Non versa più il mantenimento all'ex moglie ed ai figli dicendo «sono in difficoltà finanziarie».
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 febbraio – 30 maggio 2013, n. 23580
Presidente Milo – Relatore Carcano
Ritenuto in fatto
1. G.B. impugna la sentenza in epigrafe indicata con la quale è stata confermata la decisione di primo grado che lo dichiarò responsabile dei delitto di violazione agli obblighi di assistenza famigliare, per avere fatto mancare alla moglie separata e ai figli minori i mezzi di sussistenza, costringendo la madre a recarsi ai banchi di beneficenza per ricevere generi di prima assistenza e a prestare lavori umili per assicurare le necessarie esigenze ai figli minori.
In particolare, l'ipotesi d'accusa, per la quale vi è stata una conforme pronuncia di condanna di entrambi i giudici di merito, trova conferma, ad avviso dei giudice d'appello, nelle dichiarazioni rese dati dall'ex coniuge e su quanto riferito dallo stesso imputato che ha ammesso di non avere corrisposto le somme stabilite dal giudice civile, poiché non in condizioni economiche di provvedere, circostanza quest'ultima rimasta una mera affermazione.
La Corte d'appello ha ridotto la pena inflitta dal giudice di primo grado e, tenuto conto che Brindisi non ha provveduto ancora a pagare nulla del debito pregresso, ha confermato il diniego delle attenuati generiche.
La Corte di merito ha ritenuto che vi sono le condizioni richiese per applicare la non menzione della condanna nel certificato penale e la sospensione condizionale della pena, subordinando, però, tale ultimo beneficio al pagamento alla parte civile della somma di 16.000 euro entro sei mesi dalla irrevocabilità della sentenza.
2. La difesa deduce:
- violazione di legge in relazione all'art. 570 c.p. e vizio di motivazione.
La Corte, d'appello ha recepito le conclusioni dei primo giudice, senza considerare che G.B. ha ottemperato agli obblighi fin dove gli è stato possibile e, in ogni caso, la mancata corresponsione non avrebbe privato gli interessati dei mezzi di sussistenza.
Sarebbe stato onere del giudice d'appello motivare sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Peraltro, la fattispecie incriminatrice richiede la capacità economica dell'obbligato ai fini della configurazione dei reato.
- violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art.163 c.p., travisamento della prova.
Non vi sono elementi che possano riscontrare, che l'imputato non abbia ancora pagato nulla del pregresso debito come peraltro risulta dalla sentenza impugnata, B. ha effettuato versamenti tra il mese di agosto e quello di dicembre dell'anno 2005 senza contare i contributi per i figli ai quali non aveva fatto mai mancare nulla e con i quali sempre avuto un buon rapporto.
Tale errore ha comportato un travisamento della prova poiché il presupposto della subordinazione della sospensione condizionale dalla pena è fondata su tale inesatta percezione dei fatti.
La somma di sedicimila euro è stata calcolata in relazione alla quantificazione operata dal giudice civile in un periodo molto più florido per B.
Manca ogni riferimento alle condizioni attuali di Brindisi alle quali e connessa la capacità di far fronte all'adempimento dell'obbligo impostogli, cui è stata sottoposta la sospensione condizionale della pena.
Tale erronea determinazione si risolverebbe, là dove applicata, nella esclusione ex facto
del beneficio solo formalmente concesso, senza considerare le attuali condizioni economiche dell'imputato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
Non vi sono le mancanze argomentative e illogicità dedotte dal ricorrente.
Il giudice d'appello ha adeguatamente giustificato le proprie scelte valutative, ricostruendo la vicenda coniugale e descritto gli elementi di prova posti a fondamenta della responsabilità.
La Corte di merito ha posto in rilievo che il racconto della persona offesa ha trovato specifico riscontro nelle dichiarazioni e nel complessivo contesto della riferita vita coniugale, nel cui ambito si inseriscono le condotte di Gerardo Brindisi volte a far mancare alla moglie separata e ai figli minori i mezzi di sussistenza, costringendo la madre a recarsi ai banchi di beneficenza per ricevere generi di prima assistenza e a prestare lavori umili che non le consentivano di assicurare la sua necessaria presenza al figli minori.
La sentenza impugnata ha posto in rilevo gli elementi richiesti per la configurazione del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, nella nozione penalistica di “mezzi di sussistenza” debbono ritenersi compresi non più solo i mezzi per la sopravvivenza vitale, ma anche tutto ciò che consenta, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana.
Peraltro, è stato accertato che G.B. ha corrisposto le somme dovute soltanto nel primo anno della separazione, e dal 2005, allorché è stato negato l'affidamento congiunto, nona più versato il contributo per il mantenimento di entrambi i figli cui ha fatto fronte soltanto la madre.
Questa Corte si è espressa più volte nel senso che entrambi ì genitori sono tenuti ad ovviare allo stato di bisogno del figlio che non sia in grado di procurarsi un proprio reddito e che il reato di cui all'art. 570, comma secondo, c.p., sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l'altro genitore (ex plurimis, Sez.VI, 4 febbraio 2011; dep. 7 marzo 2011, n. 8912).
Quanto alla capacità economica, il giudice d'appello ha altresì rilevato che B. ha soltanto allegato di essere stato in difficoltà finanziarie, senza fornire alcuna prova che potesse dimostrare l'incapacità di adempiere all'obbligo di corrispondere le somme dovute per il mantenimento dei due figli, la cui incapacità economica è presunta.
La conclusione cui e pervenuta la sentenza impugnata ha fondamento, dunque, in un quadro probatorio completo e univoco.
Quanto all'applicazione della sospensione della pena subordinata al pagamento della somma di € 16.000, la Corte d'appello ha legittimamente applicato tale condizione, risultando che Brindisi non ha provveduto ancora a pagare nulla del debito pregresso.
Nel caso di violazione degli obblighi di assistenza familiare, oggetto di giudizio è anche la condotta antigiuridica eventualmente protrattasi fino al, momento in cui viene pronunciata la sentenza; peraltro, la persistenza di tale condotta non costituisce, motivo sufficiente a giustificare il diniego del beneficio di cui all'art 163 c.p. e, qualora, come nel nostro caso, la persona offesa sia costituita parte civile, tale beneficio può legittimamente essere subordinato all'adempimento di un obbligo risarcitorio in favore della stessa parte offesa (Sez.VI, 22 ottobre 2003, dep. 19 gennaio 2004, n. 933).
In conclusione, la Corte territoriale ha compiutamente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto la sussistenza degli elementi richiesti per la configurazione dei delitto de quo e le condotte alle quali ha riconosciuto tale illecita connotazione.
3. Il ricorso è, dunque infondato e, a norma dell'art. 616 c.p.p, il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e a rifondere alla parte civile L.G. le spese di questo grado, liquidate in € 3.000,00, oltre IVA e CPA.
02-06-2013 00:01
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