Il consenso manifestato dal minore, per la produzione di materiale pedopornografico, non scrimina.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 aprile - 26 settembre 2013, n. 39872
Presidente Squassoni – Relatore Fiale
Ritenuto in fatto
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 21.10.2011, ha confermato la sentenza 17.1.2011, pronunziata dal G.I.P. del Tribunale di quella città in esito a giudizio celebrato con il rito abbreviato, che aveva affermato la responsabilità penale di T.M. in ordine ai reati di cui:
- all'art. 600 ter, 1 e 3 comma, cod. pen. (per avere prodotto materiale pedopornografico utilizzando la minore C..F. ed altre ragazze minori degli anni 18 e divulgato analogo materiale su internet - acc. in (OMISSIS) );
- all'art. 600 quater cod. pen. (per avere detenuto nel suo computer 1.110 filmati e 11.125 immagini pedopornografici) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., lo aveva condannato alla pena complessiva di anni 3, mesi 4 di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del T. , il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito:
- la inconfigurabilità del reato di cui all'art. 600 ter, 1 comma, cod. pen., per la insussistenza di una organizzazione almeno embrionale atta a corrispondere le esigenze del mercato della pedofilia con potenziale pericolo di diffusione del materiale pedopornografico asseritamente prodotto dall'imputato, in quanto si verterebbe in ipotesi in cui la produzione di tale materiale sarebbe stata destinata a restare nella sfera privata dell'autore;
- la carenza della prova certa del contenuto dei files rinvenuti dalla Polizia postale sul computer in uso all'imputato al momento del suo arresto;
- la incongrua esclusione dell'attenuante di cui all'art. 600 sexies, 5 comma, cod. pen., tenuto conto che l'imputato avrebbe fornito un contributo concretamente collaborativo ai fini dello sviluppo delle indagini;
- la illegittimità della disposta confisca di due computer di proprietà del padre dell'imputato, soggetto pacificamente estraneo ai reati contestati.
Considerato in diritto
1. Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
2. La giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato che il reato previsto dall'art. 600 ter cod. pen. intende fissare per i minori una tutela anticipata della loro libertà sessuale, sanzionando, indipendentemente da Finalità di lucro o di vantaggio, la "utilizzazione" dei minori stessi nella produzione di materiale pornografico ma anche la mera "induzione" a partecipare ad esibizioni pornografiche. Si tratta, infatti, di azioni di per sé degradanti e connotate da profondo disvalore, oltre che pericolose per la successiva eventuale diffusione che il materiale cosi prodotto o raccolto può conoscere.
Non può ritenersi scriminante l'eventuale consenso del minore al fatto, considerato che esso proverrebbe da persona immatura, che non ha la disponibilità di diritti inalienabili, quali la libertà psicofisica.
Nella chiarezza del testo e della sua ratio, il dettato normativo impone all'interprete di assumere come prospettiva prioritaria la posizione del singolo minore oggetto di comportamenti che attentano alla sua libertà ed al libero sviluppo della sua personalità (vedi Cass., Sez. Unite, 5.7.2000, n. 13).
Rispetto a tale prospettiva vengono in luce due diverse situazioni di offesa.
La prima è rappresentata dal solo fatto che il minore come persona venga utilizzato o indotto a partecipare alla creazione di materiale pornografico. Tali condotte, con il loro carattere di oscenità e, in molti casi, di vera perversione, comportano un'offesa gravissima allo sviluppo della personalità del minore, tanto maggiore quanto più costui è lontano da uno stadio minimamente strutturato di maturità e di sviluppo.
La seconda è costituita dalle diverse forme di diffusione del materiale pornografico ottenuto mediante la utilizzazione di persone minori di età.
L'art. 600 ter cod. pen., nella sua attuale formulazione, contiene plurime disposizioni che risultano organizzate secondo un ordine gradato di gravità dei fatti e di trattamento sanzionatorio.
Il 1 comma contiene la disposizione relativa alle condotte che il legislatore considera più gravi: la "produzione" di materiale pedopornografico o di esibizioni aventi la stessa natura effettuata coinvolgendo persone minori di età, che vengono "utilizzate" oppure "indotte" a partecipare. Tali attività illecite comportano entrambe la degradazione del minore ad oggetto in sostanza manipolato.
Il 3 comma si concentra su condotte di divulgazione di materiale pedopornografico compiute al di fuori e senza collegamento con le ipotesi previste dai commi 1 e 2. I comportamenti puniti consistono nel distribuire, divulgare, diffondere o pubblicizzare il materiale pornografico: una divulgazione a più soggetti, dunque, che, senza essere di necessità una divulgazione indiscriminata, si dirige ad una platea ampia potenzialmente non controllata o controllabile di destinatari.
3. Nella vicenda in esame:
- Quanto alla contestata fattispecie di cui al 1 comma dell'art. 600 ter cod. pen., è emerso dalle acquisizioni probatorie che l'imputato aveva ottenuto le fotografie della minore F.C. adescandola con la prospettazione ingannatoria di dovere realizzare un catalogo di costumi da bagno per la casa di moda "Hallo Kitty". Ulteriori fotografie (riproducenti pose lascive anche con esposizione dei genitali) aveva ottenuto, attraverso la medesima mistificazione induttiva, facendosele inviare attraverso un account di posta elettronica, da altre ragazzine minorenni.
I giudici del merito hanno ampiamente illustrato come fosse il T. anche a suggerire alle minori le pose sessualmente significative da assumere e come egli conservasse, con scrupolosa catalogazione in sottocartelle recanti i nomi delle giovani, i momenti salienti delle esibizioni raccolte in chat.
L'attività di adescamento è stata ricollegata al rinvenimento di centinaia di cartelle riferibili a contatti messanger con ragazze, per alcune delle quali risulta accertata con sicurezza la minore età. Il T. , inoltre, in sede di primo interrogatorio, aveva ammesso l'addebito e razionalmente i giudici del merito, a fronte dell'inequivoco materiale probatorio raccolto, non hanno attribuito valore alla ritrattazione successiva.
Questa Sezione, con la sentenza 6.10.2009, n. 41743, ha ritenuto estranee alla condotta decritta nella previsione incriminatrice "la non episodicità o l'esistenza di una struttura organizzativa".
- La fattispecie di cui al 3 comma dell'art. 600 ter cod. pen. è stata comprovata dal collegamento costante al programma di file-sharing "Emule-Adunanza", ove l'imputato aveva svolto attività di download ma anche di upload, divulgando così filmati ed immagini pedopornografiche (che non devono essere necessariamente coincidenti con quelle fatte realizzare dalle minorenni con le specifiche modalità da lui suggerite) ad una platea ampia di destinatari, potenzialmente non controllata o controllabile.
Le Sezioni Unite (con la sentenza n. 13/2000, che è però anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 38/2006) hanno affermato al riguardo che è compito del giudice accertare di volta in volta la configurabilità di un concreto pericolo di diffusione del materiale pedopornografico, facendo ricorso ad elementi sintomatici della condotta tra i quali hanno indicato l'esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale atta a corrispondere alle esigenze di mercato dei pedofili.
Nella specie tale struttura rudimentale può sicuramente ritenersi configurata dall'utilizzo di più ragazze minorenni, dalla disponibilità materiale di strumenti tecnici di trasmissione, dal collegamento sistematico dell'imputato con soggetti pedofili potenziali destinatari del materiale pornografico.
Del tutto disancorata dalla realtà si presenta, conseguentemente, la tesi difensiva secondo la quale il T. si sarebbe limitato a fare un utilizzo esclusivamente personale e privato dell'ingente materiale pedopornografico di cui disponeva.
3.1 Le questioni sollevate in ordine all'accertata divulgazione per via telematica da parte dell'imputato di materiale a contenuto pedopornografico sono inammissibili.
Tali censure non tengono conto, invero, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, restando preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.
Nella fattispecie in esame i giudici del merito (le motivazioni della sentenza di primo e di secondo grado si saldano formando un unico corpo argomentativo), con argomentazioni congrue, adeguate ed immuni da erronea applicazione della legge penale e processuale, hanno valutato compiutamente il materiale probatorio, fornendo giustificazioni logiche della decisione adottata.
Le contrarie argomentazioni svolte in ricorso, inoltre, non sono riferite a fatti autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dalla Corte di merito e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
4. Del tutto infondato è anche il terzo motivo di gravame, ove si contesta la mancata applicazione dell'attenuante di cui all'art. 600 sexies, 5 comma, cod. pen..
Detta attenuante postula, infatti, una vera e propria attività di collaborazione, concreta e fattiva, con le autorità inquirenti, che si traduca non soltanto nella semplice dissociazione, ma anche nell'adoperarsi per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori e nel coadiuvare concretamente gli inquirenti nella raccolta degli elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti.
La sussistenza di dette condizioni non è stata ritenuta ravvisabile dal G.I.P. in considerazione della genericità delle dichiarazioni, che non hanno consentito alcun concreto sviluppo nelle indagini, ed il riconoscimento di esse razionalmente deve ritenersi esclusa anche dalla Corte di merito a fronte dell'attività dell'imputato limitata alla mera indicazione di due soggetti, non facilmente identifica bili, presso i siti dei quali sarebbe stato possibile consultare materiale pedopornografico.
5. I computer sono stati legittimamente confiscati, essendo stati utilizzati per la commissione dei reati e l'irrilevanza del fatto che le fatture rilasciate per l'acquisto degli stessi siano state intestate al padre dell'imputato risulta correttamente affermata dalla Corte di merito in considerazione dell'esclusiva disponibilità di quei beni da parte del condannato, che già dal primo interrogatorio ne ha rivendicato la piena proprietà.
6. Al rigetto del ricorso segue l'onere del pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
30-09-2013 14:39
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