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Sentenza

Bancarotta: la difesa invoca il ne bis in idem richiamando l'efficiacia di una sentenza passata in giudicato per il reato di truffa. No all'applicazione del 649 cpp perchè non vi fu alcun spostamento monetario, ma solo fittizio.
Bancarotta: la difesa invoca il ne bis in idem richiamando l'efficiacia di una sentenza passata in giudicato per il reato di truffa. No all'applicazione del 649 cpp perchè non vi fu alcun spostamento monetario, ma solo fittizio.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 gennaio - 1° agosto 2013, n. 33363
Presidente Zecca – Relatore Micheli

Ritenuto in fatto

1. Il 15/07/2010, la Corte di Appello di Roma riformava parzialmente la sentenza di condanna emessa dal Tribunale della stessa città il 01/06/2009, nei confronti di M.M. e D.M. , dichiarati colpevoli in primo grado del delitto di bancarotta fraudolenta (in relazione al fallimento della Clevis Consultant s.r.l., dichiarato l'(omissis) ) con riguardo alla presunta distrazione di un appartamento che risultava essere stato ceduto al D. senza corrispettivo, nonché alla somma di 120 milioni di lire, indicata in bilancio come finanziamento del M. e di cui era stata disposta la restituzione al medesimo. La Corte territoriale, con riferimento alla vendita dell'immobile, rilevava che era già intervenuta una sentenza nei confronti degli imputati, cui era stato contestato il delitto di truffa proprio per avere simulato quel contratto: pur essendovi stata una differente qualificazione giuridica, doveva perciò trovare applicazione la norma di cui all'art. 649 cod. proc. pen.. Quanto alla vicenda della somma che si assumeva distratta, i giudici di secondo grado segnalavano che il D. non vi aveva preso parte, mandandolo così assolto; riducevano al contempo l'importo penalmente rilevante anche per il coimputato, sul presupposto del non esservi stato pregiudizio di sorta per i creditori della società in relazione a 45.000.000 di lire, destinati legittimamente a D.S. per trattamento di fine rapporto e retribuzioni non corrisposte. Del residuo, la Corte considerava sine titulo la restituzione al M. in quanto egli non era mai stato socio della Clevis Consultant, ed in ogni caso - quand'anche lo fosse stato - non vi sarebbe stata ragione giuridica lecita perché il M. ottenesse la ripetizione di ciò che, stando alle scritture contabili, aveva comunque versato a fondo perduto.
2. Propongono ricorso per cassazione i difensori del M. , lamentando violazione dell'art. 649 cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
La tesi difensiva è che tutte le ipotesi di distrazione contestate all'imputato dovessero ritenersi coperte dal precedente giudicato (che, come ricordato, si riferiva alla presunta) truffa correlata alla simulazione della cessione dell'immobile al D. ), in quanto anche la somma di 65.000.000 di lire oggetto della restituzione al M. proveniva dal prezzo di vendita di quel bene, come comprovato dalle scritture contabili e dal verbale di assemblea ordinaria relativo all'approvazione del bilancio al 31/12/1997. In particolare, dalla nota integrativa al bilancio in questione emergerebbe che esistevano poco più di 136 milioni di lire per risconti attivi, da correlare agli acconti versati per la vendita dell'immobile (il residuo prezzo, su un totale di 207.500.000 lire, era costituito dall'accollo del mutuo residuo da parte del compratore).

Considerato in diritto

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Secondo la difesa, la Clevis Consultant s.r.l. alienò al D. un immobile sito in (omissis) , al prezzo di 207.500.000 lire, e la documentazione in atti comproverebbe che l'acquirente si accollò il mutuo gravante sul bene in argomento, per l'ammontare di 71.400.851 lire, versando alla venditrice la differenza di 136.099.149 lire: da quest'ultima somma, entrata materialmente nella disponibilità della società poi fallita, vennero prelevati i 65.000.000 di lire restituiti al M. a seguito del precedente finanziamento soci a fondo perduto.
In realtà le cose non stanno affatto così, proprio in base a quanto accertato con la sentenza irrevocabile che la difesa oggi richiama per invocare il ne bis in idem. Nella fattispecie concreta, l'art. 649 del codice di rito ha trovato applicazione su una;parte della originaria contestazione: si assumeva infatti la distrazione, in pregiudizio dei creditori della Clevis Consultant, di quell'appartamento e della somma di 120 milioni di lire, ma quanto all'immobile l'addebito era stato già ascritto al M. ed al D. quale ipotesi di truffa, sul presupposto che la vendita fosse stata simulata.
È di immediata evidenza, pertanto, che se simulazione vi fu (tanto da esservi stata in proposito una sentenza passata in giudicato) non venne realizzata in concreto alcuna alienazione, e dunque non venne versato dai compratore alcun corrispettivo. Se la vendita fosse stata reale, invece, il P.M. avrebbe qui contestato la distrazione non già dell'appartamento, bensì della somma che era stata corrisposta dall'acquirente: e solo in quel caso si sarebbe posto il problema della possibile sovrapponibilità totale o parziale, rispetto a quell'importo, dei 120 milioni di cui alla seconda parte del capo d'imputazione.
A nulla rileva la circostanza che le scritture contabili od i verbali di assemblea indicassero una realtà diversa, dando atto che i 65 milioni di lire restituiti al M. provenivano dagli acconti versati dal compratore (che poi acconti non sarebbero stati, trattandosi dell'apparente saldo rispetto all'accollo del mutuo; va peraltro rilevato che, su una distrazione di rimanenze ipotizzata per 120 milioni ed a (fronte di una giustificazione per 45, la differenza farebbe 75 e non 65): se il presupposto logico - e, si ribadisce, giuridicamente accertato - della distrazione per cui è intervenuta condanna è che si trattò di vendita simulata, nel bilancio della società fallita vennero ovviamente inserite appostazioni mirate a dare apparente effettività alla cessione del bene a titolo oneroso. Appostazioni, dunque, difformi dal vero e che oggi è irragionevole invocare a sostegno della ricostruzione dei fatti.
3. La declaratoria di rigetto comporta, in ossequio al dettato di legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, e Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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