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Sentenza

Il marito scopre il tradimento della moglie e dopo averla gettata a terra la uccide comprimendo il collo con le mani. Venti anni ridotti a 18 in appello. L'infedeltà non fu provocazione.
Il marito scopre il tradimento della moglie e dopo averla gettata a terra la uccide comprimendo il collo con le mani. Venti anni ridotti a 18 in appello. L'infedeltà non fu provocazione.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 novembre – 16 dicembre 2013, n. 50639
Presidente Cortese – Relatore Locatelli

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 4.11.2011 il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Udine dichiarava G.S. colpevole del reato previsto dagli artt. 575 e 577 cod. pen. perché, dopo avere gettato a terra la moglie C.C., le stringeva il collo con le mani imprimendo movimenti di scuotimento con urti sul pavimento e le comprimeva le vie aeree, cagionandone la morte per soffocamento. Con l'aggravante di avere commesso il fatto in danno del coniuge, in Tavagnaccio il 25.4.2010. Per l'effetto, escluse le contestate aggravanti di ave, agito per motivi futili e con crudeltà, ed applicata la diminuente per il rito, condannava l'imputato alla pena di anni venti di reclusione.
La Corte di assise di appello di Trieste, in riforma della sentenza del giudice di primo grado, riduceva la pena inflitta ad anni diciotto di reclusione.
Avverso la sentenza i difensori dell'imputato ricorrono in cassazione per i seguenti motivi: 1) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui i giudici di merito hanno negato la concessione di attenuanti generiche; 2) mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione; violazione, in relazione ad entrambe le circostanze attenuanti richieste, del principio "al di là di ogni ragionevole dubbio" nella parte in cui il giudice di merito pur possedendo la ricostruzione dei fatti offerta dall'imputato con atteggiamento collaborativo non ha inteso darvi credito ed ha fondato la negazione delle due attenuanti su una ricostruzione meramente soggettiva ed emotiva.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
1. I giudici di merito hanno negato il riconoscimento di circostanze attenuanti considerata l'irrilevanza della semplice incensuratezza e la mancanza di ravvedimento per la gravissima azione compiuta; il giudice di appello ha inoltre sottolineato la particolare intensità della volontà omicida desumibile dalla modalità di strangolamento della moglie, compiuto a mani nude con una azione violenta protratta per vari minuti (4-5 per la perdita di conoscenza e da 9 a 14 per il decesso, secondo il consulente tecnico del pubblico ministero; 2-3 minuti secondo il consulente tecnico della difesa), lasso temporale durante il quale l'imputato, pur assistendo agli spasimi e alla agonia della moglie, non aveva receduto dal proposito omicida.
La motivazione, priva di vizi logici, è giuridicamente corretta, facendo riferimento alla irrilevanza della incensuratezza ai sensi dell'art. 62 bis comma 3 cod. pen., nonché ai criteri di valutazione previsti dall'art. 133 cod. pen., con particolare riguardo alla intensità del dolo ed alla condotta dell'imputato contemporanea e susseguente al reato.
2. Il giudice di merito ha motivato il diniego della circostanza attenuante di aver agito in stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui (infedeltà coniugale della vittima) con la ragione che la degradazione del rapporto coniugale durava da parecchio tempo, e non poteva essere attribuita in maniera netta al comportamento infedele della vittima; l'imputato da diverso tempo aveva assunto atteggiamenti prevaricatori e violenti nei confronti della moglie, la quale da alcune settimane si era allontanata dalla casa coniugale; la situazione era stata "metabolizzata" dall'imputato, che aveva accettato di partecipare ad un incontro a scopo chiarificatore con la moglie e l'uomo con cui ella intratteneva una relazione (pag. 12 sentenza di primo grado). Le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, immuni da vizi logici, non sono in questa sede suscettibili di ulteriori apprezzamenti in fatto.
A norma dell'art. 616 cod. proc. pen. il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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