Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Penalista Trapani

Sentenza

Dopo aver avuto una lite con il proprietario del locale dove lavorava, lo riincontra fuori dal locale e lo invita a scendere dall'auto. Il datore di lavoro prende una pistola e gli spara.
Dopo aver avuto una lite con il proprietario del locale dove lavorava, lo riincontra fuori dal locale e lo invita a scendere dall'auto. Il datore di lavoro prende una pistola e gli spara.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 maggio - 9 luglio 2013, n. 29179
Presidente Giordano – Relatore La Posta

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 16.5.2011 il Gup del Tribunale di Torino, all'esito del giudizio abbreviato, esclusa la circostanza aggravante della premeditazione e la recidiva, riconosciute le circostanze attenuanti generiche valutate con giudizio di equivalenza rispetto all'aggravante dei futili motivi e ritenuta la continuazione, condannava A..B.  alla pena di anni diciassette e mesi quattro di reclusione ed Euro 600 di multa per il reato di omicidio volontario in danno di T.A. e per la detenzione ed il porto di una pistola, commessi il (omissis).
L'11.4.2012 la Corte d'assise d'appello di Torino, in parziale riforma della decisione di primo grado, escludeva la circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 1 cod. pen. e rideterminava la pena in anni quattordici di reclusione, eliminando anche la pena della multa, e confermava nel resto la sentenza impugnata.
L'imputato, gestore di una sala da biliardo, aveva avuto un'accesa discussione all'interno del locale con la vittima, T.A. il quale lavorava nel locale occupandosi della gestione delle scommesse. La lite era stata causata dalle ingiurie del T. nei confronti di un avventore del circolo a seguito delle quali il B.  aveva invitato il T. ad uscire dal locale; conclusa la lite grazie all'intervento di alcuni presenti, entrambi si erano allontanati dal circolo. Dopo poco (circa 40 minuti) i predetti, su richiesta della vittima, si erano ritrovati nei pressi del locale ciascuno a bordo della propria auto; il T.  , che era in compagnia della madre, era uscito dall'auto e si era avvicinato a quella dell'imputato il quale era sceso ed aveva sparato alla vittima anche alle spalle mentre tentava di allontanarsi.
2. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il B. , a mezzo dei difensori di fiducia.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione.
Rileva che, benché la Corte di appello abbia ricostruito correttamente il comportamento della vittima, sia nella prima che nella seconda fase della vicenda, evidenziando che il T. anche successivamente non aveva tenuto l'atteggiamento di chi intende chiedere scusa, tuttavia, con motivazione palesemente illogica ha ritenuto insussistente la provocazione. In maniera apodittica, invero, ha sostenuto che lo stato emotivo dell'imputato provocato dalla condotta della vittima era venuto meno soltanto dopo quaranta minuti. D'altro canto, al momento dell'incontro il T. aveva, comunque, avuto un atteggiamento di sfida come si evince dalla frase pronunciata per invitare il B.  a scendere dall'auto. Del resto, lo stato d'ira può consistere anche in un'alterazione emotiva che si protrae nel tempo e riferibile ad un fatto che si ponga in rapporto non immediato con la reazione, purché sia collegato ad un avvenimento prossimo ed idoneo a determinarla.
Il ricorrente contesta, altresì, la vantazione in ordine alla adeguatezza tra offesa e reazione, interpretata erroneamente dalla Corte di merito come proporzione e non come mera causalità psicologica tra offesa e reazione in modo da escludere la mera occasionalità tra le due condotte.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno, di cui all'art. 62 n. 6, cod. pen.. In specie, deduce che la madre della vittima vantava un danno soltanto morale, essendo autonoma sul piano economico; del resto, la stessa aveva accettato la somma versata dall'imputato a titolo di integrale risarcimento di tutti i danni derivati dalla morte del figlio.
Rileva che la legge non stabilisce parametri certi in ordine alla integrante del risarcimento, pertanto, il giudice deve, in primo luogo, fare riferimento alla valutazione della parte che può essere contraddetta soltanto in caso di palese sproporzione tra l'entità del risarcimento e ciò che viene ritenuto socialmente congruo, presupposto che non ricorre nella specie.
2.3. L'ultimo motivo deduce il vizio della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla dosimetria della pena.
Contesta, in particolare, il criterio della elevata intensità del dolo, trattandosi di dolo d'impeto e lamenta la limitata diminuzione per le circostanze attenuanti generiche, ancorché riconosciute per una pluralità di ragioni.

Considerato in diritto

1. È fondato il primo motivo di ricorso.
La valutazione degli elementi di fatto innanzi esaminati e della ricostruzione del fatto alla luce degli stessi è stata posta a fondamento del percorso argomentativo con il quale è stata esclusa l'attenuante della provocazione, ai sensi dell'art. 62 n.2 cod. pen..
Invero, la Corte di appello ha ritenuto infondate le doglianze in ordine alla attenuante della provocazione affermando che, se è vero che il violento pugno sferrato dal T. all'imputato costituiva un fatto ingiusto che aveva determinato al momento uno stato emotivo di intensa irritazione dell'imputato, tuttavia, tale stato era venuto meno al momento dell'azione criminosa intervenuta dopo almeno 45 minuti. Quindi, l'imputato si era ormai calmato, come dimostra la decisione di rientrare a casa e di tornare al locale solo dopo la seconda telefonata del T.  , essendo evidente che l'incontro mirava ad un chiarimento e ad una riconciliazione. Pertanto, al momento in cui aveva sparato era venuto meno lo stato d'ira, permanendo esclusivamente rancore e spirito vendicativo.
Tuttavia, deve rammentarsi che l'immediatezza della reazione, ai fini dell'integrazione dell'esimente della provocazione, deve essere intesa in senso relativo, avuto riguardo alla situazione concreta e alle stesse modalità di reazione in modo da non esigere una contemporaneità che finirebbe per limitare la sfera di applicazione dell'esimente in questione e di frustarne la ratio; ne deriva che per l'integrazione della provocazione è sufficiente che l'azione reattiva sia condotta a termine persistendo l'accecamento dello stato d'ira provocato dal fatto ingiusto altrui e che tra l'insorgere della reazione e tale fatto sussista una reale contiguità temporale, senza che occorra che la reazione si esaurisca in una reazione istantanea (Sez. 5, n. 8097 del 11/01/2007, rv. 236541; Sez. 1, n. 25119 del 17/06/2010, Gallus, rv. 247717).
Nella specie, gli argomenti posti a fondamento della esclusione dell'attenuante appaiono insufficienti e parzialmente in contraddizione con quanto affermato dalla Corte territoriale ai fini di l'insussistenza dell'aggravante dei motivi futili, tenuto conto che la condotta omicidiaria è stata commessa 45 minuti dopo il litigio. Infatti, è stato rilevato che, secondo quanto accertato, il comportamento tenuto dall'imputato all'interno del locale era stato del tutto legittimo, avendo invitato il T. ad allontanarsi dal locale per porre termine al violento contrasto tra questi ed un avventore; che, nonostante ciò il T. aveva sferrato un violento pugno al volto del B.  che al momento non aveva potuto reagire perché trattenuto dagli avventori del locale; che l'imputato “aveva ben ragione di essere risentito con il proprio collaboratore che...si rivoltò con violenza verso di lui umiliandolo davanti a tutti gli avventori”; che l'imputato, quindi, aveva vissuto l'episodio del pugno “con profondo disagio oltre che con elevata irritazione” (p. 19).
Pertanto, la Corte di appello non ha dato conto adeguatamente delle regioni della ritenuta mancanza di rapporto di causalità psicologica tra l'offesa innanzi descritta e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse.
2. Deve, invece, rilevarsi che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità quanto alla valutazione finalizzata alla riconoscibilità della circostanza attenuante del risarcimento del danno.
Invero, il risarcimento, ai fini della concessione dell'invocata attenuante, oltre che volontario, integrale ed antecedente al giudizio di primo grado, deve essere effettivo, nel senso che deve consistere in una reale e concreta elisione del pregiudizio economico arrecato dal reato, e deve essere integrale, comprensivo, quindi, della totale riparazione di ogni effetto dannoso. La valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice che può anche disattendere, con adeguata motivazione, finanche ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa. Infatti, come è stato affermato, la ratio della circostanza attenuante in oggetto fonda sulla rilevanza che l'avvenuto risarcimento del danno anteriormente al giudizio assume quale prova tangibile dell'avvenuto ravvedimento del reo e, quindi, della sua minore pericolosità sociale (Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, rv. 251508; Sez. 1, n. 11207 del 29/09/1994, Bellotti, rv. 199623).
Nella specie, è stato evidenziato che la somma di Euro 92.496, corrisposta dall'imputato alla madre della vittima, non rappresenta l'integrale riparazione del danno, ancorché, accettata dalla predetta, tenuto conto dello stretto rapporto di parentela, della convivenza e del legame particolarmente stretto tra la madre e la vittima, unico figlio.
3. Fondati devono ritenersi, altresì, ad avviso del Collegio, i denunciati vizi della motivazione in ordine alla dosimetria della pena.
La Corte territoriale non ha adeguatamente argomentato sul punto pur avendo inflitto una pena vicina al massimo edittale ed operato una diminuzione minima per le riconosciute circostanze attenuanti generiche.
La valutazione della particolare intensità del dolo non risulta coerente con le ragioni del litigio tra il ricorrente e la vittima indicate dalla stessa Corte di appello di cui si detto con riferimento alla provocazione.
Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Torino, limitatamente alla circostanza attenuante della provocazione ed alla determinazione della pena.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla attenuante della provocazione e alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Torino.
Rigetta nel resto il ricorso.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza