Chiede al vicino di spostare l'auto, ma gli sbattono la porta in faccia. Legittima a questo punto l'ingiurie ("sei una stronza").-
Cassazione penale sez. I
Data:
13/12/2012
Numero:
4691
Classificazione
INGIURIA E DIFFAMAZIONE - Ingiuria - - ritorsione -
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto - Presidente -
Dott. CAIAZZO Luigi Pietro - Consigliere -
Dott. ROMBOLA' Marcello - rel. Consigliere -
Dott. BONITO Francesco M. S. - Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) L.P. N. IL (OMISSIS);
2) A.A. N. IL (OMISSIS) C/;
avverso la sentenza n. 5144/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
14/10/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARCELLO ROMBOLA';
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mazzotta Gabriele
che ha concluso per l'annullamento della sentenza con rinvio per
nuovo giudizio alla Corte di Appello di Roma.
Udito per la parte civile l'avv.to Elisabetta Busnito che ha concluso
per l'accoglimento del ricorso;
Udito il difensore avv.to Aldo Fontanelli, che ha concluso per il
rigetto del ricorso e la conferma della sentenza.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza 14/10/11, pronunciata su rinvio della Corte di Cassazione (che il 4/3/11 aveva annullato precedente sentenza di assoluzione in appello del 25/1/10 dopo una pronuncia di condanna in primo grado del Tribunale di Roma del 17/5/06) la Corte di Appello di Roma assolveva A.A. dal reato di minaccia aggravata in danno di L.P. perchè il fatto non sussiste e da quello di ingiuria nei confronti della stessa L. per reciprocità (fatti avvenuti a (OMISSIS)).
La vicenda trovava origine in un diverbio inizialmente insorto tra l' A., vicino di casa della L. che aveva suonato alla porta del suo alloggio per chiedere di spostare un'autovettura mal parcheggiata che impediva il transito in prossimità del garage, e il compagno della donna, M.G.. Il diverbio era proseguito con la stessa L., cui l' A. secondo l'accusa rivolgeva minacce gravi ("ti sparo") e ingiurie non giustificate ("sei una stronza"). Seguiva una colluttazione tra il M. e l' A., che finiva per cadere dalle scale riportando lesioni. Per questa parte pendeva altro procedimento a carico del M., mentre l' A. era già stato assolto, per insussistenza del fatto, dall'ulteriore reato ascrittogli di violazione di domicilio.
Avverso la rinnovata assoluzione (da minacce e ingiurie) ricorreva per cassazione a mezzo del suo difensore (ai soli effetti civili) la parte civile L.P.. Premesso il proprio interesse ad impugnare nonostante l'intervenuta prescrizione dei reati e riepilogato lo sviluppo della vicenda processuale, deduceva: 1) vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento in capo all'imputato della responsabilità dei reati contestati di minaccia grave e di ingiuria (quanto al primo reato era stata ritenuta decisiva la teste C., domestica della L. che non aveva udito minacce, a preferenza delle concordi testimonianze in senso opposto della L. stessa e del M.; quanto al secondo reato la Corte di Appello, affermando che l' A. si era visto prima chiudere la porta in faccia dal M. ed era stato poi offeso dalla L., aveva letteralmente "inventato" un comportamento offensivo mai posto in essere dalla detta L.; sotto altro profilo lamentava che il giudice del rinvio avesse esorbitato dall'effetto devolutivo dell'appello dopo l'annullamento della cassazione, per il quale avrebbe dovuto limitarsi alla verifica dell'attendibilità della parte lesa e dei testi M. e C.; in ogni caso, in assenza di evidenze favorevoli all'imputato, il giudice avrebbe dovuto pronunciare la prescrizione dei reati contestati; 2) violazione di legge in ordine alla ritenuta causa di non punibilità derivante dalla presunta reciprocità delle offese. Chiedeva l'annullamento della sentenza (assolutoria) impugnata.
Con missiva 26/11/12 l' A. negava di avere mai offeso, ingiuriato e minacciato la L. (che in altro procedimento era stata condannata insieme col M. con sentenza 8/7/10 del Tribunale di Roma per violenza privata e lesioni volontarie in suo danno) e allegava la lettera di scuse inviatagli il 19/11/12 dalla stessa L. dopo la ritirata denuncia per un fatto analogo.
Alla pubblica udienza fissata per la discussione il PG chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Roma; la difesa della ricorrente parte civile chiedeva l'accoglimento del ricorso (depositava conclusioni scritte e nota spese); la difesa dell'imputato chiedeva il rigetto del ricorso con la conferma dell'impugnata sentenza.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, manifestamente infondato, è inammissibile (art. 606 c.p.p., comma 3).
Esso non individua errori di diritto, ma, con rilievi sostanzialmente di fatto (come tali estranei al giudizio in sede di legittimità), tende a sovrapporre le proprie valutazioni a quelle espresse, con congrua e corretta motivazione, dal giudice di merito.
La posizione in tema della giurisprudenza di legittimità è tradizionale e consolidata: "Alla luce della nuova formulazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dettata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non "manifestamente illogica", ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente "incompatibile" con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione" (così Cass., sez. 6^, sent. n. 10951 del 15/3/06, rv. 233708, imp. Casula).
Il giudice di appello che in sede di rinvio ha motivato l'assoluzione non è incorso in alcuno dei suddetti vizi. La sua motivazione è stata effettiva, logica, non internamente nè esternamente contraddittoria: precise e convincenti le dichiarazioni della teste (disinteressata) A.C., che in dibattimento ha escluso di aver sentito l'imputato proferire minacce; confermate invece le ingiurie alla L. ("brutta stronza vaffanculo"), ma proferite da soggetto, portatore di una giusta richiesta (di spostare l'auto che gli impediva l'accesso al garage), cui due volte era stata chiusa la porta in faccia (la prima dal M., la seconda dalla donna che, dopo aver riaperto, aveva cercato ancora di richiudere; poi il definitivo intervento del M. e la colluttazione tra i due uomini). L'offesa (non verbale) della L. si esprime nel suo atteggiamento offensivo. Le censure della ricorrente sono dunque di fatto, tendendo a sovrapporre le proprie valutazioni a quelle debitamente espresse dal giudice del rinvio, che, posto dopo l'annullamento della S.C. negli stessi poteri del giudice della sentenza annullata, ha compiutamente esaminato (sia pur sinteticamente) la fattispecie, valutando in particolare gli apporti testimoniali (tanto è vero che sulla base delle dichiarazioni della medesima teste C. ha ritenuto sussistenti, anche se non punibili, le ingiurie addebitate all' A.). Sono proprio le evidenze come sopra ritenute dal giudice che hanno escluso ai sensi dell'art. 129 c.p.p. una declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione (diversamente maturata il 13/3/11). Le considerazioni che precedono esauriscono entrambi i motivi di ricorso.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di un'adeguata sanzione pecuniaria (art. 616 c.p.p.).
PQM
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del processo e della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2013
08-04-2013 10:12
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