Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Penalista Trapani

Sentenza

Nella lottizzazione abusivisa i terzi che acquistano gli immobili sono in buona fede?
Nella lottizzazione abusivisa i terzi che acquistano gli immobili sono in buona fede?
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 febbraio - 3 maggio 2013, n. 19085
Presidente Teresi – Relatore Graziosi

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 19 maggio 2009 la Corte d'appello di Palermo rigettava la richiesta di revoca di confisca, disposta all'esito di un procedimento che aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato di lottizzazione abusiva, di immobili presentata da terzi acquirenti estranei al procedimento suddetto, M.M.T. , D.E. e L.B. . Gli immobili, infatti, erano stati ritenuti oggetto della lottizzazione abusiva per cui la confisca era stata disposta ai sensi dell'articolo 19 l. 47/1985 nella sentenza di non doversi procedere per prescrizione che era divenuta irrevocabile. A seguito di ricorso, questa Suprema Corte riqualificava la richiesta con ordinanza del 22 aprile 2010 quale opposizione ex articoli 666 e 667 c.p.p., e ritrasmetteva gli atti al Giudice dell'Esecuzione. La Corte d'appello di Palermo pronunciava ordinanza in data 5 luglio 2011, con la quale, negando la buona fede dei terzi acquirenti, confermava l'ordinanza del 19 maggio 2009.
Avendo identificato la corte la necessità di verifica della sussistenza o meno di buona fede per accertare l'estraneità alla lottizzazione abusiva del terzo acquirente - che non può considerarsi solo per tale sua qualità terzo estraneo al reato, ben potendo tuttavia, benché compartecipe allo stesso accadimento materiale, dimostrare appunto di aver agito in buona fede -, ha evidenziato che quando l'acquirente è consapevole dell'abusività dell'intervento, o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza, la sua condotta si pone inscindibilmente in nesso causale a quella del venditore. La buona fede va accertata caso per caso, con una verifica che si risolve in una questione di fatto, tenendosi conto anche che è sufficiente per la contravvenzione, sia negoziale sia materiale, la colpa. La questione di fatto è rimessa al prudente apprezzamento e alla ponderata analisi dei dati probatori sussistenti in ogni fattispecie concreta; e, in questa, secondo la corte le argomentazioni della difesa proposte nell'atto di opposizione ex articoli 666 e 667 c.p.p. non sono idonee a sovvertire la conferma della confisca. La regolarità degli acquisti, con rogiti recante menzione dell'avvenuto rilascio di concessione; il fatto che vi erano licenza di agibilità e regolare catastazione, nonché il successivo pagamento degli oneri di urbanizzazione non dimostrano in modo risolutivo la buona fede ma solo la legittimità formale dell'acquisto. Irrilevante è il richiamo alla perizia dei tecnici bancari per la concessione del mutuo, come pure l'estraneità degli opponenti al giudizio penale. Gli opponenti utilizzano poi l'argomento della conformità del nuovo intervento edilizio alle prescrizioni degli allora vigenti strumenti urbanistici che qualificavano l'area zona bianca per dimostrare l'obiettiva legittimità della concessione e la loro rassicurazione sulla legittimità dell'edificazione. I dubbi interpretativi dimostrati anche dagli organi giudicanti sulla natura dell'area come zona bianca oppure zona destinata a verde agricolo e a verde pubblico dimostrerebbero l'assoluta buona fede degli acquirenti. Ma la questione della destinazione dell'area a verde agricole pubblico non può più essere dedotta, in considerazione del passaggio in giudicato della sentenza sul punto. Peraltro vari elementi fattuali dimostrano una condotta almeno colposa degli acquirenti, come evidenziato dalla precedente ordinanza: la progressiva.
suddivisione del terreno (mai consentita dalle concessioni edilizie) in lotti di dimensioni inferiori rispetto all'unico originario; la violazione dell'obbligo di asservimento; la cessione delle singole unità abitative con un terreno assai inferiore all'estensione dell'area asservita al fabbricato, rimasta nella proprietà dei venditori; il posizionamento delle unità abitative in prossimità l'una all'altra; la dotazione ad esse di una forma di viabilità interna; la finalità meramente abitativa, anche solo stagionale, delle villette bifamiliari presso il mare, del tutto avulsa dallo sfruttamento agricolo dell'area; l'assenza di opere di urbanizzazione. Dato atto che l'assenza delle opere di urbanizzazione rientra negli accertamenti della sentenza penale irrevocabile, la corte afferma che i dati fattuali, congiuntamente valutati, dimostrano che il piano lottizzatorio era oggetto di un progressivo svelamento, già evidente anche agli acquirenti al momento dei loro acquisti nel 1998 e nel 1999. La presentazione del frazionamento è infatti anteriore a tali acquisti. Già dal 1996 era stata chiesta la seconda concessione, rilasciata nel 2000 e ritenuta dal perito palesemente dimostrativa della lottizzazione a seguito dei frazionamenti. Il fatto che il rilascio sia successivo agli acquisti, come invoca la difesa, non toglie che la valutazione dell'intento dei lottizzatori va compiuta dal momento della presentazione dell'istanza di concessione, in grado di esternare, soprattutto se valutata unitamente ai frazionamenti, lo scopo lottizzatorio. Gli opponenti, valutando lo stato del progetto, la natura in itinere delle opere edilizie, interagendo durante le trattative con i danti causa che mostravano loro le singole particene, considerando i frazionamenti e la violazione dell'obbligo di asservimento prescritto nella concessione, verificando l'assenza assoluta di correlazione tra gli edifici realizzati e la coltivazione del fondo, a differenza di quanto prescritto in concessione, erano nella condizione di apprezzare, se avessero usato l'ordinaria diligenza, lo stravolgimento della concessione originaria e l'attuazione di una lottizzazione abusiva. L'acquirente deve infatti verificare la compatibilità dell'immobile con gli strumenti urbanistici, adempiendo a specifici obblighi di informazione. Nel caso in esame, nonostante l'avvenuto rilascio della concessione, gli elementi sopraindicati svelavano il disegno lottizzatorio; a essi va aggiunta anche l'immediatezza della cessione, rispetto alla ultimazione, dimostrando questo la manovra speculativa edilizia del tutto sganciata dall'uso rurale dei manufatti e dello stesso fondo. Che poi il Comune non abbia mai emesso ordinanza di sospensione (infatti di alcuni funzionari comunali la sentenza d'appello ha sostanzialmente riconosciuto la colpevolezza pur dichiarando la prescrizione del reato edilizio) non costituisce inerzia rassicurante per l'acquirente viste le suddette anomalie dell'attività edificatoria, non essendo sufficiente una mera verifica cartolare dell'esistenza della concessione e della certificazione di agibilità, poiché, sussistendo gli indicatori fattuali della lottizzazione, occorreva un controllo diligente del rispetto dell'obbligo di asservimento e della prescrizione di mantenere la finalità rurale. Da ciò deriva la "colpa" degli opponenti quali terzi acquirenti al momento dell'acquisto.
2. Avverso l'ordinanza ha presentato ricorso il difensore degli opponenti, proponendo un unico motivo così rubricato: "Apparente e comunque carenza di motivazione (sic). Omesso esame di punti decisivi della controversia e delle risultanze istruttorie e comunque degli atti esibiti. Error in procedendo. Erronea applicazione dell'art. 44 comma 2 D.P.R. 381/01 e dell'art. 192 c.p.p. e comunque manifesta erroneità della motivazione in ordine all'applicazione delle citate proposizioni normative. Errata qualificazione della situazione soggettiva dei destinatari della confisca". Premesso che il thema decidendum sottoposto al giudice di merito è la verifica della sussistenza o meno di colpa negli acquirenti quando comprarono gli immobili, la zona dove sono stati realizzati avrebbe dovuto subire il regime delle "zone bianche" ex articolo 4 l. 10/97 (ora articolo 9 d.p.r. 380/2001), senza regressione a destinazione agricola; e la qualifica di zona bianca era attribuita all'area dallo strumento urbanistico del Comune di Campobello di Mazara, menzionato nell'atto d'acquisto dell'area da parte dei danti causa degli odierni ricorrenti dell'I 1 febbraio 1993. Nessun addebito di mancanza di buona fede può dunque muoversi agli odierni ricorrenti al momento dell'acquisto. Affermando che nessuna questione sull'accertamento della destinazione dell'area a verde agricolo e pubblico può considerarsi per il passaggio in giudicato della sentenza sul punto, la corte territoriale incorre in errore logico-giuridico: gli acquirenti non intendono toccare l'intangibilità della sentenza della Corte d'appello di Palermo del 22 luglio 2007, in giudicato dal maggio 2008, che sanciva il ripristino, per decadenza del vincolo quinquennale, dell'originaria destinazione a verde agricolo, bensì far valere che quando acquistarono (nel 1998-1999) non era prevedibile il contenuto di tale decisione. Erronea altresì sarebbe l'attribuzione di una condotta colposa agli acquirenti per non essersi assicurati, al di là di una verifica cartolare dell'esistenza della concessione e della certificazione di agibilità, del rispetto dell'obbligo di asservimento e della prescrizione di mantenere la finalità rurale dell'edificazione: non può considerarsi ex post illecita una condotta conforme a un titolo assistito dalla presunzione di legittimità degli atti amministrativi e dovendosi quindi considerare la verifica cartolare più che sufficiente. L'esito delle indagini degli odierni ricorrenti era stato la destinazione a civile abitazione del fabbricato, la qualificazione dell'area come zona bianca, l'esistenza di concessione valida ed efficace rilasciata secondo i parametri di edificazione della zona bianca, la conformità a questi e al progetto già approvato del fabbricato, l'essere l'area edificata ben servita quanto ad opere di urbanizzazione. Tutto ciò dimostra la loro buona fede. Secondo la corte territoriale, poi, la realizzazione assentita del fabbricato era finalizzata alla conduzione del fondo in ragione della sua destinazione agricola. Ciò è erroneo, trattandosi di zona bianca e non vi era comunque alcun obbligo di trascrizione di siffatto asservimento nei registri della conservatoria dei registri immobiliari. Quanto poi ai presunti indicatori fattuali della lottizzazione riscontrati dalla corte, non si vieta in assoluto la vendita frazionata di un lotto di contenuta dimensione; al momento dell'acquisto, poi, il mutamento d'uso non è idoneo a integrare detto reato. Mancava inoltre prova della realizzazione del fabbricato per un nuovo insediamento urbano: la zona era servita da strada, su cui insistevano costruzioni, era servita da poste, Enel, SIP, polizia, e l'assenza di rete idrica, del gas e fognaria sarebbe "il frutto di mere e personali opinioni espresse dall'estensore" del provvedimento impugnato, tanto più che il fatto che le acque depurate non vengano versate nella fognatura comunale ma in apposita fossa a tenuta deriva da un obbligo imposto dal Comune. Erronea è la convinzione che l'intervento edificatorio dovesse essere in collegamento funzionale con la destinazione agricola del fondo e d'altronde se vi è compatibilità del progetto e quindi del fabbricato con gli strumenti urbanistici non sussiste attività illecita. Nel caso in esame, a fronte della richiesta di rilascio della seconda concessione del febbraio 1996 nessun provvedimento sanzionatorio a danno del richiedente era stato adottato dal sindaco del Comune al momento della stipula degli atti di acquisto, per cui gli acquirenti erano portati a ritenere non solo legittimo ma anche lecito il comportamento del dante causa. Quanto al sostanziale riconoscimento di colpevolezza per il reato edilizio (per giustificare l'assenza di provvedimenti sanzionatori) anche di alcuni funzionari comunali, ciò non incide poiché il dolo dei funzionari non esclude la riferibilità del fatto all'amministrazione comunale. Dichiara la corte che la verifica della sussistenza della buona fede del terzo nell'acquisto è una questione di fatto rimessa al giudice di merito: lo riconosce il ricorso, peraltro sottolineando che al giudice di legittimità possono addursi gli errori logici e giuridici della verifica e comunque la sua incompletezza. La corte, oltre a interpretare in modo distorto e parziale le risultanze processuali, valuta la posizione soggettiva degli acquirenti solo sulla base di alcuni degli elementi dimostrativi della buona fede, senza contestualizzazione, così violando le regole di logica e di diritto nell'interpretazione dei risultati indiziari. Ai sensi dell'articolo 192, secondo comma, c.p.p. gli indizi devono essere vagliati prima singolarmente poi in modo unitario (Cass. sez. I, 1 febbraio 2011 n. 10411;S.U. 4 febbraio 1992 n. 6682). Se avesse considerato tutti gli elementi, la corte sarebbe giunta a conclusioni diverse da quelle adottate.
I ricorrenti hanno poi depositato memoria per ribadire le loro argomentazioni.

Considerato in diritto

3. Il ricorso non è fondato.
Come evidenzia l'ampia (allo scopo) esposizione del contenuto del motivo, questo può concentrarsi nella doglianza di un vizio motivazionale in ordine alla sussistenza della buona fede dei ricorrenti al momento dell'acquisto.
È ormai giurisprudenza consolidata che, anche se rimane estraneo al procedimento penale per lottizzazione abusiva, l'acquirente degli immobili in cui questa si è concretata non è automaticamente qualificabile come terzo in buona fede rispetto all'attività criminosa, e quindi rimanere indenne dalla confisca degli immobili stessi. Infatti, qualora al momento dell'acquisto e nel periodo delle prodromiche trattative si comporti in modo imprudente e negligente, con tale imprudente e negligente condotta l'acquirente si pone in una situazione di inconsapevolezza che apporta un determinante contributo causale all'attività illecita (così Cass. 37472/2008) - per la quale norma incriminante, contravvenzionale, si ricorda, è bastante l'elemento soggettivo della colpa -, motivo per cui l'acquirente di immobili o terreni abusivamente lottizzati non può dirsi terzo estraneo al reato di lottizzazione abusiva se non prova di avere agito in buona fede partecipando inconsapevolmente all'operazione illecita dopo aver adempiuto ai doveri di informazione e conoscenza richiesti dall'ordinaria diligenza (in tal senso da ultimo Cass. 31921/2012): adempimento di onere probatorio la cui vantazione spetta naturalmente al giudice di merito dato che, come esplicita l'ordinanza impugnata, ha per oggetto una quaestio facti.
Il ricorso, allora, pur prospettando - fittiziamente - violazione di legge processuale e sostanziale - ma contraddittoriamente esso stesso riconoscendo che la verifica della sussistenza della buona fede del terzo nell'acquisto è il thema decidendum della causa, e che questo è una questione di fatto -, in realtà tenta di smontare la struttura motivazionale tramite la quale il giudice di merito ha esternato la valutazione in ordine alla sussistenza della buona fede pervenuta ad un esito negativo.
Così il ricorso prende in esame tutti i vari elementi che sono stati considerati allo scopo dalla corte territoriale, a cominciare dalla qualificazione della zona come area destinata a verde agricolo e pubblico, in considerazione del passaggio in giudicato della sentenza che definiva il processo penale, e proseguendo nell'analisi delle caratteristiche dell'attività edilizia che secondo la corte dovevano svelare, anche agli acquirenti, la formazione progressiva di una lottizzazione abusiva, per contrastare per ciascuno la valutazione effettuata dal giudice di merito. Come emerge, si ripete, già dal sunto del ricorso, tale contrasto è diretto, non evincendo alcuna reale incongruità o illogicità motivazionale, bensì prospettando un'alternativa versione fattuale, che giunge perfino a qualificare determinati rilievi fattuali contenuti nella motivazione come "il frutto di mere e personali opinioni espresse dall'estensore". Ma non si può non ricordare che il vizio motivazionale non si concreta nella possibilità - anche logicamente condivisibile - di una decisione diversa sul piano fattuale, bensì nella inidoneità della giustificazione fornita dal giudice a sorreggere la decisione effettivamente assunta, la cui correttezza è invece sottratta a un diretto controllo del giudice di legittimità. Tale inidoneità emerge dall'infrangersi della continuità logica degli argomenti riversati nella motivazione e dalla incongruenza, sotto il profilo della incompletezza rispetto agli elementi decisivi (il classico vizio logico-giuridico), della motivazione stessa. Nel caso di specie, non vi è stata omissione di vaglio di alcun fatto decisivo: dalla sintesi sopra tracciata del contenuto della motivazione e del contenuto del ricorso risulta evidente la coincidenza delle questioni trattate, proprio perché nulla di decisivo ha omesso la corte. Né d'altronde è fondato il rilievo difensivo che non siano state contestualizzate le valutazioni dei singoli elementi: al contrario la corte le ha considerate "tirando le fila" in un ragionamento complessivo, che non risulta affetto da alcuna insufficienza.
Accuratamente, anzi, la corte ha motivato in ordine all'esistenza dell'inadempimento agli specifici obblighi di informazione che osta al riconoscimento della buona fede nell'acquirente dell'immobile coinvolto in una lottizzazione abusiva.
Il ricorso va pertanto respinto, con conseguente condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza