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Sentenza

Accusati di avere sparato con un calibro 12 dal proprio balcone. 22 anni in primo grado, 18 in secondo. La Cassazione annulla: manca una ricostruzione complessiva della vicenda omicidiaria.
Accusati di avere sparato con un calibro 12 dal proprio balcone. 22 anni in primo grado, 18 in secondo. La Cassazione annulla: manca una ricostruzione complessiva della vicenda omicidiaria.
Cassazione penale  sez. I   
Data:
    10/01/2013 ( ud. 10/01/2013 , dep.25/02/2013 ) 
Numero:
    8995

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. BARDOVAGNI Paolo         -  Presidente   -                     
    Dott. VECCHIO    Massimo       -  Consigliere  -                     
    Dott. CAIAZZO    Luigi P. -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. ROMBOLA'   Marcello      -  Consigliere  -                     
    Dott. TARDIO     Angela        -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
    PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI CATANZARO; 
    nei confronti di: 
           G.V. N. IL (OMISSIS); 
    inoltre: 
           G.V. N. IL (OMISSIS); 
    PARTE CIVILE NON RICORRENTE; 
    avverso la sentenza n. 29/2010 CORTE ASSISE APPELLO di CATANZARO, del 
    30/06/2011; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 10/01/2013 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. LUIGI PIETRO CAIAZZO; 
    Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mazzotta Gabriele, 
    che   ha  concluso  per  l'annullamento  con  rinvio  della  sentenza 
    impugnata. 
    Sentiti  i  difensori avv. Gaito Alfredo del foro  di  Roma,  e  avv. 
    Piattelli Giancarlo del foro di Catanzaro. 
                     


    Fatto
    RILEVATO IN FATTO

    G.S.R. e i suoi figli G.B. e G. V. sono stati imputati dei seguenti delitti commessi, in concorso tra loro, in (OMISSIS):

    -A) omicidio premeditato e commesso per futili motivi in danno di C.G., attinto alla testa e al collo da un colpo di fucile sparato con un fucile cal. 12 da G.V., appostato su un edificio in costruzione; con G.S.R. e G. B. nel ruolo di istigatori e rafforzatori del proposito criminoso;

    - B) omicidio premeditato e commesso per futili motivi in danno di Cr.An. (cognato del C.), attinto alla gamba da un colpo di fucile sparato da G.V. dalla postazione di cui al capo A); subito dopo G.S.R. accompagnava G. V. in auto in luogo opposto rispetto alla postazione di sparo di cui al capo A), da dove G.V., armato di un fucile cal. 16, e G.S.R., armato di una pistola cal. 9, esplodevano diversi colpi all'indirizzo di Cr.An. e T.A. senza attingerli; G.B., dalla postazione di cui al capo A), sparando con un fucile cai. 16, attingeva Cr.An. in parte vitale del corpo, mentre lo stesso si avvicinava alla postazione di sparo di G.B. per evitare i colpi esplosi dall'opposta direzione da G.V. e G.R.S.;

    - C) tentato omicidio premeditato e commesso per futili motivi in danno di T.A. con la condotta di cui al capo B), e successivamente esplodendo colpi di fucile cal. 16 all'indirizzo del predetto che a bordo della propria auto si stava dando alla fuga;

    - D) porto illegale di due fucili cal. 16 e di una pistola cal. 9.

    G.S.R. e G.B. hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato, mentre G.V. è stato giudicato con rito ordinario dalla Corte di assise di Catanzaro che, con sentenza in data 22.6.2010, esclusa l'aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante della premeditazione, lo ha condannato per tutti i suddetti reati uniti dal vincolo della continuazione alla pena di anni 22 di reclusione.

    Con sentenza in data 30.6.2011 la Corte di assise d'appello di Catanzaro, in riforma della suddetta sentenza appellata da G. V. e dal Procuratore generale, assolveva l'imputato dal delitto di tentato omicidio di cui al capo C) perchè il fatto non sussiste e, esclusa l'aggravante della premeditazione, rideterminava la pena in anni 18 di reclusione.

    Il fatto è stato ricostruito nel modo seguente dalla sentenza della Corte di assise d'appello di Catanzaro.

    Verso le ore 8,10 del 18.2.2008 T.A. si presentava ai Carabinieri di Serra San Bruno e denunciava che una decina di minuti prima, nella vicina località (OMISSIS), era rimasto vittima, insieme ai suoi amici C.G. e Cr.An., di un agguato teso loro da G.V., da G.S.R. e da G. B. nel corso del quale i suoi amici erano stati feriti con colpi di armi da fuoco.

    I militari si portavano prontamente sul posto indicato - uno spiazzo e una stradella sterrati paralleli alla (OMISSIS) - e, come prima scena, vedevano G.B. che entrava e usciva dalla propria abitazione urlando che il padre stava male; G.S. R., in effetti, si lamentava disteso per terra e aveva accanto, appoggiato per terra, un fucile a canne parallele Lorenzotti cal. 16.

    Nello spiazzo vi erano Cr.An., ormai senza vita, e C. G. gravemente ferito alla testa (lo stesso decedeva in ospedale qualche ora dopo). In luogo vi era un fabbricato in costruzione, di proprietà dei G., il cui ingresso era sulla (OMISSIS), mentre il retro affacciava sullo spiazzo sterrato.

    All'interno del suddetto fabbricato venivano rinvenuti due bossoli di colpi esplosi cal. 16, a poca distanza dall'ingresso, e altri due analoghi bossoli, sulla piattaforma del balcone che affacciava sullo spiazzo, nonchè due cartucce inesplose in un locale adibito a deposito attrezzi. Sulla (OMISSIS) venivano rinvenuti tre bossoli di colpi cal. 9 Luger e una cartuccia inesplosa a pallini cal. 12 Rottweil.

    Nell'abitazione dei G. venivano sequestrati un revolver Smith &

    Wesson cal. 9 Luger e sei cartucce inesplose cal. 16.

    C. risultava colpito da un unico colpo da distanza superiore a dieci metri con direzione del colpo dall'alto verso il basso;

    Cr. era stato attinto da tre colpi a rosata da una distanza inferiore a dieci metri con direzione dall'alto verso il basso.

    Nel corso del giudizio d'appello veniva acquisita la sentenza in data 18.6.2010 del GUP del Tribunale di Vibo Valentia nei confronti di G.S.R. e G.B., divenuta definitiva a seguito della sentenza della Corte di assise d'appello di Catanzaro in data 18.6.2010, con la quale i predetti erano stati giudicati per gli stessi reati addebitati nel presente processo a G.V..

    I giudici dell'appello prima sintetizzavano la dinamica dei delitti come ritenuta dal giudice di primo grado: G.V. aveva sparato con il fucile cal. 16 in sequestro (unico fucile rinvenuto in possesso dei G.), dal balcone del fabbricato in costruzione, un primo colpo che aveva attinto alla testa il C. e un secondo colpo che aveva attinto alla gamba il Cr.; il predetto G., dopo essersi spostato all'incrocio tra la stradella sterrata e (OMISSIS), aveva poi sparato contro Cr. e T., attingendo il primo alle spalle con due colpi, e infine contro T. che era riuscito a raggiungere la sua auto e darsi alla fuga. Sintetizzavano anche le dichiarazioni rese dal T.:

    aveva fermato la sua auto, mentre si trovava insieme ai suoi amici C. e Cr., vicino a una baracca in legno e muratura; si erano diretti a piedi verso un cancello, quando aveva visto G. V., sul balcone del primo piano del fabbricato in costruzione, sparare con un fucile verso di loro; un primo colpo aveva raggiunto il C. alla testa e un secondo il Cr. a una gamba; con il Cr. che zoppicava era ritornato nella sua auto, l'aveva avviata ma ne erano subito discesi per ripararsi dai colpi che G.V. - accanto al quale era sopraggiunto il padre - stava sparando contro di loro da altra posizione; Cr. era poi scappato nella direzione dove si trovava il C. steso a terra ed egli, a quel punto, l'aveva perso di vista; aveva perso di vista anche G. V., ma aveva sentito che lo stesso pronunciava la frase "spara B., spara B."; era risalito in macchina percorrendo a ritroso la stradella sterrata al fine di imboccare (OMISSIS); mentre era intento a svoltare sulla destra per imboccare detta via in direzione del centro abitato, aveva visto sopraggiungere, dalla sinistra, G.V. che stava sparando con una pistola.

    La Corte di assise d'appello riteneva accertato, alla stregua delle prove raccolte, che i colpi che avevano attinto C. e Cr.

    fossero stati sparati con il fucile in sequestro da una stessa persona e riteneva attendibile il racconto del T., con riferimento all'omicidio del C. e del Cr., nonostante fosse emerso che il T. nutriva motivi di risentimento nei confronti di G.V..

    Prendendo in esame la sentenza sopra indicata con la quale per gli omicidi in questione era stato condannato G.S.R., sulla base della sua confessione, e assolto G.B., riteneva comunque attendibile la versione del T., anche perchè avvalorata da riscontri oggettivi (due colpi erano stati effettivamente sparati dal balcone ed effettivamente era risultato che gli spari provenivano dal fucile in sequestro). Per contro, il racconto di G.S.R. appariva smentito da risultanze oggettive, avendo il predetto dichiarato di aver sparato due colpi contro C. e due colpi contro C., mentre era pacifico che quest'ultimo era stato attinto da tre colpi e il C. da un unico colpo.

    La Corte di assise d'appello assolveva, però, l'imputato dal delitto di tentato omicidio nei confronti del T.. Secondo il racconto di costui, la condotta di G.V. - con riguardo al tentato omicidio - si sarebbe svolta in due distinte frazioni temporali: la prima, quando l'imputato avrebbe sparato contro T. e Cr., e la seconda quando con una pistola avrebbe sparato contro il solo T. che fuggiva in macchina.

    Quanto alla prima frazione, non era credibile che G.V. avesse diretto la sua azione contro entrambi, poichè nè il T. nè la sua auto risultavano colpiti; era quindi logico ritenere che i colpi fossero stati diretti solo contro il Cr..

    Quanto alla seconda frazione, appariva inconciliabile con l'esplosione di colpi contro il T. il fatto che l'auto in cui lo stesso si trovava non fosse stata nemmeno scalfita da colpi di arma da fuoco.

    Infine, riteneva di non poter riconoscere all'imputato l'attenuante della provocazione e rideterminava la pena partendo dalla pena base per l'omicidio del C. di anni 22, ridotta ad anni 14 e mesi 8 ex art. 62 bis c.p,, aumentata ad anni 17 e mesi 8 per l'omicidio del Cr., ulteriormente aumentata di mesi 4 per il porto illegale delle armi.

    Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica e i difensori di G.V..

    Il Procuratore generale della Repubblica ha chiesto l'annullamento della sentenza nella parte in cui ha assolto G.V. dal tentato omicidio in danno di T.A..

    Secondo il ricorrente, i giudici di secondo grado avevano ritenuta decisiva, per smentire la versione del T., la circostanza che l'autovettura del predetto, nella prima frazione temporale, non fosse stata neppure scalfita dai colpi che aveva sparato l'imputato contro il Cr. e il T..

    Detti giudici non avevano però tenuto conto del fatto che il T. aveva dichiarato che, raggiunta la sua auto insieme al Cr., aveva spostato la stessa, con una breve marcia indietro, dal luogo in cui era stata parcheggiata (accanto alla parete di una casetta rurale), ma era subito dovuto scendere dall'auto, insieme al Cr., per ripararsi dai colpi che sparava il G..

    I colpi sparati contro Cr. e T., a causa del suddetto spostamento dell'auto, avevano attinto la casetta rurale, come dimostrato dal fatto che erano stati rinvenuti quattro panettoni nella parete della stessa (tre conficcati nelle travi in legno e uno nella parte in muratura). Anche per quanto riguarda la seconda frazione temporale (fuga del T. in macchina), il fatto che l'autovettura guidata dal T. non fosse stata attinta dai colpi sparati dall'imputato trovava una logica spiegazione nelle dichiarazioni rese dallo stesso T., il quale aveva precisato che, quando l'imputato stava venendo dalla sinistra sparando, egli aveva subito svoltato a destra in (OMISSIS), verso il centro abitato, e per questo non era stato colpito.

    La presenza dell'imputato che sparava con una pistola nel luogo indicato dal T. era riscontrata dal rinvenimento in (OMISSIS) di tre bossoli cal. 9 Luger e da una cartuccia inesplosa cal. 12.

    La difesa dell'imputato ha chiesto l'annullamento della sentenza per illogicità manifesta ed inosservanza di regole codicistiche a pena di invalidità in tema di valutazione della prova. Con motivazione illogica la sentenza impugnata aveva ritenuto attendibile il racconto di T.A., con riguardo ai due omicidi, e inattendibile lo stesso con riguardo al tentato omicidio, poichè non aveva considerato che almeno la prima fase del tentato omicidio coincideva con l'uccisione del Cr.', e quindi il racconto del T., relativo alle medesime circostanze, non poteva essere definito nello stesso tempo attendibile e inattendibile. Non aveva inoltre considerato che non poteva costituire un riscontro al racconto del T. il fatto che fosse stata impiegata un'unica arma utilizzata da un'unica mano omicida, poichè la stessa circostanza riscontrava anche la confessione resa da G.S.R.. La sentenza impugnata irragionevolmente aveva affermato che le due decisioni (quella della Corte di assise di Catanzaro che aveva condannato G.V. e quella del GUP del Tribunale di Vibo Valentia che per gli stessi omicidi aveva condannato G.S.R.), pur muovendo dal dato pacifico che i colpi mortali erano stati sparati dalla medesima arma e da una medesima persona, solo apparentemente risultavano contraddittorie e inconciliabili quanto all'individuazione dell'autore del duplice omicidio.

    Inoltre, non era stato considerato che, per il disposto dell'art. 238 bis c.p.p., le sentenze irrevocabili costituiscono prova dei fatti considerati come eventi storici e, in ogni caso, non erano stati presi in considerazione gli elementi posti a carico di G. S.R. dalla sentenza divenuta definitiva, primo fra tutti i risultati dell'esame dei residui da sparo, rinvenuti in abbondanza sulla persona di G.R.S. e in minime tracce sugli abiti indossati da G.V., tracce queste che dovevano spiegarsi con il contatto che l'imputato aveva avuto con il padre.

    La sentenza impugnata non si era fatta carico di confutare il capitolo della sentenza divenuta definitiva intitolato "l'inattendibilità di T.A.", dal quale risultava che il predetto aveva parlato dell'utilizzo di due o tre fucili; aveva mostrato incertezze sul posizionamento della propria auto; aveva descritto ad una canna il fucile utilizzato dal soggetto che sparava dal balcone, mentre l'arma era una doppietta.

    In via subordinata, il ricorrente ha sostenuto che erroneamente la Corte di assise d'appello non aveva riconosciuto all'imputato l'attenuante della provocazione e che, contraddicendo le sue stesse premesse, non aveva inflitto il minimo della pena.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    Il ricorso è fondato.

    La sentenza impugnata ha ricostruito la prima parte della vicenda basandosi sulle dichiarazioni di T.A., il quale aveva riferito che, mentre con i suoi amici stava percorrendo lo spiazzo antistante all'edificio in costruzione di proprietà della famiglia G., aveva visto G.V. su un balcone del primo piano che esplodeva due colpi di fucile, il primo dei quali aveva attinto C.G. alla testa e il secondo Cr.An. ad una gamba. Questa dinamica risultava confermata, secondo la sentenza impugnata, dai due bossoli esplosi rinvenuti nel balcone suddetto, risultati sparati dal fucile marca Lorenzetti calibro 16; dalle ferite riportate dal C. e dal Cr.; dalla direzione dei colpi, risultati con andamento dall'alto verso il basso.

    La Corte di assise d'appello non ha invece ritenuto attendibile la seconda parte della vicenda, così come narrata dal T., il quale aveva riferito che, dopo i primi due colpi esplosi dall'imputato, egli e il Cr. si erano rifugiati nell'autovettura con la quale erano giunti sul posto; ne erano dovuti però subito discendere, per ripararsi dai colpi che G.V., affiancato da suo padre, stava sparando contro di loro da altra posizione; il Cr. si era allontanato ed egli T., dopo essere risalito in macchina, era riuscito a fuggire, sebbene inseguito da G.V. che gli sparava contro con un'arma che gli era sembrata una pistola. Secondo la Corte di merito, deve ritenersi poco credibile che l'imputato abbia ripetutamente diretto i colpi prima contro Cr. e T. (i quali si erano rifugiati all'interno dell'auto e poi si erano riparati dietro la stessa) e successivamente contro quest'ultimo (che si era posto alla guida della sua auto e stava fuggendo), senza che lo stesso T. nè la sua auto siano stati mai colpiti dai ripetuti colpi di fucile e di pistola sparati dall'imputato.

    Anche la difesa dell'imputato ha messo in evidenza nei motivi di ricorso l'inattendibilità della versione resa dal T., con riguardo alla seconda parte della vicenda, poichè nello spiazzo - nonostante la ferita alla gamba del Cr. - non erano state rinvenute tracce ematiche di trascinamento, nè tracce ematiche erano state rinvenute all'interno dell'autovettura dove, secondo il T., il Cr. in un primo momento si sarebbe rifugiato.

    Ritenuta inattendibile la versione del T., con riguardo alla seconda parte della vicenda, la Corte di assise d'appello non ha tratto la logica conseguenza di mettere in discussione ed esaminare non solo le circostanze relative al tentato omicidio nei confronti del T., ma anche le circostanze nelle quali il Cr. è stato attinto da ulteriori due colpi di fucile, colpi che la sentenza impugnata non spiega in quali circostanze sarebbero stati esplosi dall'imputato, e neppure da quale posizione sono stati esplosi, dovendosi peraltro considerare che, come riportato nella stessa sentenza (pag. 6), tutti i colpi che hanno attinto il Cr.

    risultano con direzione dall'alto verso il basso.

    Non è logicamente appagante, per attribuire l'omicidio del Cr.

    all'imputato, il solo fatto che i quattro colpi che hanno attinto il C. e il Cr. siano stati esplosi con il fucile calibro 16 in sequestro, poichè nel corso della vicenda in esame erano presenti anche il padre e il fratello dell'imputato, e non risulta dalla sentenza impugnata che la suddetta arma sia rimasta sempre nell'esclusiva disponibilità dell'imputato.

    Messa in discussione l'attendibilità del T. su quanto dallo stesso dichiarato su aspetti non secondari dello svolgimento dei fatti, la Corte di secondo grado avrebbe dovuto approfondire l'esame di tutta la vicenda, tenuto conto in particolare anche della sentenza passata in giudicato, acquisita agli atti del processo, dalla quale risultava che a sparare contro C.G. e Cr.An. con il fucile calibro 16 in sequestro era stato G.S. R., padre dell'odierno imputato.

    Del tutto insufficiente per smentire la ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza passata in giudicato appare la sola circostanza che G.S.R. avrebbe dichiarato di aver sparato due colpi contro C. e due colpi contro Cr., perchè la suddetta dichiarazione, per essere correttamente valutata, dovrebbe essere inserita nella complessiva ricostruzione del fatto compiuta dalla sentenza che ha condannato per il duplice omicidio G.S.R.. Nella sentenza impugnata non è stata minimamente presa in considerazione la ricostruzione del fatto contenuta nella sentenza passata in giudicato nei confronti di G.S.R. e G.B., che invece doveva rappresentare un essenziale punto di riferimento, soprattutto perchè in quella sentenza era stata ricostruita la stessa vicenda oggetto anche del processo nei confronti di G.V..

    Le sentenze irrevocabili, acquisite ai sensi dell'art. 238 bis c.p.p., benchè ovviamente non facciano stato in altro processo dei fatti accertati, costituiscono comunque prova dei fatti considerati come eventi storici (V. Sez. 1 sentenza n. 11488 del 16.3.2010, Rv.

    246778), prova che potrà essere confermata o smentita dagli ulteriori elementi raccolti nel processo, ma che necessariamente deve essere attentamente valutata, soprattutto nel caso in cui vi è il rischio, come nel caso di specie, di attribuire la stessa condotta omicidiaria a persone diverse. La Corte di assise d'appello, per poter affermare che è stato Calle Vito a sparare contro C. G. e Cr.An., avrebbe dovuto non solo riportare la ricostruzione del fatto operata nella sentenza che ha ritenuto autore materiale dello stesso duplice omicidio G.S.R., ma anche indicare per quali ragioni le acquisizioni probatorie del presente processo smentiscono la dinamica dei fatti siccome ricostruita nella sentenza che ha definitivamente condannato G. S.R..

    Sono quindi evidenti le carenze motivazionali della sentenza impugnata in quanto, oltre a non aver ricostruito le circostanze nelle quali sono stati esplosi gli ulteriori due colpi che hanno ferito mortalmente Cr.An., non ha considerato con il dovuto approfondimento la diversa ricostruzione del fatto operata da altri giudici nel processo nei confronti del padre e del fratello dell'odierno imputato, nè ha dato adeguate risposte a importanti tematiche probatorie sollevate dalla difesa dell'imputato, quali l'attendibilità intrinseca di T.A., l'assenza di tracce ematiche del Cr. nell'autovettura in cui lo stesso - ferito a una gamba - si sarebbe rifugiato, la traiettoria dei colpi esplosi con il fucile in sequestro e, soprattutto, gli esiti dell'esame stub condotto sia nei confronti dell'imputato che nei confronti di G. S.R..

    Mancando nella sentenza impugnata una ricostruzione complessiva di tutta la vicenda e soprattutto delle modalità di commissione dell'omicidio di Cr.An. e della fuga di T.A., nonchè un approfondito esame dell'attendibilità di quest'ultimo, non è possibile valutare, isolatamente, le considerazioni del Procuratore generale ricorrente, il quale, dando per presupposta l'attendibilità del T., ha sostenuto la sussistenza del delitto di tentato omicidio, tenendo conto delle dichiarazioni rese dal predetto, che avrebbe - secondo il ricorrente - logicamente spiegato perchè la sua autovettura non è stata raggiunta dai colpi di fucile e di pistola sparati dall'imputato.

    Una valutazione delle critiche mosse dal Procuratore generale alla motivazione della sentenza, che avrebbe omesso di considerare talune emergenze processuali, può essere compiuta solo in presenza di una adeguata ricostruzione della vicenda in esame, sulla base anche di quanto accertato nella sentenza definitiva nei confronti di G. S.R. e G.B., e del necessario approfondimento sull'attendibilità del T..

    Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata per un nuovo giudizio nel quale il giudice del rinvio dovrà colmare le segnalate lacune motivazionali della sentenza annullata e compiere gli indicati approfondimenti sia sull'attendibilità del T. sia sulle segnalate tematiche probatorie, prendendo in esame la complessiva ricostruzione della vicenda contenuta nella sentenza emessa nei confronti di G.S.R. e G.B. nonchè le eventuali nuove prove emerse in quel processo.
    PQM
    P.Q.M.

    Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise d'appello di Catanzaro.

    Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2013.

    Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2013
Avv. Antonino Sugamele

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