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Sentenza

Cedere gratuitamente hashish a minori è reato. Punita la circolazione non il profitto.
Cedere gratuitamente hashish a minori è reato. Punita la circolazione non il profitto.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 novembre – 12 dicembre 2013, n. 50112
Presidente Serpico – Relatore Citterio

Considerato in fatto

1. La Corte d'appello di Catania il 5.3.12 ha confermato la condanna di G..C. per reato ex art. 73.5 dPR 309/90, come deliberata dal Tribunale di Siracusa il 9.4.2009, per aver egli offerto a due ragazze minori degli anni quattordici sostanza stupefacente tipo hashish (fatto dell'agosto 2005). Già in primo grado l'imputato era stato assolto dall'accusa di violenza carnale in danno di una delle due minorenni, con trasmissione degli atti relativi alla madre della ragazza in ordine al possibile reato di calunnia. La donna era stata convivente del C. .
2. L'imputato ricorre a mezzo del difensore, enunciando cinque motivi:
- inutilizzabilità delle testimonianze di madre e figlia, che avrebbero dovuto rivestire la posizione di coindagate in reato connesso dopo la ritrattazione dell'originaria denuncia contro l'imputato; erroneamente la Corte distrettuale avrebbe giudicato mancare la prova della qualità di indagate, sì da ritenere applicabile solo l'art. 63.1 c.p.p. [il ricorso riproduce sul punto il contenuto dell'atto d'appello]. Quanto in particolare alla madre, la qualità di indagata sarebbe emersa dalle dichiarazioni del maresciallo F. all'udienza del 10.4.2008 (aveva denunciato la donna per favoreggiamento dopo la sua ritrattazione) e la falsità della denuncia sarebbe stata subito dichiarata dalla donna all'inizio delle sue dichiarazioni all'udienza del 7.6.2007. Conseguentemente la stessa avrebbe dovuto essere esaminata come teste assistita, ai sensi degli artt. 197 bis e 371.2 lett. B e.p.p.. La teste avrebbe poi dovuto essere avvisata della facoltà di astenersi dalla deposizione in ordine alla cessione di stupefacenti, non essendo la figlia acquirente persona offesa e stante la propria convivenza con l'imputato. Quanto alla figlia, questa era tredicenne all'epoca della denuncia, quindi inimputabile; comunque le sue dichiarazioni sarebbero inutilizzabili o nulle perché rese dopo richiami di pubblico ministero e presidente, certamente idonei ad influire sulla sua determinazione anche specificamente quanto alla contestata cessione dello stupefacente: in ogni caso sul punto la Corte d'appello non avrebbe risposto alla censura specifica di inattendibilità;
- "mancata commissione dei fatti": il ricorso in realtà riproduce sul punto (senza dichiararlo) il contenuto dell'articolato atto d'appello, censurando il mero richiamo della Corte distrettuale alla motivazione del primo Giudice e rinnovando le critiche di merito all'apprezzamento del contenuto delle deposizioni;
- "insussistenza del reato": erroneamente i Giudici del merito avrebbero ritenuto irrilevante la mancata effettiva disponibilità dello stupefacente e sufficiente la mera offerta anche gratuita, rilevando penalmente solo l'offerta in vendita e non anche l'offerta di procurare o di consegnare;
- eccessiva dosimetria della pena;
- illegittimità dell'applicazione dell'aumento di pena per essere state due le ragazze destinatane dell'offerta: non sarebbero persone offese (come argomentato dal Tribunale), la continuazione non sarebbe stata contestata, non sussisterebbe né concorso formale né concorso materiale essendo stata violata con una sola azione una sola disposizione di legge.

Ragioni della decisione

3. Il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.
Il primo motivo è infondato ed in realtà sostanzialmente inammissibile. È infondato in diritto perché la Corte d'appello si è attenuta all'insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo cui "se la persona informata dei fatti non aveva
- e non ha successivamente - acquisito la qualità di imputato o indagato, la disciplina dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni indizianti che quest'ultima abbia reso, quale prevista dall'art. 63 c.p.p. comma 2, non trova applicazione ma rimane;
- alla stregua del criterio dell'inutilizzabilità relativa, mirata a soddisfare il principio nemo tenetur se detegere - che tali dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese secondo il generale disposto dell'art. 63 c.p.p., comma 1" (Sez. 3, sent 16856/2010; SU, sent 23868/2009). Nella specie, l'affermazione della Corte distrettuale della mancanza di alcuna formale iscrizione di notizia di reato a carico della madre (p. 3) non risulta contraddetta specificamente (la notizia di reato inviata dai carabinieri, ma per favoreggiamento in favore dell'imputato, non risultando aver avuto seguito formale per iniziativa necessaria di autorità giudiziaria).
È poi inammissibile sul punto dell'attendibilità della minore nelle sue risposte dibattimentali, perché la Corte distrettuale ha specificamente argomentato il punto con motivazione (p. 3, 4 e 5 prima parte), sicché la censura attiene al merito ed è anche generica laddove non si confronta specificamente con i concreti passaggi argomentativi della Corte d'appello.
Ma sostanzialmente inammissibile nella sua interezza (e si tratta di osservazione che in definitiva travolge l'intera impostazione del ricorso quanto ai motivi che contestano l'avvenuta affermazione di responsabilità), laddove trascura ogni deduzione sul punto, invece determinante e quindi assorbente, che entrambe le sentenze di merito richiamano le affermazioni della seconda ragazza e di sua madre, anzi dalla reazione decisa di quest'ultima traendo argomento specifico per confermare l'attendibilità dell'offerta di stupefacente ad entrambe (sent. app. p. 4, 5 ultima parte, 6; p. 8 sent. Trib.). Sicché, in definitiva, manca alcuna deduzione sulla decisività dell'eccezione proposta ai fini della decisione.
Il secondo motivo è inammissibile perché si risolve in censure di merito a fronte di due convergenti apprezzamenti del materiale probatorio da parte dei Giudici dei primi due gradi di giudizio. Si è rilevato che il ricorso riproduce testualmente i corrispondenti motivi d'appello: ed è significativo che anche l'enunciazione dei due motivi indica locuzioni "di merito" che vengono solo asseritamente, e del tutto genericamente, ricondotte alle lettere B ed E dell'art. 606.1 c.p.p. con mero richiamo numerico. Come già insegnato da questa Corte suprema, sono inammissibili i motivi del ricorso per cassazione che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l'aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e non contengano l'indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (per tutte, Sez.6, sent. 8700/2013 e sent. 34521/2013). Così è nella fattispecie, atteso che viene richiesto al giudice di legittimità la diretta verifica dell'adeguatezza dell'apprezzamento dei due giudici del merito, senza alcun filtro ragionato (attento alle peculiari caratteristiche dei diversi e soli vizi della motivazione rilevanti a norma della lettera E dell'art. 606.1 c.p.p. ed alla necessità che, anche nel caso dell'omessa motivazione, sia specificamente indicata la ragione della decisività della deduzione di fatto rimasta senza risposta).
Il terzo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile perché diverso da quelli consentiti.
Innanzitutto, già SU sent. 9148/1991 insegnava che anche la cessione gratuita di stupefacente ha piena rilevanza penale; del resto, non solo pure la lettera dell'attuale art. 73 dPR 309/1990 non permette conclusioni diverse, ma anche risulta assorbente la considerazione sistematica che la ragione dell'incriminazione non è il profitto che si ricavi dalla gestione degli stupefacenti, bensì proprio e già la stessa loro messa in circolazione.
In secondo luogo, i Giudici del merito hanno spiegato in modo immune da alcuno dei soli vizi tassativamente rilevanti ai sensi della lettera E dell'art. 606.1 c.p.p. che l'imputato aveva una concreta permanente disponibilità di procacciamento immediato dello stupefacente e che la sua azione in nessun modo poteva avere quella funzione protettiva familiare asserita (sent. app. p. 5 ultima parte e 6 prima parte quanto al coinvolgimento della seconda ragazza; p. 6 seconda parte sulle qualità del soggetto presso il quale l'imputato aveva riferito alle ragazze di volerle condurre per il saggio di stupefacente; p. 9 sent. Trib. sull'uso effettivo e ripetuto di stupefacente da parte dell'imputato e la sua personalità anche giudiziaria). Il motivo si risolve pertanto su tali punti in mera sollecitazione ad apprezzamento diverso del materiale probatorio, precluso in questa sede.
Il quarto motivo è inammissibile perché diverso da quelli consentiti prospettando solo censure di merito.
Il quinto motivo è manifestamente infondato. L'imputazione contestava in fatto una duplice offerta, una per ciascuna delle due ragazze (risultando irrilevante la tematica della correttezza della loro qualificazione in termini di persone offese, contenuta nelle sentenze), che avrebbero ricevuto lo stupefacente per uso personale di ciascuna. Legittimo è pertanto l'aumento di pena applicato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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