Il Giudice di Pace non ha competenza per il delitto di tentate lesioni aggravate.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 luglio - 30 ottobre 2013, n. 44252
Presidente Bruno – Relatore Lignola
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza del 12 maggio 2009, il Tribunale di Roma condannava alla pena di giustizia S.A. , per i delitti di lesioni personali volontarie tentate, aggravate dall'uso di una barra di ferro, in danno di P.L. , oltre che per lesioni personali volontarie in danno della medesima persona offesa, cagionate con un pugno al volto, sul luogo di lavoro.
1.1 L'affermazione di responsabilità, confermata della Corte di appello di Roma con sentenza del 23 novembre 2012, si fonda sulla deposizione della persona offesa, costituitasi parte civile, sul referto medico prodotto nonché sulle deposizioni del teste F. , collega di lavoro dell'imputato e della persona offesa.
2. Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione il S. , personalmente, affidandolo a tre motivi.
2.1 Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera B ed E, cod. proc. pen., in relazione al delitto di tentato, con riferimento alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera B ed E, cod. proc. pen., in relazione all'articolo 62, n. 2, cod. pen., per non avere la Corte territoriale riconosciuto l'aggravante della provocazione, chiaramente emersa dall'istruttoria dibattimentale, poiché la persona offesa era solito recarsi nell'ambiente di lavoro per riprendere continuamente l'imputato, con la scusa del fumo, così provocandolo.
2.3 Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera B ed E, cod. proc. pen., in relazione agli articoli 132 e 133 cod. pen. ed agli articoli 12 e 15, cod. proc. pen., in relazione all'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, numero 274. Il ricorrente censura la pena detentiva applicata dal Tribunale, in relazione ad un reato di competenza del giudice di pace, con il semplice richiamo ai criteri di cui all'articolo 133 cod. pen..
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso, relativo alla inattendibilità della deposizione della persona offesa, è inammissibile, attesa l'assoluta genericità della censura; peraltro poiché le dichiarazione del teste, oltre che confermate dal collega di lavoro F. , sono confortate dal referto medico del pronto soccorso, che descriveva una lesione (contusione regione zigomatica sinistra e parete interna labbro superiore) del tutto compatibile con le modalità dell'aggressione descritte dai due testi.
2. Anche il secondo motivo è inammissibile, poiché meramente assertivo, non essendo emerso da alcun atto del processo, al di là delle parole dell'imputato, l'atteggiamento pretestuoso e provocatorio della persona offesa; il motivo rappresenta peraltro la mera riproposizione di una censura proposta con l'appello, priva di una critica argomentata avverso la decisione di appello, in quanto tale inammissibile (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584).
2. Il ricorso è invece fondato con riferimento alla determinazione della pena, oggetto del terzo motivo, essendo i giudici di merito incorsi nell'errore denunciato in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio. A norma del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 63, nei casi in cui i reati indicati nell'art. 4, commi 1 e 2 (tra i quali rientra l'ipotesi di cui all'art. 582, limitatamente alle fattispecie di cui al secondo comma, perseguibili a querela di parte), sono giudicati da un giudice diverso dal giudice di pace, si osservano le disposizioni del titolo 2 del decreto legislativo, che disciplina le sanzioni applicabili dal giudice di pace. Di conseguenza la Corte territoriale non poteva ritenere reato più grave quello di lesioni personali (capo B), ma avrebbe dovuto determinare la pena base su quello di lesioni tentate aggravate dall'uso di una arma (capo A), come già aveva fatto il Tribunale, per poi applicare l'aumento per la continuazione, a norma dell'art. 81 c.p..
2.1 Come recentemente ricordato dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all'eventuale giudizio di comparazione fra di esse (Sez. U, n. 25939 del 28/02/2013, Ciabotti, Rv. 255347). La sanzione edittale, ovverossia la pena prevista in astratto, è sempre quella comminata per il reato contestato o ritenuto (in concreto) in sentenza, secondo il titolo e le circostanze predicate esistenti (salvo che disposizioni particolari e tassative escludano a certi effetti la rilevanza delle circostanze o di alcune di esse), tenuto conto del loro bilanciamento e dei minimi e dei massimi edittali così risultanti; una volta che le circostanze attenuanti sono state riconosciute (non si tratta di concessione, perché la materia non è affidata alla benevolenza ma alla ricognizione delle condizioni di legge) e sia stato effettuato il pure doveroso giudizio di bilanciamento rispetto alle aggravanti contestate, è al risultato di tale giudizio che deve farsi riferimento per l'individuazione in astratto della pena edittale per il resto circostanziato (Sez. 1, n. 24838 del 15/06/2010, Di Benedetto, Rv. 248047).
2.2 Ciò premesso, poiché il trattamento sanzionatorio più lieve previsto dall'art. 52, lett. d), D.Lgs. n. 274 del 2000 (disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace) non si applica al delitto di lesioni volontarie aggravato a norma dell'art. 585, comma primo, cod. pen., nemmeno qualora le circostanze aggravanti siano state neutralizzate per effetto della concessione di attenuanti, in quanto esso non appartiene alla competenza del giudice di pace, reato più grave deve ritenersi comunque quello di cui al capo A, di lesioni tentate; sulla pena base determinata per tale violazione, poi, va applicato l'aumento previsto dall'art. 81 cod. pen..
2.3 Tale operazione non può essere compiuta dalla Corte di Cassazione, per cui occorre annullare la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, al solo fine di rideterminare il trattamento sanzionatorio, essendo preclusa ogni ulteriore statuizione in ordine all'affermazione di responsabilità.
3. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, limitatamente al trattamento sanzionatorio, applicato in termini difformi da quelli previsti dalla legge.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Roma.
02-11-2013 00:22
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