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Sentenza

I confini del concetto di «medesimo fatto» giudicato. Quale rapporto esiste tra il reato di favoreggiamento e quello associativo?
I confini del concetto di «medesimo fatto» giudicato. Quale rapporto esiste tra il reato di favoreggiamento e quello associativo?
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 marzo - 24 aprile 2013, n. 18376
Presidente Cosentino – Relatore De Crescienzo

Motivi della decisione

C.S. è sottoposto a procedimento penale per la violazione degli artt. 110, 416 bis c.p., per avere "Nella sua veste di esponente politico di spicco (prima della Democrazia Cristiana e successivamente nel tempo di altri partiti politici tra i quali l'UDER e il C.D.U. E successivamente al 24.6.2011 di Presidente della Regione Siciliana, consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell'associazione mafioso COSA NOSTRA, intrattenendo, anche la fine della ricerca e dell'acquisizione di sostegno elettorale ed a fronte del richiesto appoggio, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco della predetta organizzazione (tra i quali S.A. , B.F. , R.A. , A.M. , D.G.M. , G.G. , CA.Fr. e AR.Sa. ); mettendo a disposizione di Cosa Nostra il proprio ruolo, così contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell'organizzazione tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organismi politici ed amministrativi nonché al conseguimento di impunità. Co attraverso la ripetuta divulgazione di notizie che dovevano restare segrete perché concernenti attività di investigazione in corso relative ad importanti esponenti di Cosa Nostra e/o soggetti con questi in rapporti di contiguità. In particolare, tra l'altro il C. :
-assecondando specifiche richieste provenienti da G.G. (Capo mandamento di Brancaccio ed esponente di vertice della consorteria) attraverso l'intermediazione di AR.Sa. e M.D. sì adoperava per l'inserimento del predetto M. nelle liste dei candidati del C.D.U. Per le elezioni regionali del 2001 nella piena consapevolezza di esaudire sul punto i desideri del G. nonché le finalità sottese a tale richiesta.
- Si adoperava fattivamente per il soddisfacimento di ulteriori richieste provenienti dal G.G. - e nella specie rappresentategli direttamente da M.D. - finalizzate ad influire sull'esito di concorsi in materia sanitaria in favore di candidati indicati dal predetto G. ;
- Assecondando specifiche richieste provenienti da MA.An. (esponente di spicco della famiglia mafioso di Villabate) rappresentategli da CA.Fr. (a sua volta esponente della suddetta famiglia mafioso), si adoperava per l'inserimento di AC.Gi. nelle liste dei candidati del B. per le elezioni regionali del 2001, nella consapevolezza di esaurire sul punto i desideri del predetto MA. nonché delle finalità sottese a tale richiesta;
-In concorso con BO.An. (maresciallo dell'Arma dei carabinieri successivamente eletto deputato dell'Assemblea Regionale Siciliana) rivelava in più occasioni a M.D. , AR.Sa. , G.G. notizie che dovevano restare segrete e in particolare concernenti l'esistenza di attività di indagine dei Carabinieri del R.O.S. Nei confronti del predetto G. e, in tale ambito, il ricorso ad attività di intercettazione in quel momento ancora in corso;
- In concorso con BO.An. ed altri soggetti allo stato non identificati, rivelava in più occasioni ad A.M. (esponente di spicco di Cosa Nostra in rapporti di stretta contiguità con P.B. , E.N. , L.I.P. ed altri esponenti della famiglia mafioso di Bagheria) notizie destinate a restare segrete concernenti l'esistenza di attività di indagine, espletata anche con l'ausilio di intercettazioni telefoniche, nei confronti dei predetti A. nonché del maresciallo CI.Gi. e del maresciallo R.G. ;
- Avvertiva CA.Fr. (esponente della famiglia mafioso di Villabate) che nei suoi confronti (ed a causa dei suoi stretti rapporti con MA.Ni. e MA.An. ) erano in corso investigazioni già concretizzate in servizi di intercettazione, pedinamento ed osservazione da parte della polizia giudiziaria. In tal modo rivelando al CA. notizie destinate a rimanere segrete.
- Aderendo a specifiche richieste provenienti da D.G.M. all'epoca rappresentante provinciale di Cosa Nostra ad Agrigento prometteva all'organizzazione il futuro coinvolgimento di imprese segnalate da Cosa Nostra nell'aggiudicazione ed esecuzione di lavori Pubblici in quel territorio.
-Nella consapevolezza del ruolo e della importanza di S.A. in seno all'organizzazione mafiosa, richiedeva al predetto S. sostegno elettorale in occasione delle consultazioni regionali del 1991.
- Incontrava in più occasioni B.F. , esponente di spicco della famiglia mafiosa di Uditore, recandosi personalmente presso gli uffici dell'Immobiliare Raffaello di pertinenza del predetto mafioso.
Con sentenza 16.2.2001 il GUP del Tribunale di Palermo, all'esito di giudizio svolto con il rito abbreviato, dichiarava "non doversi procedere" nei confronti del C. "poiché per il medesimo fatto, diversamente considerato quanto a titolo di reato è intervenuta la sentenza emessa dal Tribunale di Palermo n. 187/08 del 18.1.2008, parzialmente riformata in data 23.1.2010 con la sentenza n. 189/10 della locale Corte di Appello e divenuta irrevocabile con sentenza della Corte di cassazione 22.1.2011 "La decisione, impugnata dalla Procura della Repubblica veniva confermata dalla Corte d'Appello di Palermo con sentenza del 20.6.2012.
La Procura Generale della Repubblica, presso la Corte d'Appello di Palermo, ricorre per Cassazione avverso quest'ultima decisione, richiedendone l'annullamento e deducendo: p.1.) ex art. 606 1 comma lett. B) cpp, l'erronea applicazione degli artt. 649 cpp, 81, 378, 110, 416 bis cp 7 L. 203/91, perché la Corte d'Appello ha affermato l'esistenza di preclusione processuale derivante dal "ne bis in idem" in un'ipotesi di concorso formale eterogeneo di reati sul solo presupposto dell'identità delle fonti probatorie e una parziale coincidenza delle contestazioni mosse nei capi di imputazione, senza adeguatamente apprezzare l'esistenza di una ontologica diversità delle fattispecie di reato contestate. L'ufficio ricorrente pone in particolare evidenza come tra il reato di favoreggiamento aggravato dall'art. 7 L. 203/91 (oggetto dell'imputazione mossa al C. nel c.d. Processo "XXXXX" definito con sentenza 15582/2011 della Corte di cassazione) e quello di cui agli artt. 110, 416 bis cp, oggetto di contestazione nella presente sede, pur nella sostanziale identità delle prove, e pur essendo manifestazione di un'ipotesi di concorso formale eterogeneo, intercorrono differenze sostanziali per le quali il giudicato dell'uno non può estendere effetti preclusivi sull'accertamento penale dell'altro. La Procura Generale, a dimostrazione della "diversità" del fatto oggetto di addebito in questa sede rispetto a quello già giudicato, mette ancora in evidenza la non coincidenza del tempus commissi delicti: i fatti ascritti in questo procedimento hanno avuto svolgimento a cominciare dal 1989 (ed vicende (OMISSIS) ed intercettazioni ambientali XXXXXX), per proseguire nell'anno 1991 (in occasione delle elezioni comunali di Palermo con S.A. ) e che l'illecito rapporto si è articolato fino al 2003 attraverso accordi tra il C. con la famiglia mafiosa di Brancaccio del G. , con quella di Villabate dei MA. e con lo schieramento dei corleonesi di P. attraverso A.M. , per avere termine nel novembre del 2003 con l'arresto dei correi: A.M. , CI.Gi. e R.G. .
Il ricorrente pone quindi in rilievo che la preclusione ex art. 649 cpp si manifesta solo nel caso in cui i fatti contestati nei due diversi procedimenti penali presentino caratteristiche di medesimezza nel senso che devono essere identici la "condotta", l'"evento" e il "nesso di casualità" da relazionarsi a medesime condizioni di tempo, di luogo, di persona. Nel caso di specie i fatti contestati nei due diversi procedimenti presentano differenze oggetti ve e tali da non potersi ritenere che ricorra l'applicazione dell'art. 649 cpp.;
p.2.) errata applicazione degli artt. 649 e 112 Cost. Il ricorrente dopo avere descritto la cronologia della vicenda processuale [pag. 8 del ricorso] mette in evidenza che il nuovo procedimento penale, alternativo ad una possibile contestazione ex art. 516-517 cpp esercitabile nel processo "XXXXX", risponde comunque al principio dell'obbligatorietà dell'esercizio della azione penale esperibile in conformità delle regole processuali.
p.3.) ex art. 606 1 comma lett. E) cpp, mancanza, contraddittoria ed insufficiente motivazione, perché la Corte d'Appello non fu preso in considerazione le dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia CA.Fr. , non ha svolto osservazioni circa la lettura critica fatta dal Procuratore Generale nel corso della discussione dibattimentale, ha limitato la importata delle dichiarazioni del P.G. e di c.m. , non ha motivato in relazione al patto politico - mafioso intercorso tra C.S. , G.G. e M.D. (pur riconosciuto nella decisione della Corte di cassazione nel processo "XXXXX"), trincerandosi dietro l'inesistente preclusione processuale ex art. 649 cpp, né ha motivato in relazione alle cointeressenze esistenti tra il C. , A. e P. nel settore della sanità e sui rapporti tra l'imputato e la famiglia mafiosa dei MANDALÀ di Villabate, circostanze tutte dimostrative della diversità del fatto ascritto all'imputato nel presente procedimento rispetto a quanto già giudicato nel processo "XXXXX".
In data 5.3.2012 la difesa dell'imputato ha depositato memoria con allegata copiosa documentazione, confutando le doglianze dalla Procura Generale della Corte d'Appello, mettendo in evidenza aspetti di inammissibilità del ricorso.

Ritenuto in diritto

Al fine di un miglior chiarimento delle questioni che verranno esaminate appare opportuno svolgere una breve esposizione per capi sommati, della vicenda processuale. In origine il C. è stato iscritto nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Palermo nell'ambito del procedimento n. 2358/99 con la accusa di concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso. In data 16.3.2005 i magistrati requirenti richiedevano l'archiviazione del suddetto procedimento dando atto di avere iniziato nei confronti del C. (e di altre persone) un diverso procedimento penale con la accusa, per l'odierno imputato, di rivelazione di segreti di ufficio e favoreggiamento personale aggravato ex art. 7 l. 203/91 [proc. N. 12790/02 c.d. Processo "XXXXX"]. Nel corso del giudizio n. 12790/02, sulla base degli elementi di fatto anche contestati in udienza, la Procura della Repubblica richiedeva al Giudice delle indagini preliminari la riapertura dell'originario procedimento prospettando, sulla base di nuovi elementi emersi nel corso del processo n. 12790/02 la reviviscenza dell'originaria accusa di cui agli artt. 110, 416 bis cp per il quale veniva esercitata l'azione penale sfociata nel presente giudizio. Medio tempore il processo c.d. "XXXXX" perveniva a conclusione, essendo definito con sentenza della Corte di Cassazione che confermava quella con la quale la Corte d'Appello di Palermo aveva condannato il C. per i reato di rivelazione di segreti di ufficio e favoreggiamento personale aggravati ex art. 7 l. 203/91; il Tribunale e la Corte d'Appello di Palermo, investiti del processo relativo alla accusa di violazione degli artt. 110, 416 bis cp mossa nei confronti dello stesso C. , dichiaravano l'improcedibilità dell'azione penale avendo accertato la preclusione processuale di cui all'art. 649 cpp..
La sentenza della Corte d'Appello, impugnata nella presente sede, fa costante e reiterato richiamo al contenuto della sentenza resa dal Tribunale in data 16.2.2011, facendola propria; per tale ragione, in questa sede, verranno prese in considerazione tanto la decisione di primo grado che quella di appello, siccome costituenti un unico corpo motivazionale, essendo altresì comuni i criteri di valutazione adottati dai due organi di merito. La difesa dell'imputato con le memorie 5.3.2013 ha articolatamente confutato i contenuti del ricorso della Procura Generale della Corte d'Appello di Palermo ponendo in evidenza in primis aspetti di inammissibililtà del ricorso principale proposto dalla Procura Generale della Corte d'Appello; tali prospettazioni non possono essere accolte nella presente sede siccome non del tutto fondate. Le ulteriori considerazioni attinenti all'applicazione dell'art. 649 cpp, formulate dalla difesa dell'imputato verranno esaminate in uno con il contenuto del ricorso.
Va infine osservato che le questioni poste dall'ufficio ricorrente e dalla difesa, sovente toccano aspetti che attengono a valutazioni di merito. Tali argomenti non verranno considerati in questa sede, stanti i noti limiti propri del giudizio di legittimità. Conseguentemente non saranno considerate le questioni che toccano l'apprezzamento di merito delle prove analizzate dal Tribunale e dalla Corte d'Appello, né tantomeno la valenza probatoria delle dichiarazioni di P.G. o di c.m. o da altre persone, le cui dichiarazioni sono state escluse dalla Corte d'Appello con ordinanza 24.4.2012. Trattasi di decisione criticata dall'Ufficio ricorrente nella presente sede, senza peraltro formulare censure specifiche al provvedimento riconducibili in qualche modo nell'alveo segnato dall'art. 606 1 comma cpp.. La vicenda processuale sottoposta all'attenzione di questa Corte attiene all'applicazione dell'art. 649 cpp che stabilisce il principio della preclusione processuale del "ne bis in idem" altresì previsto nell'articolo 4 del protocollo n. 7 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo (entrata in vigore l'1.11.1988) che, con espressione equivalente a quella del vigente codice di rito, afferma: "Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato".
Il tenore delle doglianze proposte dalla Procura Generale della Corte d'Appello di Palermo in tema di "ne bis in idem" (richiamato ancora dall'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali UE), e le argomentazioni svolte dalla difesa, impongono alcune preliminari considerazioni di carattere generale.
Il primo luogo, sul piano ermeneutico, nell'alternativa se per "medesimo fatto" (espressione testualmente adoperata dal legislatore nell'art. 649 cpp) si debba intendere l'”idem factum o l'idem legale", va osservato che l'opzione privilegiata nella giurisprudenza di legittimità, è quella c.d. storico-naturalistica ("idem factum") in base alla quale la preclusione prevista dall'art. 649 cpp opera nella sola ipotesi in cui vi sia (nelle imputazioni formulate in due diversi processi, nei confronti della medesima persona) corrispondenza biunivoca fra gli elementi costitutivi dei reati descritti nelle rispettive contestazioni (condotta, evento, nesso causale) che vanno riguardate anche con riferimento alle circostanze di tempo, di luogo e di persona [Cass. Sez. 5, 1.7.2010 n. 28548; Cass. Sez. 4, 20.2.2006 n. 15578; Cass. SU 28.6.2005 n. 34655].
La soluzione alla quale perviene la giurisprudenza di legittimità (condivisa da questo Collegio) senza porsi in contrasto con i principi affermati nelle decisioni della Corte Europea, permette di ritenere legittima la prospettazione della "diversità" del fatto anche in ipotesi di concorso formale eterogeneo di reati, con la conseguenza che una persona giudicata per un reato ben può essere sottoposta ad un successivo giudizio per l'ulteriore e diverso reato contestualmente commesso con il primo. [Cass. Sez. 1, 24.1.1995 n. 3354].
In secondo luogo, nella perimetrazione del concetto di "fatto" giudicato (ex art. 649 cpp) va chiarito che esso non coincide (secondo criteri puramente formali) solo con quanto descritto nel capo di imputazione, ma conformemente al principio della "contestazione" sostanziale, il "fatto" (oggetto del giudizio) ricomprende tutti quegli aspetti che, nella progressione della vicenda processuale, sono stati via via oggetto di contestazione e di puntualizzazione della originaria accusa che risulta così compiuta attraverso atti diversi e successivi rispetto a quelli tipicamente preposti a tal fine [v. In tal senso Cass. Sez. 119.9.1995 n. 10684].
Va da ultimo osservato che il "fatto" giudicato, va considerato non solo sotto il profilo della sua materialità storica, ma anche con riferimento alla ritenuta "qualificazione giuridica" conferitagli nel giudizio, con la conseguenza che anche quest'ultima è oggetto di "giudicato"; tale considerazione è il necessario corollario derivante dall'ultima parte del primo comma dell'art. 649 cp ove è prevista la preclusione del "ne bis in idem" quando il medesimo fatto sia oggetto di un secondo giudizio per un "diverso" titolo.
L'ovvia conclusione alla quale si perviene è che la preclusione ex art. 649 cpp ricorre ogni qualvolta il "fatto" oggetto di contestazione sostanziale (comprensivo di tutti gli elementi strutturali del reato: condotta evento, nesso causale, circostanze di tempo e di luogo), nei due diversi procedimenti penali, promossi contro la stessa persona, presenta caratteri di identità nei suoi elementi costitutivi, sì che, indipendentemente dal nomen iuris attribuito, i contenuti delle due diverse contestazioni sono pienamente sovrapponibili.
Non hanno rilevanza ed efficacia, ai fini della preclusione ex art. 649 cpp, l'identità delle fonti probatorie e l'unicità della condotta caratterizzante la fattispecie del concorso formale eterogeneo di reati, con la conseguenza che le medesime fonti probatorie possono essere utilizzate per dimostrare l'esistenza di un ulteriore illecito che risulti essere stato commesso con la medesima azione con la quale è stato integrato quello già giudicato.
Così fissati i principi di riferimento in diritto in merito al ricorso si osserva quanto segue.
Secondo la prospettazione del ricorrente (primo e terzo motivo di ricorso) il C. avrebbe, con azioni diverse e parzialmente sovrapponibili, integrato sia i delitti di rivelazione di segreti di ufficio e di favoreggiamento aggravato (per i quali è già intervenuta condanna definitiva) che quello di concorso esterno all'associazione mafiosa denominata COSA NOSTRA, della quale, alcuni esponenti sono i beneficiari delle condotte favoreggiatici già giudicate.
La Procura Generale censura la decisione dei giudici di merito affermando che: 1) sarebbero rinvenibili, nelle imputazioni formulate nei due processi, differenze sostanziali determinate da diversità spazio/temporali dei fatti ascritti; 2) sarebbero rinvenibili differenze nel contenuto delle "contestazioni" e che taluni degli "episodi" (sette) descritti nel libello di accusa relativo al delitto di cui all'art. 416 bis cp (secondo la formulazione dell'imputazione riportata nell'epigrafe della presente decisione) non sarebbero mai stati "contestati" al C. nel corso del processo "XXXXX" "....se non incidentalmente per provare l'aggravante di cui all'art. 7 legge 203/91....".
Entrambe le affermazioni non sono fondate: la prima, del tutto generica, è priva di efficacia dimostrativa e al limite dell'inammissibilità; la seconda non è conforme alle risultanze processuali illustrate nelle decisioni di merito con motivazioni che non sono state oggetto di più specifica e convincente censura.
Dalla lettura delle sentenze di merito, si riscontra un'analitica descrizione comparativa (alla quale il Tribunale ha dedicato circa 200 pagine, in toto richiamate dalla Sentenza della Corte d'Appello che le ha recepite) delle accuse (sostanziali) sostenute nei due diversi processi; i giudici di merito pervengono così a riscontrare l'esistenza della piena "sovrapponibilità" dei fatti addebitati al C. , che troverebbero differenza solo nel diverso titolo di reato attribuito.
Sul punto, al di là di una generica evocazione della diversità dei periodi di commissione degli illeciti contestati [pag 2 e 4 del ricorso], il ricorrente non ha formulato in questa sede censure idonee a dimostrare che la sentenza impugnata sia caratterizzata da un vizio della motivazione ex art. 606 1 comma lett. E) cpp, desumibile dal testo del provvedimento impugnato. Il ricorrente inoltre non ha messo in evidenza specifiche violazioni di norme penali sostanziali idonee a smentire la ritenuta sovrapponibilità delle accuse mosse nei due diversi procedimenti penali. Nella specie il ricorrente formula proprie valutazione involgenti aspetti di merito, come tali sottratti al giudizio di legittimità che deve rimanere nei limiti dettati dall'art. 606 1 comma cpp. La mancanza di una più specifica critica sul punto relativo all'affermata identità dei fatti oggetto di imputazione nei due diversi processi, esime questo collegio dall'esercitare una più penetrante verifica della piena sovrapponibilità delle suddette accuse, attività questa che, per le deduzioni contenute nella impugnazione, si porrebbe oltre il limite della devoluzione segnato dall'art. 609 cpp: sotto questo profilo il motivo va quindi rigettato.
La Procura Generale sostiene, con un secondo argomento, che parte delle condotte ascritte al C. nel presente procedimento penale, non sarebbero state contestate nel diverso processo "XXXXX", con la conseguenza che solo una frazione del "fatto" sarebbe stata oggetto di accertamento in quel giudizio penale; in particolare l'Ufficio ricorrente afferma "....solo due episodi sono identici a quelli contestai nel cd. Processo "XXXXX" (il favoreggiamento e le rivelazioni dei segreti nei confronti del G. e quello nei confronti dell'A. ). Tutti gli altri episodi (ben 7) non erano mai stati formalmente contestati al C. se non incidentalmente per provare la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 7 legge 203/91...in particolare rilievo, infine nel presente procedimento la nuova contestazione al C. dell'episodio di favoreggiamento a favore del CA. . Così come in un 'ottica completamente nuova, cioè quello dello scambio politico-mafioso, secondo la indicazione della sentenza "Mannino", vanno evidenziate le nuove contestazioni che sono state mosse al C. relative alle vicende M. ed A. , rivelatici della sussistenza di un patto di scambio politico-mafioso, rispettivamente con la famiglia mafiosa di Palermo-Brancaccio e quella di Misilmeri....".
La lettura della motivazione delle sentenze di merito fornisce un quadro processuale differente da quello esposto. Il Tribunale, con particolare precisione ha esaminato le singole condotte (v. in particolare: p. 115 - vicenda M. ; p. 86 - vicenda concorsi in campo sanitario; p. 77 - candidatura di A. ; pag. 163 - favoreggiamento G. ; p. 173 - favoreggiamento A. ; p. 60 - vicenda Ca. ; p. 42 - Vicenda D.G. ; p. 29 - Vicenda S. ; p. 35 - vicenda B. ) specificate nel capo di imputazione relativo all'accusa di cui agli artt. 110, 416 bis cp, riscontrando che ognuna di esse era stata oggetto di specifica "contestazione" al C. nel corso del procedimento definito, con la conseguenza che la posizione dell'imputato era già stata esaminata (e giudicata) con riferimento ad ognuno dei nove fatti indicati nell'accusa formulata in questa sede.
Anche in questo caso la motivazione della sentenza del Tribunale, recepita in quella della Corte d'Appello e fatta propria da quest'ultima, sfugge a qualsivoglia censura, non avendo il ricorrente formulato critiche idonee a far ritenere viziata la motivazione della decisione impugnata integrata da quella del Tribunale. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente va escluso che ricorra diversità tra i fatti contestati nei due diversi processi fioccasi, e conseguentemente che l'art. 649 cpp sia stato erroneamente applicato.
Va pertanto affrontata la terza questione di diritto posta dal ricorrente, che parte dalla premessa per la quale l'inammissibilità di un secondo giudizio da un lato impedisce di procedere contro uno stesso imputato per il medesimo fatto, ma, dall'altro non preclude di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo liberamente ai fini della prova di un diverso fatto - reato. La premessa è corretta: l'art. 649 cpp attiene alla sola "identità del fatto reato contestato" nei suoi elementi tipici e non si estende alle valutazioni di esso come componente probatoria di altro reato i cui elementi costitutivi siano ontologicamente diversi. Dalla lettura integrata delle sentenze di merito, come già osservato, emerge che è stata fatta la ricostruzione comparativa fra le due diverse imputazioni ed è stato accertato che i fatti integranti i delitti di rivelazione di segreti di ufficio e di favoreggiamento aggravati (processo XXXXX) non sono prove dell'ulteriore e diverso delitto di cui agli artt. 110, 416 bis cp, ma sono i medesimi fatti, solo diversamente qualificati. Alla considerazione, pure messa in rilievo dall'Ufficio ricorrente per la quale i delitti da rivelazione di segreti di ufficio e di favoreggiamento aggravati ex art. 7 l. 203/91 sono comunque diversi da quello di concorso esterno in associazione mafiosa (essendo diverso l'interesse giuridico protetto di quest'ultimo rispetto ai primi e la finalizzazione delle condotte), pur realizzati attraverso una medesima condotta, va contrapposto il rilievo dell'esistenza di un'incompatibilità strutturale tra il reato associativo e quello di favoreggiamento ex art. 378 c.p. (nella specie aggravato ex art. 7 l. 203/91).
L'art. 378 cp pone come presupposto della fattispecie che il soggetto agente non sia concorrente nel medesimo reato commesso dalla persona beneficiaria della condotta favoreggiatrice. Di qui consegue che esiste, per previsione normativa un'incompatibilità strutturale tra il reato di favoreggiamento e quello per il quale è intervenuta la suddetta condotta.
Nel caso in esame il C. ha compiuto atti di rivelazione di segreti di ufficio e di favoreggiamento personale aggravati ex art. 7 l. 203/91, non solo nell'interesse di singoli soggetti (collocali in posizione di rilievo) aderenti ad associazione mafiosa, ma anche "alfine di agevolare l'attività dell'organizzazione mafiosa COSA NOSTRA" [dal capo di imputazione riportato nella sentenza Cass. Sez. 2 n. 15583 relativo al C. ]. Il tenore dell'addebito, per il quale è intervenuto il giudicato pone in evidenza che il C. ha agito favorendo persone che, in quanto aderenti all'associazione mafiosa COSA NOSTRA, stavano compiendo il delitto di cui all'art. 416 bis c.p.; di qui consegue che in virtù del limite posto dal testo dell'art. 378 cp, lo stesso C. non può più essere ritenuto, nel contempo favoreggiatore di coloro che violano l'art. 416 bis cp e concorrente esterno nel medesimo delitto associativo. Sul punto la Procura generale ricorrente argomenta (richiamando Cass. sez. Fer. 28.9.2004 n. 38236) che "...il reato di favoreggiamento personale presuppone l'avvenuta consumazione del reato ascritto al soggetto favorito" affermando ancora che "... qualora trattisi di reato associativo (nella specie, di tipo mafioso) occorre che si sia già verificata la sua cessazione, costituita dallo scioglimento del sodalizio, dandosi luogo altrimenti alla configurabilità, non del favoreggiamento, ma della partecipazione o del concorso esterno, a seconda che risulti o meno dimostrato lo stabile inserimento del soggetto nella struttura associativa".
La tesi non può essere accolta, perché la natura permanente del reato presupposto ex se non esclude che possa essere realizzata una condotta favoreggiatrice (quantomeno per la parte di azione già compiuta dal favorito) di chi quel reato abbia commesso e stia tutt'ora commettendo [Cass. 11.11.2003 n. 6905]; indubbiamente è necessario che l'azione del c.d. favoreggiatore non si traduca in un atto di sostegno o di incoraggiamento alla prosecuzione dell'attività delittuosa da parte del favorito, perché in tal caso la condotta integrerebbe non già la violazione dell'art. 378 cp, ma quella di partecipazione al delitto associativo. Pertanto, ritenuta la piena sovrapposizione dei "fatti" contestati nei due procedimenti penali promossi nei confronti del C. e rilevato l'esistenza di un'incompatibilità strutturale tra le due accuse, ne consegue che nel presente caso, l'applicazione fatta dai giudici di merito dell'art. 649 cpp è corretta. La doglianza di cui al secondo motivo di ricorso presenta caratteri di aspecificità rispetto al contenuto della decisione impugnata. Non è qui in discussione la modalità con la quale l'Ufficio del Pubblico Ministero abbia inteso esercitare la doverosa azione penale, ma è oggetto di valutazione la legittimità della tesi della possibile coesistenza delle due diverse accuse, fra loro incompatibili, in assenza della dimostrazione dell'obbiettiva esistenza di un quid pluris che consenta di ritenere che il C. abbia commesso contestualmente oltre i delitti di favoreggiamento personale e rivelazione di segreti di ufficio, aggravati, anche l'ulteriore (e diverso - sul piano fattuale) reato di concorso esterno in associazione mafiosa, fattispecie, quest'ultima che non è stata ravvisata dal giudice del processo "XXXXX", in ciò seguendo l'impostazione data dalla pubblica accusa, ritenendo di non dover modificare la qualificazione giuridica del fatto originariamente ascritto così inscrivendo nell'ambito degli artt. 326, 378 cp e 7 l. 203/91 le condotte contestate.
Le restanti doglianze formulate con il terzo motivo di ricorso sono infondate. In particolare: le censure riguardanti la omessa motivazione di aspetti in fatto attinenti ai rapporti e alle cointeressenze intercorsi tra il C. e altre persone appartenenti all'associazione "COSA NOSTRA" sono formulate in termini generici senza specifica individuazione (al di là della critica di merito) delle ragioni di diritto per le quali sarebbe erronea la decisione. La ritenuta sussistenza della preclusione di cui all'art. 649 cpp, individuata come pregiudiziale rispetto ad ogni altra questione giustifica sul piano logico-giuridico la correttezza della decisione della Corte Palermitana di non prendere in considerazione ogni ulteriore diversa doglianza di merito dedotta in sede di impugnazione.
Per la medesima ragione deve ritenersi corretta la decisione della Corte d'Appello che ha ritenuto di non ammettere gli ulteriori mezzi di prova (dichiarazioni P. , c. e altre). Su questo punto va ancora osservato che la Corte territoriale ha affermato: "...sotto il primo profilo (doglianze di merito sollevate con l'atto di appello ndr) va invero chiarito che le considerazioni svolte in alcune parti della sentenza impugnata che parrebbero confutare la stessa pregnanza delle risultanze nell'ottica della nuova imputazione non erano per nulla necessarie e pertanto del tutto irrilevanti si rivelano i motivi di gravame che le riguardano; mentre i nuovi (sopravvenuti elementi che l'accusa vorrebbe introdurre in questa processo in sede di appello non potrebbero comunque fa venir meno la condizione di procedibilità". Si tratta di motivazione che, rendendo conto delle ragioni delle scelte fatte dalla Corte, non presenta nessuno dei vizi specifici previsti dall'art. 606 1 comma lett. E) cpp, in ordine ai quali il ricorrente non ha fornito alcun elemento di valutazione apprezzabile in diritto.
Parimenti non è stata formulata dal ricorrente alcuna censura specifica relativamente alla ordinanza 24.4.2012 con la quale la Corte d'Appello ha deciso in ordine alle integrazioni probatorie richieste dalla pubblica accusa; dalla lettura dell'ordinanza richiamata si evince che la Corte territoriale non ha accolto la richiesta della Pubblica accusa perché mancavano i presupposti per la rinnovazione del dibattimento posto che, procedendosi con il rito abbreviato, le prove sarebbero state ammissibili solo nel caso di una ritenuta impossibilità a decidere, nella specie non ravvisata dal giudicante. Si tratta di motivazione corretta sul piano del diritto, non sindacabile nel merito processuale.
Per le suddette ragioni il ricorso deve quindi essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Avv. Antonino Sugamele

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