Non è configurabile il reato di lesioni colpose nei confronti dell'animatore di un centro turistico che inseguendo un bambino gli cade addosso e gli procura lesioni.
Corte di Cassazione Sez. Quarta Pen. - Sent. del 31.01.2013, n. 4955
Presidente Brusco - Relatore Blaiotta
Motivi della decisione
1. Il Giudice di pace di Tolmezzo ha adottato pronunzia assolutoria nei confronti di V.K. in epigrafe, in ordine alla reato di lesioni colpose in danno del minore F.V. perché il fatto non sussiste.
La pronunzia è stata riformata dal Tribunale di Tolmezzo che, a seguito di impugnazione della parte civile, ha incidentalmente affermato la penale responsabilità ed ha condannato il V. ed il responsabile civile V. E. al risarcimento del danno nei confronti della vittima.
Secondo l'ipotesi accusatoria fatto propria dal giudice d'appello, si era all'interno di un centro vacanze quando l'imputato che, svolgeva il ruolo di animatore, per imprudenza, travolgeva il minore F.V. che stava inseguendo in un prato, cagionandogli lesioni personali.
2. Ricorrono per cassazione con distinti gravami di tenore sostanzialmente analogo l'imputato ed il responsabile civile.
Si deduce violazione di legge, avendo il giudice di merito erroneamente ritenuto la prevedibilità dell'evento. La vittima, infatti, ha riferito di essersi sentito spingere e di essere caduta, a terra senza fare alcuna menzione del comportamento dell'animatore. È stato provato che il minore è caduto da solo e non si è neppure accorto di essere inseguito dallo stesso animatore. Egli è inciampato senza colpa di alcuno. Tale versione dei fatti è stata confermata inconfutabilmente dalle uniche testimoni oculari. Le due minori hanno narrato che si è trattato di un incidente del tutto casuale e che non vi è stata alcuna spinta. Lo stesso infortunato ha riferito di non essersi accorto di essere inseguito; e di aver preso a correre per portare alcune tempere in un altro luogo. Ne emerge che il comportamento dell'imputato è del tutto irrilevante ai fini della dinamica del sinistro. L'imputato stesso inoltre stava tenendo un comportamento diligente e prudente, giacché il minore aveva infranto una regola del centro vacanze che consisteva nel divieto di entrare nelle aule senza l'autorizzazione degli animatori. Il piccolo metteva in pericolo la sua incolumità sicché il V. doveva di necessità di intervenire per fermarlo.
Si è pure trascurato che l'evento è accaduto in un contesto di animazione e di giochi all'aperto in un campo erboso sul quale è normale rincorrersi e giocare. L'elemento della colpa deve essere valutata tenendo nel debito conto il contesto in questione. Conclusivamente manca la prevedibilità ed evitabilità dell'evento.
Oltre a ciò è da considerare che il minore non ha subito alcuna rilevante escoriazione né tumefazione a conferma della tenuità dell'accaduto. Lo stesso giudice d'appello, nella sua sentenza, non ha precisato quale regola cautelare sia stata violata, limitandosi ad affermare che è pericoloso correre vicino ad un'altra persona e ciò prescindere da qualsiasi ulteriore elemento di valutazione.
Oggetto di censura è pure il nesso causale. Non vi è alcuna prova che la lesione sia stata procurata dal comportamento del V. L'assenza di tumefazione esclude che la caduta abbia procurato rilevanti lesioni. A tale riguardo si è trascurato che un teste ha riferito di un incidente occorso alcuni giorni prima, nel corso del quale il minore aveva danneggiato una macchina e dopo l'evento si teneva l'addome ed appariva sotto shoc. Tale precedente evento potrebbe spiegare le lesioni.
La pronunzia è inoltre illogica quando, nel riformare la prima sentenza, individua una regola cautelare che si trova in conflitto con i fatti accertati e con il comune buon senso. Senza ragione è stato escluso che si sia in presenza di un caso fortuito, di una caduta accidentale.
3. I ricorsi sono fondati.
La pronunzia impugnata assume che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, l'istruttoria dibattimentale ha posto in luce la responsabilità del V. . È infatti emerso, a prescindere da ogni altra considerazione di contorno, che è fuori dubbio che l'imputato stava correndo dietro alla vittima che, disobbedendo all'ordine di fermarsi, correva su un prato con in mano un barattolo di colore. Altrettanto indubitabilmente, perché confermato da tutti i testi, l'imputato è caduto con tutto il suo peso di persona adulta sopra il minore di nove anni che subito dopo ha lamentato dolori che hanno reso necessario un intervento chirurgico. Tale condotta è censurabile: un adulto è corso dietro ad bambino di piccole dimensioni così vicino da non riuscire a fermarsi, con la conseguenza che, a causa del suo comportamento incauto, lo ha travolto.
Tale valutazione deve essere radicalmente censurata. Essa reca una erronea configurazione della figura della colpa penale. L'erroneità dell'impostazione traspare dal raffronto con la prima sentenza. Essa esamina con grande dettaglio tutte le acquisizioni probatorie; pone in luce che, alla stregua di alcune deposizioni testimoniali, il minore teneva frequentemente un comportamento incauto in quanto scappava dal centro ed entrava nelle aule quando non vi venivano svolte attività; e non aveva mutato condotta a seguito dei ripetuti avvertimenti. Il bambino, nella contingenze che qui interessa, aveva preso un barattolo di tempera e correva perché l'educatore voleva fermarlo, secondo quanto riferito da alcuni testi che però non hanno avuto diretta cognizione degli accadimenti. Rilevano invece le dichiarazioni del minore e delle persone presenti. Il primo ha riferito di aver ricevuto una spinta dal V. ma non ha saputo spiegare la dinamica della caduta. La sua testimonianza, peraltro, mostra alcune falsità.
Una minore presente ai fatti ha affermato che V. inciampò mentre era inseguito dal V. che gli cadde addosso ed ha escluso che l'animatore lo abbia spinto. In sostanza, ha attribuito l'evento al fatto che il minore inciampò sul prato. Anche l'altra minore presente ai fatti ha riferito che V. aveva un barattolo di vernice, in contrasto con le regole del campo; un animatore gli disse di metterlo giù; lui rifiutò e si mise a correre portando con se il contenitore. Il V. , per prendere il barattolo, lo inseguì. Ad un certo punto la vittima cadde e l'animatore gli finì addosso. Tali deposizioni sono sostanzialmente coerenti con alcuni dettagli riferiti da altri testi.
Il giudice di prime cure ritiene che non vi è dubbio che non vi fu alcuna spinta; che il minore tenne un comportamento scorretto che sollecitò l'intervento del V. ; che lo stesso minore inciampò accidentalmente, cadde rovinosamente a terra ed il V. gli finì addosso. Tale susseguirsi di accadimenti provocò contusione addominale con collaterale danno ai fegato. Conclusivamente, nel comportamento dell'imputato non viene configurato alcun profilo di colpa, essendo stato l'evento generato dal comportamento sconsiderato del bambino, che correva con un oggetto fra le mani per sottrarsi ad una giusta richiesta dell'animatore. Il caso fortuito ha voluto che il V. concorresse involontariamente nella produzione del danno, ma non gli si può muovere alcun addebito colposo. Va escluso, dunque, il nesso di causalità oggettiva che lega l'azione all'evento.
Tale valutazione scolpisce nitidamente i fatti e reca un apprezzamento conforme ai principi. Vi era una situazione di pericolo dovuta al comportamento irregolare del minore; e l'animatore la fronteggiò nell'unico modo possibile, ponendosi all'inseguimento del piccolo fuggitivo tenendo un comportamento nel quale non è possibile scorgere, con apprezzamento ex ante, la violazione di alcuna prescrizione cautelare. Naturalmente, condotte del genere di quella in esame non sono del tutto scevre da rischi che sono regolarmente accettati dall'ordinamento e dalle regole sociali. Si vuol dire che l'agente tenuto alla vigilanza ed alla protezione di soggetto che non è in grado di provvedere responsabilmente a se stesso è chiamato a porre in essere condotte che, talvolta, nel doveroso intento di arginare una situazione rischiosa generata dalla persona da sorvegliare, implica qualche collaterale, ineliminabile rischio. Tale rischio, come si è già accennato, si colloca all'interno di strategie d'intervento normalmente richieste e previste dagli standard di comportamento giuridicamente regolati o socialmente accettati in quanto ritenuti sufficientemente prudenti. In tale ordine concettuale, evidentemente, non può essere scorto alcun comportamento censurabile per colpa allorché l'addetto alla vigilanza si adoperi per rendere inoffensivo il soggetto da controllare attenendosi a standard accettati, non incauti.
La questione di cui ci si occupa qui è espressione di un tema più generale cui questa Corte suprema ha già fatto cenno (Sez. IV, 22/11/2011, Rv. 251941): non sempre il rischio inerente ad una data attività può essere eliminato del tutto per effetto di condotte appropriate. Si parla, allora, di rischio consentito. Esistono, in effetti, differenti categorie di rischio. Rischi totalmente illeciti, come per esempio accendere il fuoco accanto ad un deposito di esplosivi. Poi, rischi totalmente leciti, come per esempio viaggiare in aereo, fare una passeggiata nel bosco, gestire una società autostradale anche nel periodo estivo che vede traffico ed incidenti crescere. Si tratta di attività di cui l'ordinamento penale, per definizione, non si interessa in un dato momento storico, perché si reputa che i rischi connessi siano accettabili e non abbiano bisogno di governo.
Esiste poi un'ampia categoria più sfumata, più difficile: il rischio è consentito entro determinati limiti. Si tratta di attività che comportano una misura di pericolosità in tutto o in parte ineliminabile e che, tuttavia, si accetta che vengano esercitate perché, per esempio, afferenti ad importanti ambiti produttivi, scientifici, medici. Il rischio non può essere evitato ma deve essere governato, mantenuto entro determinati limiti. Talvolta è difficile stabilire qual sia il punto di equilibrio, la linea di confine che segna il passaggio dal lecito all'illecito. Qualche volta vi provvede direttamente il legislatore; vi provvede ogni tanto l'autorità amministrativa, indicando le modalità dell'attività; ma, nella maggior parte dei casi, questi vincoli di carattere normativo non si riscontrano ed, anche quando si rinvengono, spesso non sono esaustivi. Infatti le normative prevenzionistiche sono spesso datate o per qualche ragione inadeguate e quindi l'operatore è costretto a dover pur sempre acquisire gli strumenti di conoscenza o operativi necessari per governare, cautelare al meglio il rischio di cui è gestore.
Questa multiforme incertezza che caratterizza gran parte della moderne attività cui si interessa il diritto penale, conduce ad un risultato assai impegnativo: l'arbitro che stabilisce il punto di confine tra il lecito e l'illecito finisce per essere proprio il giudice, con l'aiuto, nella maggior parte dei casi, degli esperti. Ciò lascia ben intendere che l'apprezzamento in ordine al superamento dell'ideale linea di confine tra lecito ed illecito va compiuto con prudente discernimento.
Alla stregua di tale dispiegamento dello scenario concettuale è agevole cogliere che al V. , nelle condizioni sopra descritte, non può essere mosso alcun addebito. Egli era tenuto a rendere inoffensivo il minore che, come altre volte, si era lasciato andare ad un comportamento irregolare e pericoloso. Tenne l'unico contegno ex ante congruo, inseguendo il minore per fermarlo. In quel frangente, senza colpa di alcuno, accadde un evento che complicò le cose: la caduta in terra del minore che a sua volta generò l'urto e le lesioni. Certamente una eventualità del genere non era del tutto imprevedibile: la caduta nel corso della fuga non è evento proprio straordinario, insolito. Tuttavia ciò che conta e che scrimina, escludendo il profilo obiettivo della colpa, è che il rischio dell'urto involontario era ineliminabile e comunemente accettato; si collocava entro una strategia d'intervento plausibile, scevra da incaute esagerazioni. L'agente, dunque, era autorizzato ed anzi chiamato ad agire, per cautelare il minore, pur in presenza del rischio che potesse accadere un accidente del genere di quello verificatosi.
Le considerazioni sopra esposte delucidano la fallacia della sentenza d'appello. Essa compie un apodittico apprezzamento ex posi, estraneo alla logica della colpa, basata - come è noto - sulla prevedibili ed evitabilità ex ante. Si argomenta illogicamente che, poiché l'animatore ha investito il minore, egli ha agito in modo censurabile: gli si è avvicinato troppo, come se fosse possibile bloccare un minore pericolosamente in fuga senza avvicinarglisi! La sentenza deve essere conseguentemente annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato per mancanza di colpa.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata.
Depositata in Cancelleria il 31.01.2013
04-02-2013 19:38
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