Due imputati ledono la reputazione di un avvocato per aver qualificato come «truffaldina», in una missiva indirizzata al sindaco, un’istanza del professionista. Assolti in primo grado, la Cassazione annulla.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 dicembre 2012 – 29 aprile 2013, n. 18829
Presidente Zecca – Relatore Micheli
Ritenuto in fatto
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Lecce (sezione distaccata di Taranto) ricorre avverso la sentenza del Giudice di pace di Taranto emessa il 24/10/2011, recante l'assoluzione di B.A..S. e N.R.B. dall'addebito di diffamazione, in ipotesi commesso in danno dell'Avv. G..C. : gli imputati erano infatti accusati di avere leso la reputazione del C. , definendo "truffaldina" - in una missiva indirizzata al sindaco di (omissis) - un'istanza a firma del professionista con la quale si vantavano ragioni di credito da parte di un suo assistito.
Ad avviso del Giudice di pace, nella fattispecie concreta non potrebbe ravvisarsi il delitto contestato, giacché:
- la lettera a firma degli imputati aveva il sindaco di (omissis) quale unico destinatario, ergo non poteva ascriversi allo S. od al N. alcuna responsabilità per la circostanza che il relativo contenuto fosse stato propalato all'esterno, evidentemente su iniziativa di altri soggetti (lo stesso sindaco di quel comune, o terzi) e comunque senza che fosse emersa la prova della volontà degli stessi imputati che lo scritto fosse portato a conoscenza di più persone;
- i due prevenuti agirono in stato d'ira determinato dal fatto ingiusto del querelante, in quanto la nota per il sindaco fu predisposta dopo aver ricevuto la nota dell'Avv. C. ed averne accertato l'infondatezza delle pretese: e, “poiché la missiva sarebbe stata scritta [...] immediatamente dopo aver preso conoscenza del contenuto della lettera, datata 19/10/2009, dell'Avv. C.G. in cui si invitavano gli odierni imputati a mettersi in contatto con lui, al fine di concordare un equo risarcimento che in minima parte avrebbe potuto attenuare il nocumento arrecatogli con espresso avvertimento che in caso contrario sarebbero stati evocati nelle competenti sedi, nessuna esclusa”, era da intendersi sicuramente configurabile l'esimente della provocazione, ex art. 599 cod. pen..
Ad avviso del P.M. ricorrente, le argomentazioni adottate dal giudice di prime cure non sarebbero in alcun modo condivisibili, risolvendosi in una motivazione contraddittoria ed illogica, oltre che carente su un fatto controverso e decisivo: innanzi tutto, il Giudice di pace non avrebbe chiarito quale sarebbe stato il comportamento illegittimo posto in essere dalla persona offesa, tale da concretizzare il fatto ingiusto da intendersi presupposto della ritenuta provocazione; in secondo luogo, la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un chiaro travisamento della prova, atteso che la missiva con cui il querelante aveva invitato gli imputati a corrispondere un risarcimento in via stragiudiziale recava la data del 19 dicembre, non già ottobre, 2009; infine, non sarebbe stato affrontato il problema dell'idoneità della lettera dello S. e del N. , seppure indirizzata al sindaco di (omissis) , a ricevere diffusione già per effetto della circostanza di essere stata ritualmente protocollata prima della spedizione.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
Non è infatti dato comprendere, nella ricostruzione operata dal giudice di merito, perché si dovrebbe considerare esclusa la destinazione dello scritto a firma degli imputati ad essere divulgato a persone diverse ed ulteriori dal formale destinatario: va infatti considerato che la missiva era stata regolarmente protocollata agli atti dell'ufficio, e - come si legge nella stessa motivazione della sentenza impugnata - conteneva una specifica esortazione a “dare mandato al legale di fiducia della p.a. perché rigettasse l'istanza del C.G. in quanto ritenuta infondata, pretestuosa e truffaldina”. Gli imputati, dunque, avevano senz'altro paventato che la loro iniziativa sfociasse in conseguenti determinazioni da adottare in pregiudizio del querelante, ed era ragionevole ritenere che la stessa prospettiva di incaricare un legale comportasse l'adozione di delibere formali, esorbitanti dalle attribuzioni del primo cittadino.
È al contrario condivisibile la censura mossa dal P.g. ricorrente in punto di travisamento della prova: la nota con cui l'Avv. C. aveva invitato le controparti a riconoscere le proprie responsabilità ed a rifondere i presunti danni cagionati non era infatti quella iniziale, a seguito della quale gli imputati avevano compiuto le loro verifiche, bensì quella - abbondantemente successiva - conseguente alla presa d'atto da parte del querelante di ciò che lo S. e il N. avevano scritto sul suo conto. E, proprio perché risalente al 19/12/2009, quando invece la missiva al sindaco, asseritamente diffamatoria, era già stata spedita il 20/10/2009, è logicamente impossibile invocarne una valenza di ipotetico fatto ingiusto, strumentale all'applicazione dell'esimente prevista dall'art. 599 cod. pen..
Si impone pertanto l'annullamento della sentenza impugnata, nei termini di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la impugnata sentenza, con rinvio al Giudice di pace di Taranto.
30-04-2013 23:26
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