ne erano andati pure loro prima del sopraggiungere della polizia.
Una volta evidenziato, alla luce anche di perizia medico oculistica - che si rendeva necessaria a fronte delle deduzioni difensive - che la Sa., nelle condizioni in cui ebbe a trovarsi al momento del fatto, era in grado di constatare la presenza di una pluralità di soggetti sulla sede stradale, di distinguere le loro azioni, di individuare le tonalità dei colori dei loro vestiti, di percepirne le altezze e di notare la presenza di una bottiglia nelle mani di uno di loro e l'azione con cui il relativo contenuto venne versato sul D., la Corte territoriale evidenziava come detta testimonianza trovasse riscontro in altri esiti investigativi. In primis, la deposizione di Sh.Ru., abitante nell'alloggio sottostante quello della Sa., che a sua volta avendo sentito le urla dell'ubriaco si era affacciata alla finestra dell'alloggio di abitazione, sito al piano terra, ed aveva potuto notare che un uomo con capelli molto corti aveva in mano un recipiente il cui contenuto vuotò addosso al D., dopo di che si svilupparono le fiamme e che un terzo uomo cercò di fare un movimento con una sciarpa o una giacca, dando l'impressione che volesse spegnere le fiamme. In secundis, il fatto che il marito della teste Sh.Bu., avvertito da quest'ultima, telefonò al 115 e comunicò che c'era un fuoco e che stavano presumibilmente bruciando un uomo. In terzo luogo, la dichiarazione della teste L. che a bordo della sua auto percorreva (OMISSIS) e che ebbe a scorgere, seppure impegnata nella guida, un uomo che prese fuoco mentre si trovava vicino ad altra persona. Tale quadro portava i giudici di merito ad escludere con certezza l'ipotesi del suicidio, ipotesi che non trovava sponda neppure una volta sondato nella vita personale e coniugale dell'uomo. Veniva poi ritenuta contrastata la tesi difensiva secondo cui sarebbero stati gli imputati spegnere le fiamme, laddove la vittima fu soccorsa ancora avvolta dal fuoco secondo la testimonianza di F.F..
La Corte prendeva in considerazione in modo analitico le singole ragioni di discredito che le difese avevano opposto nei confronti della testimone Sa., elevata a struttura portante dell'impalcato probatorio, soprattutto alla luce dei contributi informativi offerti da testimoni indicati dagli imputati che si rivelarono, se non inaffidabili, certamente inconsistenti (perchè fonti non dirette, in quanto non presenti al momento dell'incendio) e non idonei a scalzare lo spessore probante della testimonianza oculare, disinteressata, della predetta.
I giudici di secondo grado ritenevano però che l'azione omicidiaria dovesse essere ricondotta al solo S., soggetto pacificamente sopraggiunto sulla scena del crimine dalla stradina di collegamento con il campo munito di contenitore con all'interno sostanza infiammabile, con cui innaffiò il D. per poi dargli fuoco, e che fuggì, subito dopo, ripercorrendo la stradina che lo portò all'interno dell'accampamento, lasciando accanto al D. gli altri due rumeni, uno dei quali fece il gesto di spegnere le fiamme con una giacca. Tale comportamento, rappresentato con sicurezza dalla Sa., portava i giudici di seconde cure ad escludere quanto ritenuto dalla Corte d'assise di primo grado che i tre imputati avessero operato in sincronia, condividendo i segmenti dell'azione che si resero necessari per realizzare la condotta incriminata. La Corte territoriale riteneva invece che proprio dalla deposizione Sa. si poteva acquisire certezza che colui che versò il liquido infiammabile irruppe sulla scena in modo repentino e con altrettanta rapidità si dileguò, una volta divampato l'incendio. Se a ciò si lega il dato che prima del momento topico della vicenda sia G. che O. erano stati visti nell'atto di tentare di ricondurre il D. - che vagava tra le auto in corsa - nel campo, che i medesimi erano usciti fuori dalla loro baraccopoli per spiegare alla polizia che era intervenuta a seguito delle urla dell'uomo che questi era semplicemente ubriaco, si concludeva nel senso che l'azione di morte non fu condivisa dai menzionati O. e G., ma fu frutto di isolata deliberazione dello S., poichè se così non fosse stato alla vita di questi si sarebbe potuto attentare prima, magari lasciando che il medesimo finisse sotto le auto in corsa. Quanto al movente, la Corte riteneva che a spingere all'azione letale fu la perseveranza del D. in un comportamento non tollerato che era di fastidio all'intera comunità dei rumeni, la minaccia di fare intervenire le forze dell'ordine e di incendiare il campo per non implausibili pregresse ruggini.
Veniva infine esclusa l'aggravante della crudeltà (art. 61 c.p., n. 4) sul presupposto che, nelle particolari contingenze in cui si sviluppò l'azione delittuosa, S. non disponeva di alternativi mezzi per provocare la morte, cosicchè la sua azione non può essere ritenuta volta a causare sofferenze ulteriori e non necessarie, secondo il normale processo finalizzato a provocare la morte dell'offeso.
2. Avverso tale pronuncia, hanno proposto ricorso per Cassazione il PG presso la Corte d'appello di Torino e la difesa dello S..
2.1 Il PG ricorrente ha sviluppato due motivi di ricorso. Con il primo motivo è stata dedotta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto alla assoluzione di G. ed O.: i giudici di secondo grado seppure abbiano sposato l'ipotesi concorsuale, avendo parlato dell'ausilio di una seconda persona offerto allo S., dall'altro avrebbero operato una ricostruzione dei fatti tutta al singolare, individuando nel solo S. il depositario di grave animosità nei confronti della vittima, a differenza degli altri due imputati ritenuti invece portati a proteggere, più che a colpire il menzionato, laddove invece l'esame complessivo della vicenda avrebbe dovuto portare a considerare il prolungato scontro verbale, il crescendo di tensioni collimante con gli atti di autolesionismo ad opera del D. e la minaccia di incendiare il campo. Sarebbe stato del tutto sottovalutato che la vicenda in cui l' omicidio si collocò fu una vicenda di ambiente e di natura collettiva; avrebbero dovuto i giudici del secondo grado prendere in considerazione l'ipotesi di un concorso nell'accensione del fuoco, non avrebbero dovuto escludere così drasticamente la lettura del dato riportato dal testimoniale sull'azione di sventolamento della giacca in termini di alimentazione del fuoco, visto che ogni ricostruzione non poteva essere limitata alle ultime sequenze, ma avrebbe dovuto essere agganciata alla prolungata fase precedente della giornata al campo ed ai suoi margini, aggancio che non fu operato, cosicchè si addivenne ad una ricostruzione parziale. I giudici a quibus non si sarebbero posti la questione della possibile correlazione sinergica, e non antitetica, fra le mosse dello S. e quelle della coppia O. - G., essendo da ritenere implausibile che S., meno motivato degli altri, anche perchè dimorante in un altro campo, abbia potuto agire in modo così estremo in solitudine, laddove invece con gli altri due si erano acutizzate fasi di scontro nel pomeriggio di quello stesso giorno. Vien poi rilevato come suoni illogico il passaggio di sentenza in cui viene dato per scontato che la vittima sia stata trattenuta e dunque non si comprende come una persona sola abbia potuto trattenere la vittima, cospargerla di liquido infiammabile e darle fuoco, laddove ben più plausibile è ritenere l'intervento di un secondo uomo, non colto nella sua azione dal testimone oculare solo in ragione della vicinanza dei corpi.
Viene poi sottolineato come la Corte territoriale abbia travisato un dato processuale, giungendo ad attribuire la giacca rossa che sarebbe stata fatta sventolare contro il fuoco (a mò di mantice per i primi giudici e per spegnere il fuoco, secondo i giudici di appello) all' O., laddove invece fu il G. ad indossare nell'occasione una giacca. Ancora viene lamentato che non sia stato dato sufficiente risalto al profilo del movente nel momento in cui è stata attribuita allo S., estraneo a quel campo, un'iniziativa così estrema e crudele, movente che sarebbe stato individuato nei timori legati ai fatti di quella sera ed all'intervenuto rifiuto della vittima di prendere parte ad azioni delittuose organizzate dallo S., con una progressione logica deficitaria e scarsamente aderente ai dati investigativi raccolti, poichè il timore di una denuncia era generale e non soltanto dello S..
2.2 Erronea applicazione della legge penale, quanto all'esclusione dell'aggravante della crudeltà: non sarebbe stata congruamente valutata la componente soggettiva legata alla crudeltà, alla volontà di determinare una morte particolarmente dolorosa, quale fu quella di D., con la scelta di quella modalità omicidiaria.
Nel campo nomadi lo S. avrebbe potuto scegliere altri strumenti di morte per eliminare un soggetto ubriaco, anzichè farlo ardere in modo così straziante.
3. La difesa di S. ha interposto ricorso avanti questa Corte di legittimità sviluppando i seguenti motivi:
3.1 contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La difesa insiste sul fatto che ad un unico uomo viene attribuita la condotta delittuosa consistita nel trattenimento della vittima con un braccio, per il tempo necessario ad innaffiarlo di liquido infiammabile, nel versamento del liquido e nell'innesco delle fiamme, laddove appare ictu oculi che un solo individuo non possa aver posto in essere tale tipo di condotta, non essendo possibile che un soggetto, impegnato con una mano a trattenere la vittima, possa con l'altra aver versato il liquido ed aver estratto l'accendino. Viene insistito quindi sul fatto che le azioni attribuite allo S. non possano esser state compiute in contemporaneità, cosicchè la condotta delittuosa non può essere attribuita ad un solo uomo. La stessa teste Sa. non ebbe a riferire nè di trattenimento fisico della vittima, nè di un'azione diretta a liberarsi della tanica ad opera dell'aggressore; se poi l'aggressore avesse trattenuto la vittima, non si vede come non abbia potuto riportare ustioni, attesa la vicinanza tra i due corpi. Su queste basi viene inferita l'Illogicità della sentenza sul piano argomentativo.
In secondo luogo, la difesa oppone che l'argomento del movente avrebbe, in un contesto consimile, meritato maggiore spazio e maggiore attenzione. Si doveva valutare che la sera dei fatti S. non ebbe alcun contrasto con la vittima ed il dato che questi avesse minacciato di dare fuoco al campo non poteva certo motivarlo al gesto estremo, laddove più interessati a questa infelice prospettiva dovevano essere O. e G., abitanti del campo. La difesa lamenta che la corte di seconde cure non abbia valorizzato le testimonianze di Lu. (teste che riferì di un D. bagnato fradicio), B. e Da. che accreditarono come il D. avesse in mano un recipiente, tanto da spingersi ad ipotizzare un'erronea individuazione del soggetto che non poteva però identificarsi nello S., che era più giovane, non aveva baffi, aveva tatuaggi e non era a torso nudo, come riferirono i testimoni suindicati in relazione al soggetto barcollante in (OMISSIS).
Viene evidenziato che la teste Sh., ritenuta corroborante la testimonianza Sa., non possa in realtà esserlo, visto che la testimone vide solo due uomini con la vittima e non tre e poi perchè non ebbe ad assistere al momento in cui si sprigionarono le fiamme, essendo entrata in scena quando l'uomo stava già ardendo. A fronte di tale quadro, la Corte ebbe a concludere assumendo che la teste avrebbe errato nel riferire che, quando venne versato il liquido , la vittima già fosse avvolta dalle fiamme attesa la pericolosità dell'azione per chi avesse in mano la tanica con l'infiammabile.
Adombra la difesa che la testimonianza della menzionata sia stata contaminata e dunque viziata irrimediabilmente, a seguito di confronto sui fatti con la teste Sa., posto che il riscontrato progressivo aumento delle fiamme dalla stessa rilevato era da ricondurre non già ad ulteriore aspersione di sostanza infiammabile ma alla naturale dinamica dell'incendio.
Anche sulla teste L. (altro contributo valutato a supporto della testimonianza Sa.) la difesa rileva come la testimone sia per sua stessa ammissione non certa, non avendo assistito all'innesco delle fiamme; la stessa disse di aver visto delle fiamme sulla strada, con ciò confortando la tesi difensiva sul fatto che la vittima avrebbe incendiato il liquido versato per terra, e sopratutto specificò di non aver visto alcuno con in mano una tanica, il che porta ad escludere che detta testimonianza rafforzi quella della Sa..
Quanto poi alle dichiarazioni degli imputati, viene fatto notare che la Corte li ha ritenuti incapaci di descrivere in maniera convergente e plausibile l'ipotetico gesto anticonservativo della vittima, laddove nelle dichiarazioni degli stessi sarebbe dato cogliere una convergenza quanto alla loro presenza sul luogo dei fatti e quanto all'esclusione del loro ed altrui coinvolgimento. Non solo, ma viene sottolineato che per un anno, mentre O. e G. erano detenuti, lo S. rimase libero, in quanto scarcerato dal gip per insussistenza di indizi: se fosse vera l'ipotesi ricostruttiva, non si vede davvero come i due abbiano potuto tacere sulla colpevolezza dello S. onde liberare se stessi da responsabilità. La giustificazione di tale condotta processuale offerta con il semplice riferimento all'omertà non viene reputata convincente. Parimenti non viene ritenuta confortante l'accusa, la testimonianza del F. che riferì semplicemente di essersi fermato vedendo un uomo con del fuoco attorno e di aver preso una coperta sopra la quale venne adagiato il malcapitato, cosicchè le fiamme si sopirono definitivamente.
Viene poi ancora fatto riferimento al dato di una tanica e di un accendino fusi presenti nel locus delicti, secondo quanto riferito da alcuni testi (peraltro non supportato da alcun esito investigativo), che sarebbe compatibile unicamente con l'ipotesi suicidiaria poichè, se fossero stati detenuti da terzi, se ne sarebbero liberati prima dell'innesco: il dato è stato interpretato dalla Corte in chiave neutra, laddove lo stesso Tribunale della libertà l'aveva elevato a spunto significativo dell'ipotesi suicidiaria.
Quanto poi all'individuazione dello S. come il soggetto che versò il liquido infiammabile, la difesa fa rilevare che le indicazioni testimoniali non porterebbero all'imputato: l'indicazione dell'altezza dell'imputato fu in termini di assoluta normalità, con il che il medesimo non si caratterizzava rispetto agli altri presenti. L'individuazione certa dell'aggressore attraverso l'altezza non era possibile, ancorchè la corte abbia fondato il proprio convincimento sullo S. proprio sul dato delle altezze. Doveva essere valutato che lo S. fu colui che si attribuì l'opera di spegnimento delle fiamme, che invece la Corte di secondo grado attribuisce al G., che a sua volta nega di aver operato in tale senso, laddove in primo grado detto intervento venne ricondotto all' O.. Avrebbe trascurato la corte che Ge.Bi. disse di esser stata minacciata dall' O. in caso avesse riferito quanto visto, circostanza questa che mal si concilia con l'ipotesi che l' O. sia stato colui che ebbe ad intervenire a favore della vittima, posto che è solo l'assassino che ha interesse a minacciare le fonti testimoniali.
Viene quindi lamentato, in estrema sintesi, che la Corte abbia preso per buona la testimonianza Sa., ritenendola supportata da contributi che invero non confortano, ma contrastano la rappresentazione testimoniale e che sulla base di questo unico contributo, estremizzato ed esasperato nella sua portata, avrebbe fondato l'individuazione dell'unico colpevole, sulla base quindi di un dato tutt'altro che granitico.
(Torna su ) Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Procuratore Generale è fondato solo per quanto riguarda la censura sull'intervenuta esclusione dell'aggravante della crudeltà; del tutto privo di fondatezza è Invece il ricorso interposto dall'imputato S..
1. Va premesso che il sindacato del giudice di legittimità, quanto al discorso giustificativo della sentenza, va circoscritto alla verifica in primis che la motivazione sia effettiva e non meramente apparente, nel senso che sia idonea a rappresentare le ragioni che sono state poste a base della decisione, in secondo luogo che la motivazione non sia manifestamente illogica, cioè risulti sorretta nei suoi capisaldi da argomenti immuni da cadute nel rigore logico, lineari e plausibili, in terzo luogo che non sia internamente contraddittoria, ovvero che vada esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti. Quindi il controllo in sede di legittimità si risolve in una valutazione sulla reale esistenza della motivazione e sulla permanenza della resistenza logica del ragionamento seguito, essendo preclusa la rilettura dei dati di fatto o l'adozione di nuovi e diversi parametri preferiti a quelli adottati nei gradi di giudizio precedenti, ancorchè dotati di migliore capacità esplicativa (Sez. Un. 30.4.1997, n. 6402, Dessimone). Detto questo è immediato rilevare come la sentenza impugnata si sottragga alle censure mosse dal Procuratore Generale con il primo motivo di ricorso, non presentando alcun deficit in termini di manifesta illogicità. L'addebito di una lettura al singolare delle emergenze disponibili non è apprezzabile, perchè è stato dato conto dalla Corte d'assise d'appello di un percorso motivazionale facente perno su taluni capisaldi di inequivoca significazione dimostrativa che ha costituito una solida base inferenziale che non poteva portare in termini di certezza alle conclusioni suggerite dal ricorrente che, senza sconfessare la portata dimostrativa della testimonianza Sa. (caposaldo dell'accusa, secondo la Corte di seconde cure), fa appello ad un dato sfuggente e molto poco dimostrativo, quello della "coralità" della vicenda, definita "di ambiente" che costituirebbe il supporto probatorio per escludere che possa essere ascritta ad un solo soggetto. Sul punto giova ricordare che non è stata affatto negata la presenza di G. ed O. nel ruolo di controllori a distanza del connazionale ubriaco che minacciava di incendio l'accampamento ed altre sciagure, tanto da avere fatto intervenire la Polizia, nè è stato misconosciuto che anche costoro potessero nutrire malanimo nei confronti del D., per gli antefatti occorsi nel campo nel pomeriggio di quel giorno in cui era stata festeggiata la Pasqua. Di qui però a sostenere che gli antefatti possano aver fatto insorgere in ciascuno un proposito omicidiario, il passo non sembra essere assolutamente consentito, considerato che i giudici di secondo grado hanno ancorato il loro diverso convincimento rispetto a quello della Corte d'assise alle seguenti significative emergenze disponibili: 1) un uomo solo , quello che irruppe sulla scena , ebbe a versare il liquido infiammabile sul capo della vittima e ad appiccare il fuoco (deposiz.
Sa.); 2) l'uomo che appiccò il fuoco si dileguò subito dopo verso il campo (deposiz. Sa.); 3) uno dei due uomini che avevano tenuto d'occhio il D. anche nella fase precedente l'intervento del terzo uomo si tolse la giacca ed operò allo scopo di soffocare, non di alimentare le fiamme (deposiz. Sa., Sh.Ru., dr Gr.); 4) i due rumeni, O. e G. furono visti, prima dell'irruzione del terzo uomo, dalle forze dell'ordine alle ore 22, in (OMISSIS), in luogo poco distante dalla vittima quando intervennero per giustificare il comportamento poco urbano del D. sotto gli effetti dell'alcool (test. mar. Ni. e sovr. Polstato Sabena); 5) mai venne percepito dai testimoni un momento di contatto tra la vittima ed i due menzionati O. e G., se non nell'ottica di farlo allontanare dalla sede stradale e riportarlo al campo. Tale compendio è stato correttamente ritenuto base inferenziale più che sufficiente per concludere sul fatto che tra la fase in cui intervennero le forze dell'ordine (verso le ore 22,00) e il momento in cui comparve sulla scena lo S. (indicato anche dagli altri imputati come colui che per ultimo irruppe sulla scena) alle ore 22,15, intervenne una soluzione di continuità a causa della quale la deliberazione omicidiaria non poteva essere automaticamente ricondotta a tutti e tre gli imputati; non rischia sicuramente la deriva congetturale l'ipotesi che sia stato lo S. ad aver nutrito ed attuato il proposito in solitaria - magari spronato dall'Interno del campo in cui montò l'esasperazione per il continuare di quelle urla che avrebbero nuovamente attirato le forze dell'ordine- all'insaputa degli altri due, che si trovavano a margine del campo stesso, a guardia del petulante connazionale, e che, ancorchè maldisposti nei di lui confronti, non è detto che avessero pensato di spingersi a tanto. Tale modus opinandi non presenta alcun deficit di logicità, ma rispecchia una prudente valutazione delle emergenze disponibili, correttamente valutate senza esasperazioni legate al contesto ambientale, nella loro asettica portata dimostrativa. Nè vale ad incrinare la fluidità del ragionamento il fatto - opposto anche dalla difesa S. - secondo cui l'azione non poteva essere portata avanti da un solo soggetto, visto che la vittima era ubriaca e dunque non poteva avere un incedere particolarmente veloce e visto che non si teneva in piedi, per cui molto plausibilmente i giudici del secondo grado hanno ritenuto che dopo l'innaffiatura con la benzina e il lancio per terra del contenitore, lo S. abbia prelevato dalla tasca l'accendino ed abbia fatto fuoco , tenendo sempre per un braccio la vittima. Le critiche in termini di logicità sono dunque assolutamente ingenerose, atteso che il semplice fatto che fossero intervenute discussioni anche animate al campo nel pomeriggio non poteva portare a ritenere corale l'azione, a fronte di una frattura temporale (di circa un quarto d'ora) in cui sia O. che G., se solo avessero voluto, avrebbero potuto colpire a morte il connazionale ubriaco che era a loro diretta portata. Neppure la mancanza di movente che è stata lamentata dalla parte ricorrente può ritenersi conducente ai fini accusatori, poichè è tutt'altro che implausibile che l'ordine di porre fine in modo tanto crudele alla petulanza del D. sia partito estemporaneamente dal campo - da cui O. e G. si erano allontanati per controllare il D. - per farlo desistere da un comportamento che attirava l'attenzione delle forze dell'ordine richiamate dalla cittadinanza disturbata dalle urla; la scelta del mezzo poi avrebbe consentito di accreditare, come avvenne, l'ipotesi suicidiaria, essendo stato sentito il D., nel suo vaneggiare, lanciare minacce di incendio al campo e a se stesso. Sul punto poi è bene ricordare che alla mancanza o alla nebulosità del movente non può essere ricondotta alcuna portata tanto significativa: secondo la tesi del ricorrente il movente di ambiente avrebbe legittimato l'estensione di responsabilità, laddove è principio seguito da questa Corte quello secondo cui il movente non è un elemento di per sè capace di fondare una condanna , potendo conservare un margine di ambiguità e potendo svolgere solo la funzione di chiave di lettura di altri elementi a carico dell'imputato (Sez. 1, 30.3.2010, n. 14182).
Fondato è invece il ricorso quanto al mancato riconoscimento dell'aggravante della crudeltà, motivo di cui si rimanda la trattazione all'esito della valutazione del ricorso dello S..
2. I motivi avanzati dalla difesa S. sono ai limiti dell'ammissibilità, in quanto sotto l'apparenza della denuncia di vizi di legittimità inseriscono profili di rivisitazione del merito, non consentiti in detta sede. Va in proposito ribadito che il vizio di motivazione può essere denunciato nel giudizio di legittimità o nel caso di inesistenza di un argomentativo a sostegno della decisione, ovvero nel caso di "manifesta" illogicità emergente dal testo della decisione non riconducibile, si badi, ad una diversa interpretazione del quadro probatorio in chiave di logica alternativa. Le doglianze avanzate in termini di contraddittorietà ed illogicità dell'apparato motivazionale quindi non possono avere pregio, proprio perchè finalizzate a suggerire la prospettazione di una diversa e ritenuta più adeguata valutazione delle risultanze processuali, laddove non suonano affatto concludenti per una valutazione in termini di esclusione della colpevolezza dello S., indicato anche dai due coimputati come il soggetto che per ultimo irruppe sulla scena del crimine e dalla testimone come colui che ebbe a versare sul corpo dell'ubriaco la sostanza infiammabile. La tesi del suicidio è stata, non appena adombrata, immediatamente scartata dagli investigatori in quanto confliggente con tutte le emergenze disponibili, non solo con la inequivoca testimonianza Sa. ma anche e soprattutto con quanto riversato nelle carte processuali dal teste mar. Ni., intervenuto poco prima del fatto, che escluse che il D. tenesse qualcosa in mano, cosicchè ogni richiamo all'ipotesi dell'atto anticonservativo è del tutto privo di aderenza agli atti processuali e per nulla concludente nell'economia della ricostruzione dei fatti. Il richiamo alle indicazioni moffette da alcuni automobilisti ( Lu., Da. e B.) non poteva spostare il baricentro della valutazione poichè, come rilevato dai giudici di merito, trattasi di rappresentazioni all'esito di fugaci osservazioni fatte da soggetti alla guida di auto, che dovevano riporre l'attenzione sulla strada, attesa l'ora notturna, più che a ciò che succedeva ai suoi bordi, rappresentazioni in palese contrasto con quelle di altri testimoni altrettanto indifferenti (quali M. e Gi.). Dunque lungi dall'aver selezionato i contributi testimoniali, privilegiando solo quelli che portavano ad escludere l'ipotesi suicidiaria, i giudici di merito hanno ricondotto affidabilità solo alle testimonianze di chi ebbe una prolungata ( Sa.) o diretta (D. N.) osservazione sulla vittima: tale modus opinandi non si presta ad alcun appunto censorio, poichè adeguatamente motivato.
Come più sopra rilevato non è neppure manifestamente illogico aver ritenuto che un solo uomo abbia potuto trattenere la vittima ed appiccare il fuoco, così come non può dirsi affetta da illogicità la considerazione che la vittima non abbia colto subito, proprio perchè ubriaca, la gravità della fulminea azione posta in essere dall'omicida, dal che non può suonare improprio il dato rivelato dalla teste Sa. sul fatto che la vittima non si sarebbe mossa.
Altrettanto ininfluente è, come già osservato, il fatto che il movente non sia stato individuato con certezza: sul punto è bene aggiungere che sebbene i giudici di secondo grado abbiano lasciato aperta più di una possibilità, soprattutto in conseguenza della estrema frammentarietà e contraddittorietà delle indicazioni degli abitanti del campo del tutto inadeguate a formulare qualsivoglia ipotesi di un movente maturato in un tempo più risalente e non nell'immediato, hanno correttamente insistito sulla petulanza del D. che già aveva attirato l'attenzione delle forze dell'ordine e che quindi costituiva un forte elemento di disturbo per la tranquillità della comunità rumena ed hanno plausibilmente ipotizzato, anche in ragione del fatto che lo S. non era un abitante di detto campo, che la deliberazione di uccidere fosse frutto di una decisione dell'ultimo momento, mossa dall'esasperazione che l'ubriaco aveva fatto maturare e che aveva portato a coinvolgere lo S. (sicuramente non coatto) nella soluzione finale, addirittura all'insaputa di O. e G. che stavano ai margini del campo, lungo la strada che lo costeggiava. L'incedere argomentativo è assolutamente privo di mende, poichè aderente ai contributi raccolti e logico nel suo sviluppo.
Quanto alla valutazione della testimonianza Sh., la Corte di secondo grado ha correttamente ritenuto che l'osservazione della stessa dalla sua abitazione abbia avuto luogo a partire dal momento in cui il D. ebbe a prendere fuoco, ritenendo distonica la rappresentazione secondo cui con la vittima in fiamme fosse ancora possibile riversare liquido infiammabile sulla stessa per la semplice ragione che a quel punto anche il piromane avrebbe rischiato di prendere fuoco: anche sul punto gli argomenti spesi dalla difesa, che investono prevalentemente profili di fatto, non sono tali da incidere in maniera scardinante sull'impianto motivazionale, essendo stata data una coerente ed esauriente spiegazione per l'opzione interpretativa difforme a quella suggerita dalla difesa.
Ugualmente inconcludenti appaiono le deduzioni difensive attinenti a pretese illogicità della sentenza nella valutazione dei comportamenti di O. e G. alla stregua di quelli tenuti dall'uomo comune raziocinante, avendo subito costoro svariati mesi di custodia cautelare , senza mai fare il nome dello S., posto che la sentenza ha messo in luce (a pag. 71), come detto comportamento irrazionale possa trovare spiegazioni alternative a quelle suggerite dalla difesa nella paura di essere comunque coinvolti, ovvero semplicemente nell'omertà: anche sul punto la Corte si è fatto carico della prospettazione difensiva, dando adeguata motivazione sulla non condivisibilità.
Ed ancora, con riguardo al fatto che vennero rinvenuti sul luogo un pezzo di tanica ed un accendino parzialmente fusi, non può riconoscersi una portata decisiva tale da accreditare l'ipotesi dell'atto anticonservativo: trattandosi di oggetti in plastica, la fusione è ricollegabile anche solo al calore e non necessariamente al fuoco il che può dare ragione al fatto che una volta versato il liquido, l'omicida si sua liberato della tanica gettandola poco lontano e poi subito dopo dell'accendino, che per l'alta temperatura ebbero a fondersi. A tacere poi che molto prudentemente i giudici del merito non hanno potuto collegare con certezza i due residui di fusione al fatto in oggetto, poichè non repertati e soprattutto perchè non collocati in termini spaziali esattamente dai due testimoni - F. e s. - che diedero conto della loro presenza: il dato quindi non può essere usato come grimaldello dell'impalcato argomentativo.
Sul ritenuto non provato coinvolgimento degli altri due imputati nel fatto di morte vale quanto motivato sopra, in relazione al ricorso del PG: lungi dal rappresentare un elemento di debolezza della sentenza, l'aver optato per tale ipotesi ricostruttiva consente di superare i profili di fragilità argomentativa della sentenza di primo grado che aveva ancorato il giudizio di colpevolezza degli altri due imputati sostanzialmente al solo dato che costoro ebbero ad assistere all'azione di aspersione del corpo della vittima, senza opporvisi: nulla si può eccepire di fronte al rigore seguito nella valutazione dei flussi informativi ed alla corretta applicazione del parametro processuale di riferimento, quanto alla valutazione della prova indiziaria.
3. Deve invece, come anticipato sopra, essere accolto il ricorso del Procuratore Generale, quanto alla circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 4, esclusa dai giudici di secondo grado con motivazione non adeguata in quanto molto riduttiva, avendo il giudice di seconde cure senz'altro ritenuto che l'imputato S. non disponesse al momento del fatto, per impossibilità di procurarseli, di mezzi diversi dall'uso del fuoco idonei a provocare la morte della persona offesa. E' immediato opporre che la morte del D. avrebbe potuto essere cagionata con ben altri mezzi, quali un coltello o altro corpo contundente, un bastone, tipologia di armi sicuramente presenti nel campo da cui lo S. proveniva, ragione per cui la opzione interpretativa seguita appare, oltre che non conforme al contesto del fatto, non lineare in termini di logicità; la realtà di fatto, diversa da quella ipotizzata, imponeva di esaminare la concreta possibilità che la scelta sia caduta, seppure nella stringenza dei tempi, su quel particolare mezzo per la sua notoria la attitudine a provocare la morte con lancinanti dolori, in tempi lunghi e moltiplicativi quindi della sofferenza (giova ricordare che il D., a seguito delle gravissime ustioni riportate, non morì il (OMISSIS), data dell'incendio subito, ma dopo quasi un mese, il (OMISSIS)) il che ben può configurarsi, in assenza di altre plausibili spiegazioni, in termini di comportamento connotato da insensibilità, brutalità e spietatezza: ponendosi infatti nell'ottica dell'esecutore materiale non è chi non veda come l'esito letale sarebbe stato possibile ottenerlo con l'utilizzo di un mezzo più risolutivo e quindi foriero di minori sofferenze, quanto a durata e quanto a dolorosità. In questa prospettiva è fondata la richiesta di rivalutazione avanzata dal Procuratore Generale ricorrente.
Su questo solo punto quindi la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'assise d'appello di Torino.
Il ricorso va rigettato nel resto e lo S. va condannato di conseguenza al pagamento delle spese processuali.
(Torna su ) P.Q.M.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di S. limitatamente all'aggravante della crudeltà e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della corte d'assise d'appello di Torino; rigetta nel resto il ricorso del Procuratore Generale e rigetta il ricorso dello S. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2012
02-01-2013 22:05
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