Gli rubano pecore e agnelli. Ritenendo responsabile del furto la persona offesa lo fa salire in auto e lo trasporta presso il suo ovile per ricercare gli animali. Ivi giunti lo rinchiude in cantina e lo libera dopo avergli fatto firmare una cambiale di 5 milioni di lire. E' sequestro di persona.
Cassazione penale sez. V 10/07/2013 ( ud. 10/07/2013 , dep.11/09/2013 )
Numero: 37326
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giuliana - Presidente -
Dott. DE BERARDINIS Silvana - Consigliere -
Dott. FUMO Maurizio - Consigliere -
Dott. SETTEMBRE Anton - rel. Consigliere -
Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.D. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 497/2005 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
28/09/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/07/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE;
Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di
Cassazione, Dr. Gioacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Cagliari, con sentenza del 28/9/2011, a conferma di quella emessa dal Tribunale di Lanusei, ha condannato P.D. a pena di giustizia per il sequestro di persona in danno di C.M..
Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dai giudici del merito, P.D. (insieme al padre P.M., ad L. A. e Cu.Gi., non ricorrenti), sospettando C. M. del furto delle proprie pecore e dei propri agnelli, indusse il C. a salire sulla propria autovettura - su cui erano presenti i complici - e, appena ottenutane la presenza, ripartì immediatamente senza consentire al C. di scendere dal mezzo.
Quindi i quattro trascinarono con sè il C. in un lungo giro, con sosta presso l'ovile dello stesso C. (al fine di verificare se nello stesso fossero ricoverati gli animali rubati) e con destinazione la casa del P., dove il C. fu fatto scendere e rinchiuso in una cantina, da cui fu liberato solo a seguito della firma di una ricognizione di debito e di una cambiale dell'importo di cinque milioni.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto personalmente ricorso per Cassazione P.D., il quale si duole, in rito, della violazione dell'art. 106 c.p.p., per non essere stata rilevata dal giudicante la situazione di incompatibilità nella difesa sua e del padre da parte dello stesso difensore.
Nel merito, si duole dell'erronea applicazione degli artt. 393 e 605 c.p., dovendo, a suo giudizio, ricondursi la fattispecie alla più lieve previsione dell'art. 393 c.p.; nonchè della illogicità e contraddittorietà della motivazione, che non ha tenuto conto dell'interesse del C. ad accusarlo ingiustamente, sapendo, ed avendo riconosciuto, di essere l'autore del furto del bestiame: fatto che lo avrebbe indotto ad arricchire il suo racconto di particolari compromettenti, quali le minacce di morte ricevute durante il tragitto, l'essere stato coperto con una giacca in fase di incrocio con una pattuglia della guardia forestale, l'essere stato costretto a firmare la cambiale.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.
1. Il motivo in rito è manifestamente infondato. L'art. 106 c.p.p. stabilisce che la difesa di più imputati non può essere assunta dallo stesso difensore, allorchè le diverse posizioni siano tra loro "incompatibili". La norma non definisce puntualmente il concetto di "incompatibilità", ma si può dire, sul piano generale, che l'incompatibilità si verifica qualora il conflitto di interessi metta a capo ad una diversità di posizioni giuridiche, o di linee di difesa fra più imputati, per le quali il comune difensore non è in grado di svolgere una appropriata ed effettiva attività tecnica.
Più recentemente si è sottolineato come tali elementi non siano di per sè sufficienti, in quanto occorre che la versione difensiva di uno di essi sia assolutamente inconciliabile con la versione fornita dagli altri assistiti, così da determinare un contrasto radicale e insuperabile, tale da rendere impossibile, per il difensore, sostenere tesi logicamente inconciliabili tra loro (C, Sez. 1, 7.10.2009, Gjoka e altro, in Mass. Uff., 245038; C, Sez. 1, 6.5.1996, Valente, in CP, 1998, 1136).
Tale situazione non è verificata nel caso di specie, giacchè P.M. e P.D. hanno adottato linee difensive perfettamente coincidenti, riconoscendo e ammettendo di aver prelevato il C. presso il bar di (OMISSIS) e di averlo condotto nella propria abitazione, dove il C. fu costretto a firmare una cambiale. L'unica discordanza nel racconto dei due concerne la causale della sottoscrizione: il ristoro dei danni conseguenti al furto, per P.M.; la restituzione di un precedente prestito, per P.D.. Si tratta, a ben vedere, di una discordanza che concerne i motivi dell'agere e non il ruolo ricoperto dai due nella vicenda, che non pone in collisione le linee difensive, attenendo alle ragioni soggettive della condotta, che è rimasta identica per entrambi e non ha intralciato, per nessuno dei due, la difesa tecnica. A ciò si aggiunga che l'origine del credito, diversamente rappresentato dai due imputati, non influenza nemmeno la qualificazione dei fatti, giacchè l'intenzione di ottenere la restituzione di una somma mutuata o quella di agire per la soddisfazione di un credito risarcitorio - seguiti dalla coercizione loro imputata - rimandano, comunque, alla stessa fattispecie delittuosa. E senza contare che, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, per il reato di cui all'art. 393 c.p. è già intervenuta archiviazione per mancanza della prescritta condizione di procedibilità.
Non è esatto affermare, invero, che alla base delle contestazioni di cui agli artt. 393 e 605 c.p. vi sia "un comportamento valutato unitariamente", giacchè si tratta, invece, di condotte affatto diverse, che danno origine a reati diversi: la costrizione alla firma della cambiale rimanda al reato di cui all'art. 393 c.p.; la limitazione della libertà di movimento per un tempo apprezzabile rimanda, invece, al reato di cui all'art. 605 c.p.. E' solo da questo reato che i due P. hanno dovuto difendersi in questo procedimento, per cui è sicuramente da escludere il requisito dell'attualità della incompatibilità.
2. Anche il motivo di merito è infondato. La Corte d'appello ha fondato il giudizio di responsabilità sulle chiare e ripetute affermazioni della persona offesa, vagliate attentamente nella loro coerenza e plausibilità, nonchè su quelle di vari testi, che hanno offerto significativi elementi di riscontro: Pi.Ot. ha confermato l'inizio del racconto, dicendo che C. era con lui al bar allorchè questi fu chiamato da L.A. per un chiarimento e indotto ad allontanarsi dal locale; V.P. ha confermato che si trovava a casa di P.A. allorchè vi giunse il C.; M.A. ha confermato di aver ricevuto le prime confidenze di quest'ultimo, avanti di recarsi dai carabinieri. E lo stesso P.M. ha confermato tutta la sostanza del racconto dell'offeso, allorchè ha confessato di essersi recato da (OMISSIS) insieme al figlio P.D. ed altre due persone alla ricerca del C., da lui sospettato quale autore del furto in suo danno; di aver prelevato il C., di averlo condotto a casa sua e di averlo costretto a firmare la cambiale.
Nessuna incongruenza o illogicità vi è, quindi, in questa ricostruzione dell'occorso, effettuata con puntuale riferimento alle risultanze processuali, mentre le critiche del ricorrente sono generiche e assertive oppure valorizzano aspetti secondari della vicenda, che non incidono sull'apprezzamento del fatto. Inoltre, prescindono persino dalle confessioni dell'imputato e dei coimputati ( P.D. e P.M. hanno confermato la sostanza del racconto reso dalla persona offesa).
In definitiva, il giudizio espresso dalla Corte d'appello, che ha operato un logico collegamento tra gli elementi di prova sopra passati in rassegna, apprezzandone correttamente la loro rilevanza, non merita alcuna censura, tanto più che le censure dedotte dal ricorrente - oltre che generiche - devono ritenersi al limite dell'ammissibilità, essendo dirette alla rivalutazione di circostanze di fatto già correttamente esaminate in sede di merito.
3. Nessuna sovrapposizione vi è tra le condotte addebitate all'imputato e quelle che hanno portato all'archiviazione del procedimento per il reato di cui all'art. 393 c.p., dal momento che si tratta di condotte sostanzialmente diverse, giacchè alle minacce di morte profferite contro il C. se non avesse firmato la cambiale e riconosciuto il debito si è accompagnata la privazione della libertà personale per varie ore, che non sono tra loro sovrapponibili in ragione del fine ultimo perseguito. Infatti, la privazione o la restrizione della libertà personale, sotto il particolare profilo della libertà di locomozione, è estranea alla configurazione giuridica del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che è caratterizzato dall'esercizio della violenza o dalla minaccia, ma non anche dalla limitazione della libertà (Cass. Pen., 23/1/1986, n. 5618).
Alla infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2013.
Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2013
03-11-2013 21:43
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