Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Penalista Trapani

Sentenza

Genitori condannati per i lanci di pallone effettuati dai figli nell'abitazione di un vicino. Per la Cassazione la frequenza dei lanci nuoce alla tranquillità dei vicini.-e
Genitori condannati per i lanci di pallone effettuati dai figli nell'abitazione di un vicino. Per la Cassazione la frequenza dei lanci nuoce alla tranquillità dei vicini.-e
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 giugno – 9 ottobre 2013, n. 41692
Presidente Teresi – Relatore Graziosi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 20 marzo 2012 il Tribunale di Verona ha condannato alla pena di euro 200 di ammenda ciascuno e al risarcimento del danno alle parti civili M.A. e L.V. per il reato di cui agli articoli 81 cpv., 110, 111, e 674 c.p., perché con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, inducevano i figli minorenni a molestare i vicini S.C. e L.G. - costituitisi come parti civili - gettando sistematicamente palloni da calcio nel loro giardino.
2. Ha presentato appello, convertitosi in ricorso e a questa Suprema Corte trasmesso ex articolo 568 c.p.p., il difensore adducendo tre motivi, il primo motivo denuncia difetto di motivazione sull'elemento oggettivo del reato, e il secondo sull'elemento soggettivo, non sussistendo il dolo necessario ex articolo 111 c.p.; il terzo adduce che il reato era prescritto già prima della emissione della sentenza, non potendosi tenere conto quale sospensione - come ritenuto dal Tribunale - del periodo di due rinvii effettuati.
Si è costituita la parte civile, depositando note d'udienza in data 30 maggio 2013 e poi concludendo per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e in subordine, in caso di declaratoria di prescrizione, per la conferma delle statuizioni civili.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato.
3.1 Il primo motivo, qualificato come “motivazione carente e perplessa sull'elemento oggettiva”, censura il giudice di primo grado per avere ritenuto “indifferente ai fini della contestazione del reato… accertare il numero di palloni terminato nelle proprietà delle parti offese nel periodo da maggio a giugno 2006” e “se il lancio di una parte dei palloni non sia direttamente attribuibile ai figli” degli imputati; sarebbe stato invece necessario verificare “l'idoneità del pallone a costituire “cosa atta a molestare”… con riferimento… ad una normale sensibilità” e se il lancio “potesse concretizzare quella capacità lesiva sanzionata dal precetto penale”. Si tratta evidentemente di questioni fattuali, relative appunto alla valutazione degli esiti probatori in relazione all'esistenza delle attività contestate (l'induzione a un lancio di palloni di cui, secondo il ricorrente, sarebbe stato necessario determinare il numero) e alla effettiva sussistenza di una conseguente molestia, questioni in ordine alle quali la motivazione è specifica e idonea (si veda in particolare pagina 6) sia in ordine alla frequenza dei lanci sia in ordine alla loro concreta idoneità “a nuocere in modo apprezzabile alla tranquillità ed alla quiete delle persone offese”. Il motivo è pertanto manifestamente infondato.
3.2. Il secondo motivo censura la sentenza per vizio motivazionale sull'esistenza, necessaria ex articolo 111 c.p., del dolo. Anche questa doglianza è manifestamente infondata, perché l'inciso che il reato contravvenzionale contestato è “punibile indifferentemente a titolo di colpa o a titolo di dolo” non toglie che la configurazione concreta rappresentata dalla motivazione è quella dolosa, poiché il giudice rileva che “nella specie gli imputati hanno gettato i palloni, avvalendosi dei figli minori, con la piena consapevolezza della situazione di disturbo originata dal lancio”, e ciò va logicamente contestualizzato con quanto poco prima rimarcato sulle caratteristiche della condotta degli imputati, dediti a un “continuo e plateale rifornimento di palloni nuovi” da lanciare con “frequenza e sistematicità” nel giardino dei vicini (motivazione, pagina 6).
3.3. Il terzo motivo censura la sentenza per mancata dichiarazione della prescrizione che sarebbe stata già maturata prima della pronuncia, non potendosi tenere conto quale sospensione della prescrizione stessa ex articolo 159 c.p. del periodo dal 27 gennaio al 18 dicembre 2009, “erroneamente attribuito dal Giudice ad una inesistente astensione dalle udienze degli avvocati difensori” poiché all'udienza del 27 gennaio si era astenuto invece il VPO che svolgeva le funzioni di PM. Neppure un secondo rinvio dal 6 luglio 2010 all'8 marzo 2011 a seguito di richiesta specifica del difensore della parte civile, cui il difensore degli imputati nulla opponeva, avrebbe effetto sospensivo.
Il Tribunale ha ritenuto non maturata la prescrizione propria per sospensione del termine nei due suddetti periodi in quanto frutto di rinvii “causa astensione degli avvocati dalle udienze”. E' indiscusso che, se di tali rinvii non si fosse tenuto conto, la prescrizione si sarebbe maturata prima del 20 marzo 2012. Per quanto riguarda il rinvio dal 6 luglio 2010 all'8 marzo 2011, è peraltro altrettanto evidente che è stato disposto sull'accordo delle parti, come emerge dalla stessa esposizione del motivo nel ricorso. Legittima d'altronde il rinvio sospensivo della prescrizione come impedimento del difensore l'adesione ad una iniziativa di categoria di astensione dalle udienze (S.U. 28 novembre 2001-11 gennaio 2002 n. 1021; cfr. altresì Cass. sez. V, 2 ottobre 2009 n. 49647). Il rinvio dal 27 gennaio al 18 dicembre 2009 invece secondo il ricorrente sarebbe stato erroneamente qualificato come causato da astensione degli avvocati dalle udienze. Peraltro, dal verbale d'udienza del 27 gennaio 2009 risulta che erano presenti i difensori degli imputati e delle parti civili, e come PM un VPO, il quale preliminarmente dichiarava “di aderire all'astensione indetta da Federmot nel rispetto del codice di autoregolamentazione della categoria dei magistrati onorari dei tribunale”. Senza che dal verbale emerga alcuna opposizione dei difensori degli imputati e delle parti civili, il giudice rinvia “preso atto dell'astensione di cui sopra, stante l'assenza in udienza di un PM togato”. E' il caso di osservare che il CSM, rispondendo a quesito del 4 febbraio 2010 in ordine alla “sostituibilità dei Vice Procuratori onorari in caso di sciopero”, premesso che i VPO non sono titolari, ex articoli 71 e 72 r.d. 12/1941, di funzioni giurisdizionali per cui intervengono “in supplenza” della magistratura ordinaria, ha affermato l'obbligo del Procuratore della Repubblica di “adottare le necessarie disposizioni per garantire la partecipazione dell'ufficio al dibattimento penale” nei casi “in cui non sia in concreto possibile da parte del VPO l'esercizio delle funzioni allo stesso delegate”, dichiarando peraltro che ciò “non contrasta con il doveroso rispetto del diritto di sciopero” del VPO. Il diritto di sciopero del VPO deve dunque essere rispettato come esercitato similmente dai difensori, anche il VPO potendosi qualificare professionista legale in quanto, come chiarisce la Corte Costituzionale nella sentenza 333 del 13 luglio 1990, non è inserito nell'Ordine giudiziario. La fattispecie che ha avuto luogo, nel caso in esame, il 27 gennaio 2009 è dunque parallela e conforme a quella della sospensione del termine prescrizionale per impedimento del difensore consistente nell'adesione a un'astensione dalle udienze proclamata da un organo rappresentativo della categoria: l'astensione era infatti stata proclamata dalla Federmot. Significativamente, poi, i difensori degli imputati e delle parti civili non si sono opposti, in tal modo ponendo, si rileva, quale presupposto del rinvio del dibattimento pure un accordo delle parti (il quale a sua volta integra una causa di sospensione della prescrizione se non collegato ad esigenze probatorie e difensive: Cass. sez. V, 2 febbraio 2011 n. 14461). Anche se la motivazione, allora, definisce impropriamente “astensione degli avvocati dalle udienze” la causa per entrambi i rinvii, in sostanza si tratta di due analoghe fattispecie di astensione dalle udienze su iniziativa della relativa categoria per esercitare il diritto di sciopero, che è costituzionalmente garantito ma il cui esercizio sarebbe irragionevole ritenere non incidente sul decorso della prescrizione in una sola delle due ipotesi di cui si è appena evidenziata la sostanziale affinità. Al di là quindi della già rimarcata improprietà terminologica, il Tribunale non è incorso in violazione dell'articolo 159, comma 1, n. 3, c.p., essendo configurabile nell'esercizio del diritto di sciopero un legittimo impedimento di parte processuale non rappresentata, nella contingente udienza, da un componente dell'Ordine giudiziario. Risulta pertanto manifestamente infondato anche il terzo motivo.
4. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile (il che impedisce, non consentendo il formarsi di un valido rapporto processuale di impugnazione, di valutare la presenza di eventuali cause di non punibilità ex articolo 129 c.p.p.: S.U. 22 novembre 2000 n. 32, De Luca; in particolare, l'estinzione del reato per prescrizione è rilevabile d'ufficio a condizione che il ricorso sia idoneo a introdurre un nuovo grado di giudizio, cioè non risulti affetto da inammissibilità originaria come invece si è verificato nel caso de quo: ex multis v. pure S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 n. 21, Cresci; S.U. 3 novembre 1998 n. 11493, Verga; S.U. 22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass. sez. III, 10 novembre 2009 n. 42839, Imperato Franca), con conseguente condanna di ciascun ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate in € 4200,00 (partendo da una base di € 3500, aumentata del 20% essendo due le parti civili), oltre accessori di legge. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ogni ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate in € 4200,00, oltre accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza