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Sentenza

Carabinieri in borghese in un controllo ordinario tentano di fermare un'auto. Il conducente teme una rapina e fuggendo provoca la reazione dei militi che sparano e lo colpiscono alla colonna vertebrale rendendolo paraplegico.
Carabinieri in borghese in un controllo ordinario tentano di fermare un'auto. Il conducente teme una rapina e fuggendo provoca la reazione dei militi che sparano e lo colpiscono alla colonna vertebrale rendendolo paraplegico.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 giugno - 23 settembre 2013, n. 21716
Presidente Segreto – Relatore Lanzillo

Svolgimento del processo

R..B. ed i suoi genitori, A..B. ed R.B.I. , hanno proposto al Tribunale di Lecce domanda di risarcimento dei danni nei confronti del Ministero dell'Interno, del Ministero della Difesa e del maresciallo dei Carabinieri, G.Q. , a seguito di un incidente occorso in (omissis) il (omissis) , verso le ore tre del mattino.
In tale occasione il B.R. , di ritorno da una festa in casa di amici, si trovava come trasportato a bordo dell'autovettura condotta da G..M. , allorché l'auto è stata fermata da alcuni uomini in borghese e armati, che poi si è saputo essere carabinieri impegnati in un'operazione diretta a reprimere i furti d'auto.
Il conducente dell'automobile - nel timore di avere a che fare con malviventi - si è dato alla fuga ed il maresciallo G. ha esploso alcuni colpi di rivoltella contro l'auto in fuga, uno dei quali ha raggiunto R..B. alla spina dorsale.
Ne è derivata all'infortunato paraplegia spastica, con perdita funzionale dell'uso di entrambi gli arti inferiori.
Ne è seguito un processo penale a carico del G. e di altri, conclusosi con la condanna del primo per lesioni colpose gravissime.
Nel processo civile i convenuti si sono costituiti, chiedendo il rigetto delle domande.
Con sentenza n. 182/2004 il Tribunale di Lecce ha dichiarato carente di legittimazione passiva il Ministero della difesa ed ha condannato il G. ed il Ministero dell'Interno al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 1.580.415,00 in favore del B. ed in Euro 350.600,00 in favore dei genitori di lui, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Proposto appello principale dai danneggiati e incidentale dal Ministero dell'Interno e dal G. , con sentenza depositata il 6 marzo 2007 n. 140 la Corte di appello di Lecce ha condannato il Ministero a pagare le ulteriori somme di Euro 649.875,00 in favore dell'infortunato e di Euro 98.000,00 in favore dei genitori, oltre rivalutazione ed interessi, ed ha assolto il G. da ogni onere risarcitorio, ai sensi degli art. 22 e 23 d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, ritenendo di dover escludere l'addebito di colpa grave a carico dello stesso, al quale è subordinata la responsabilità civile diretta del pubblico dipendente nei confronti del terzo danneggiato. Ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.
Il B. ed i suoi genitori propongono dieci motivi di ricorso per cassazione.
Resiste il Ministero dell'Interno con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Deve essere preliminarmente respinta l'eccezione del resistente di inammissibilità del ricorso per cassazione, per essere stato proposto ricorso per revocazione contro la sentenza qui impugnata.
Il resistente non ha documentato in questa sede l'avvenuta proposizione della domanda di revocazione, ma la circostanza è confermata dai ricorrenti, che hanno depositato la loro comparsa di costituzione nel giudizio di revocazione. L'eccezione è comunque irrilevante poiché la mera proposizione della domanda di revocazione non sospende il giudizio di cassazione, così come non sospende il termine per proporre il ricorso (cfr. art. 398 ult. comma cod. proc. civ.). Solo l'accoglimento della domanda potrebbe giustificare la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione qualora si dimostri il sopraggiunto difetto di interesse a coltivare il ricorso medesimo (Cass. Civ. Sez. 3, 1 aprile 1999 n. 3111; Cass. Civ. Sez. 2, 12 novembre 2007 n. 23515).
Ma di ciò non vi è alcuna evidenza nel caso in esame.
2.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli art. 1226 e 1227 cod. civ. ed omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nel capo in cui la Corte di appello ha ritenuto non grave la colpa del maresciallo G. , sebbene questi abbia sparato vari colpi di arma da fuoco contro un'auto in fuga e contro comuni cittadini incolpevoli, venendo a colpire un soggetto trasportato, quindi privo di ogni responsabilità per la conduzione dell'automezzo.
Assumono che la decisione è anche in contrasto con le sentenze penali passate in giudicato, che hanno ritenuto il G. responsabile di lesioni gravissime, escludendo che egli potesse invocare la scriminante dell'uso legittimo delle armi.
Assumono che la suddetta, errata decisione ha influito sulla quantificazione dei danni, poiché anche il giudice civile deve tenere conto, nel procedervi, della gravità della colpa del danneggiante.
2.1.- Il motivo è inammissibile perché astratto, quanto alle denunciate violazioni di legge, e non fondato quanto agli asseriti vizi di motivazione.
È noto che l'interesse ad impugnare va apprezzato in relazione all'utilità concreta che deriva alla parte dall'eventuale pronuncia di accoglimento, non potendo esso esaurirsi nella mera, ipotetica prospettazione dei vantaggi che sarebbero potuti derivare al ricorrente da una diversa impostazione di principio, in mancanza di ogni concreto riferimento ai fatti ed alla realtà, tali da dimostrare quali riflessi pratici sarebbero potuti derivare da una diversa decisione (Cass. Civ. Sez. 2, 25 giugno 2010 n. 15353; Cass. Civ. Sez. 3, 12 settembre 2011 n. 18035, Cass. Civ. Sez. I, 10 aprile 2012 n. 5656, ed altre).
Nella specie non risulta, ed i ricorrenti non specificano, in che termini l'ipotetico accertamento della colpa grave del G. avrebbe potuto concretamente comportare l'incremento delle somme loro attribuite in risarcimento, a fronte della motivazione adottata dalla Corte di appello, la quale ha specificato che l'esclusione della colpa grave del G. non ha esplicato influenza sull'accoglimento delle domande proposte contro il Ministero; che il grado della colpa costituisce solo uno degli elementi di valutazione che il giudice deve tenere presenti nella liquidazione del danno e che nella specie non è stato determinante (cfr. sentenza, pag. 13).
Trattasi di valutazioni di merito, che costituiscono congrua e adeguata motivazione della decisione, considerata anche la notevole entità delle somme complessive, concretamente liquidate in favore dei danneggiati e considerato il fatto che la Corte di appello - pur avendo escluso la colpa grave del G. - ha incrementato del 25% la somma quantificata dal Tribunale in risarcimento del danno biologico (cfr. Sentenza, pag. 14 ss.).
Dalla motivazione della sentenza impugnata non risulta, pertanto, che sia derivato ai danneggiati alcun pregiudizio dalla diversa valutazione della colpa dell'autore materiale del fatto.
Né i ricorrenti hanno offerto alcuna concreta indicazione in tal senso.
3.- Il secondo motivo denuncia violazione degli art. 1223 e 2056 cod. civ., nonché omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per il fatto che la Corte di appello non avrebbe provveduto a liquidare il danno biologico "all'attualità", cioè sulla base delle tabelle in vigore nel 2007 (data in cui è stata emessa la sentenza di appello), attenendosi invece a quelle anteriori, adottate dal Tribunale.
Analoga censura è proposta con l'ottavo motivo, quanto alla somma liquidata in risarcimento dei danni morali ai genitori dell'infortunato.
3.1.- I due motivi - che vanno congiuntamente esaminati perché connessi - non sono fondati.
Non è nella specie applicabile il principio enunciato da Cass. Civ. 11 maggio 2012 n. 7272, secondo cui - qualora le "tabelle" applicate per la liquidazione del danno non patrimoniale cambino nelle more tra l'introduzione del giudizio e la sua decisione - il giudice (anche d'appello) ha l'obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione.
In base all'orientamento prevalente, infatti, il danno va liquidato con riferimento alla data del fatto e poi rivalutato all'attualità (Cass. Civ. Sez. 3, 1 marzo 2007 n. 4791). Equivalente a questo principio, ma di non obbligatoria applicazione, è l'altro principio, per cui la liquidazione va fatta all'attualità e la somma che ne deriva deve essere devalutata con riferimento alla data del fatto, al fine di calcolare quanto dovuto anno per anno a titolo di interessi compensativi sull'importo liquidato e via via rivalutato (Cass. Civ. S.U. 17 febbraio 1995 n. 1712, Cass. civ. Sez. 3 1 giugno 1004 n. 10489; Idem, 9 giugno 2004 n. 10967, ed altre).
I ricorrenti avrebbero potuto lamentare, quindi, non il mancato uso delle tabelle del 2007, ma solo il fatto che non vi è stata l'attualizzazione delle somme liquidate con riferimento alla data della decisione.
Tuttavia, interpretando la sentenza, questa Corte rileva che i giudici di appello hanno tenuto conto anche della rivalutazione spettante ai danneggiati, nel momento in cui hanno liquidato una somma ulteriore ed aggiuntiva rispetto a quelle attribuite ai danneggiati dal Tribunale, così personalizzando la liquidazione anche in considerazione della quantificazione del danno all'attualità.
4.- Il terzo motivo - che denuncia violazione degli art. 1223 e 2056 cod. civ., ed ancora omessa motivazione, con riferimento alla liquidazione dei danni morali, sul rilievo che essa non sarebbe stata parametrata all'effettiva gravità del fatto ed alla svalutazione - va respinto per le stesse ragioni esposte in relazione ai precedenti motivi.
5.- Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano violazione degli art. 2 Cost. e 2059 cod. civ., contraddittoria ed illogica motivazione, per avere la Corte di appello negato specifico ristoro del danno esistenziale, contravvenendo ai principi enunciati nelle sentenze n. 8827 e 8828 del 2003 della Corte di cassazione.
5.1.- Il motivo non è fondato.
La sentenza impugnata ha deciso in termini sostanzialmente conformi ai principi enunciati da questa Corte a sezioni unite, con sentenza 11 novembre 2008 n. 26972, secondo cui non è ammissibile nel nostro ordinamento l'autonoma categoria del "danno esistenziale" né è consentito procedere ad autonoma liquidazione delle suddette conseguenze pregiudizievoli, ma dei danni inclusi nell'ambito di tale categoria va tenuto conto nel determinare l'unica somma destinata a risarcire tutti i pregiudizi di carattere non patrimoniale concretamente patiti dalla vittima, tramite adeguata personalizzazione della somma complessivamente dovuta in risarcimento, rispetto a quella che risulterebbe dalla mera applicazione delle tabelle di liquidazione dei danni biologici e morali.
Resta quindi preclusa l'ammissibilità - all'interno dell'unica fattispecie risarcibile "danno non patrimoniale", di cui all'art. 2059 cod. civ. - del separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale, ecc.), con l'effetto di incorrere in duplicazioni risarcitorie, fermo restando l'obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l'incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di c.d. personalizzazione della liquidazione.
La Corte di appello ha per l'appunto incrementato del 25% anche la somma liquidata dal Tribunale in risarcimento dei danni morali, ed ha specificato che tale liquidazione copre anche i pregiudizi di carattere esistenziale (p. 15-16). Né l'entità delle somme così liquidate può considerarsi irrisoria, sì da giustificare sotto altro aspetto le censure dei ricorrenti (cfr. Cass. Civ. Sez. 3, 16 maggio 2003 n. 7632).
6.- Il quinto motivo denuncia contraddittoria ed illogica motivazione quanto alla liquidazione delle somme dovute in rimborso delle spese di cura che l'infortunato dovrà sostenere in futuro, sul rilievo che la somma attribuita a questo titolo sarebbe incongrua e non proporzionata a quella liquidata per le spese già sostenute.
Con il sesto motivo A..B. e R.B.I. , denunciando violazione degli art. 1223 e 2056 cod. civ. ed omessa motivazione, lamentano che la Corte di appello abbia loro negato il risarcimento dei danni patrimoniali subiti per aver dovuto chiedere il pensionamento anticipato allo scopo di poter accudire il figlio: situazione che ha prodotto anche notevoli danni esistenziali, per lo sconvolgimento delle precedenti abitudini di vita, che ne è derivato. Con il settimo motivo lamentano motivazione illogica e contraddittoria quanto all'importo dei danni morali ed esistenziali da essi personalmente subiti, che ritengono esiguo e non satisfattivo.
Con il nono motivo lamentano omessa motivazione sulla loro domanda di risarcimento dei danni biologici personalmente subiti, quale effetto della grave infermità del figlio.
7.- I suddetti quattro motivi sono tutti inammissibili, poiché - pur se presentati sotto il profilo della violazione di legge o dei vizi di motivazione - sollecitano in realtà un riesame degli accertamenti in fatto e delle valutazioni di merito in base ai quali la Corte di appello è pervenuta alla quantificazione delle varie voci di danno, con motivazione adeguata, che non presta il fianco a censure di illogicità od incongruenza, ed a fronte di una complessiva quantificazione delle somme dovute in risarcimento che non può certo considerarsi irrisoria (Cass. Civ. n. 7632/2003, cit.; Cass. Civ. Sez., Lav. 8 marzo 2006 n. 4980).
8.- Il decimo motivo denuncia ancora violazione degli art. 1223 e 2056 cod. civ., ed omessa motivazione, nel capo in cui la Corte di appello ha condannato il Ministero a corrispondere, sulle ulteriori somme liquidate al B. ed ai genitori, "rivalutazione e interessi come disposto dal primo giudice...". Rilevano che il Tribunale aveva concesso la rivalutazione delle somme dovute fino alla data della sua sentenza, emessa nel gennai del 2004, liquidando per il tempo successivo i soli interessi legali.
La Corte di appello avrebbe dovuto invece attualizzare le somme dovute e liquidare gli interessi sulle maggiori somme attualizzate, tenendo conto del tempo dell'appello e dell'eventuale ricorso per cassazione e giudizio di rinvio.
8.1.- Il motivo non è fondato.
Contrariamente a quanto assumono i ricorrenti la sentenza impugnata - se correttamente interpretata - da un lato ha inteso adeguare ed attualizzare le somme già liquidate e dell'altro lato non ne ha limitato l'adeguamento con riferimento a date diverse da quella della decisione. Ha solo richiamato i criteri di quantificazione indicati dal Tribunale, fermo restando che essi vanno applicati anche per il tempo trascorso fino alla decisione definitiva della vertenza.
Quanto agli interessi, la sentenza di appello - nel riferirsi ai criteri indicati dalla sentenza di primo grado, la quale ha a sua volta richiamato i principi enunciati dalla Corte di cassazione a sezioni unite, con sentenza 17 febbraio 1995 n. 1712, già sopra citata - ha correttamente liquidato gli interessi compensativi sulla somma devalutata alla data del fatto e poi rivalutata anno per anno, fino alla decisione definitiva, a seguito della quale gli interessi sono dovuti come interessi moratori e quantificati nella misura legale, a seguito dell'intervenuta, definitiva trasformazione del debito di valore in debito di valuta.
9.- Il ricorso deve essere respinto.
10.- Considerata la natura della controversia, la drammaticità dell'accaduto e le oggettive difficoltà insite nella quantificazione dei gravi danni subiti dall'infortunato e dai suoi familiari, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Avv. Antonino Sugamele

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