Agrigento.Madri lasciano soli a casa, per oltre un'ora i figli di 7, 6, 4 e 2 anni. E' abbandono di minorenni
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 febbraio – 6 maggio 2013, n. 19327
Presidente Ferrua – Relatore Lapalorcia
Ritenuto di fatto
1. Il tribunale di Agrigento, con sentenza 29-9-2009, dichiarava S. e D.P. responsabili del reato di abbandono di minori e le condannava alla pena di legge. La cognata di una delle due imputate aveva sollecitato l'intervento delle forza dell'ordine presso l'abitazione della prima, dove erano stati trovati, soli in casa, i quattro figli minori delle stesse e dove queste ultime avevano fatto rientro dopo circa mezz'ora.
2. La corte di Appello di Palermo confermava tale decisione in data 1-3-2012.
3. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso le imputate con unico atto a firma dell'avv. S. Collura, chiedendono la 'revoca'.
4. 1 vizi dedotti sono, con il primo motivo, di manifesta illogicità dell'iter argomentativo seguito e, con un secondo motivo, di violazione dell'art. 591 cod. pen. da un lato per difformità tra il fatto contestato e quello accertato (il luogo era risultato Agrigento, invece di Siculiana), dall'altro per difetto dell'elemento oggettivo del reato, rappresentato dall'effettivo pericolo per l'integrità fisica dei minori, trattandosi, almeno per la dottrina e per una parte della giurisprudenza di legittimità, dl reato di pericolo concreto.
Considerato in diritto
1. Il ricorso comune alle due imputate è inammissibile.
2. Esso è infatti aspecifico laddove lamenta genericamente manifesta illogicità dei percorso argomentativo della sentenza impugnata, manifestamente infondato laddove ascrive a quest'ultima violazione della norma incriminatrice sotto due distinti profili.
3. Invero, come già puntualmente osservato dalla corte del territorio, non ricorre difformità tra il fatto contestato e quello accertato dal momento che, per quanto l'abitazione della ricorrente S.P., dove erano stati lasciati i minori, sia risultata sita in Agrigento invece che in Siculiana - località, quest'ultima, erroneamente indicata nell'imputazione -, non è ravvisabile alcuna: menomazione del diritto di difesa emergendo chiaramente dai capo d'accusa, con piena possibilità, dunque, di collocare il fatto nello spazio, che il luogo di commissione del reato era rappresentato dall'abitazione di S.P.. L'erronea indicazione della località geografica è quindi improduttiva di conseguenze giuridiche sul requisito dell'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto (Cass. 6276/1996, 6044/1999, 12149/2005),
4. Sotto il profilo dell'elemento materiale del reato, è di visibile inconsistenza l'addebito di violazione di legge mosso alla sentenza, facendo leva, sul presupposto di un indirizzo di questa corte che esige la concretezza crei pericolo, sull'assenza, nella specie, di un pericolo concreto per i minori dato il brevissimo lasso di tempo nel quale erano stati lasciati soli.
5. Per quanto la sentenza non abbia approfondito ex professo la relativa tematica, va ricordato che la fattispecie penale, intesa alla tutela della vita e dell'integrità fisica di persone incapaci di provvedere a se stesse - incapacità presunta in caso di infraquattordicenne -, è, per consolidato orientamento di legittimità, reato di pericolo, essendo quindi sufficiente l'esposizione dell'incapace, e in particolare del minore, ad una situazione di pericolo, anche solo potenziale, per la sua incolumità (Cass. 19476/2010, 15147/2007, 15245/2005, 10126/1995).
6. Ciò posto, si osserva che, nel caso in esame, risulta dalla sentenza di primo grado, la cui motivazione integra quella di appello in virtù del generale canone ermeneutico della congiunta valutazione delle due sentenze di merito ai fini del vaglio di congruità e completezza della motivazione, che i quattro minori, rispettivamente di 7, 6, 4 e 2 anni, erano stati esposti a concreto pericolo, essendo l'abitazione in cui si trovavano soli in orario serale, sita al terzo piano dello stabile, con l'accesso al balcone aperto e una candela accesa in cucina. Né gioca a favore delle ricorrenti l'asserita brevità dei lasso temporale dell'abbandono, dal momento che esse fecero comunque rientro, dopo mezz'ora, soltanto perché contattate telefonicamente dalle forze dell'ordine che erano intervenute su sollecitazione dl una parente, recatasi a trovare i nipoti almeno mezz'ora prima, con conseguente assenza da casa delle imputate per oltre un'ora.
7. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi seguono le statuizioni di cui all'art. 616 cod. proc. pen. determinandosi in € 1000, in ragione della natura delle doglianze, la somma dl spettanza della cassa ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1000 in favore della Cassa della Ammende.
Dispone l'oscuramento dei dati identificativi.
06-05-2013 22:35
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