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Sentenza

V.brigadiere dei carabinieri in servizio su di una motovedetta si impossessa di due motori fuoribordo sequestrati agli scafisti
V.brigadiere dei carabinieri in servizio su di una motovedetta si impossessa di due motori fuoribordo sequestrati agli scafisti
E' il giudice che ha il potere di valutare se il soggetto sentito quale teste abbia, di fatto, un ruolo di coimputato ex art. 210 cod. proc. pen..
Autorità:  Cassazione penale  sez. VI
Data udienza:  05 giugno 2012
Numero:  n. 25609

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE SESTA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. GARRIBBA   Tito          -  Presidente   -                     
Dott. CORTESE    Arturo        -  Consigliere  -                     
Dott. LANZA      Luigi         -  Consigliere  -                     
Dott. CITTERIO   Carlo         -  Consigliere  -                     
Dott. DI STEFANO Pierluig -  rel. Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
            L.B.P.A. N. (OMISSIS); 
avverso  la  sentenza  n.  4245/2008 CORTE APPELLO  di  PALERMO,  del 
28/5/2010; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  In  PUBBLICA  UDIENZA  del 5/6/2012  la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO; 
Udito  il  Procuratore Generale in persona del Dott. VITO  D'AMBROSIO 
che ha concluso per il rigetto del ricorso. 
                 

(Torna su   ) Fatto
RITENUTO IN FATTO
L.B.P.A. ricorre contro la sentenza della Corte di Appello di Palermo che in data 28 maggio 2011 confermava la sentenza del Tribunale di Agrigento del 2.4.08 che lo aveva condannato alla pena di due anni di reclusione per il reato di peculato , in esso ritenuto assorbito il reato di violazioni sigilli, perchè, quale vicebrigadiere dei carabinieri in servizio su di una motovedetta di stanza in Lampedusa, si era impossessato di due motori fuoribordo di cui aveva il possesso per motivi di ufficio in quanto sequestrati ad imbarcazioni di immigrati clandestini nel 2002.
Secondo l'accusa, il prevenuto aveva ceduto i due motori in questione a tale M.F. ottenendo in cambio lavori di manutenzione su di un proprio gommone.
La Corte di Appello, nel decidere su motivi consistenti nella richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto e, comunque, nella richiesta di riapertura della istruzione per la acquisizione di documenti, richieste di informazioni alla pubblica amministrazione ed audizione di testimoni, disponeva ex art. 603 cod. proc. pen. la audizione del solo maresciallo A.F. in veste di comandante della motovedetta sopra indicata; il teste affermava che il M.F. gli aveva riferito di aver ricevuto i motori in questione dal L.B..
Le altre richieste di accertamenti formulate dalla difesa venivano invece disattese dalla Corte che riteneva che vi fossero elementi sufficienti per giungere ad una decisione, senza necessità di verificare dati formali quali lo svolgimento di indagini interne all'Arma dei Carabinieri ed la iscrizione di notizie di reato, attività che, appunto, la difesa chiedeva.
La Corte, in sentenza, affrontava la questione posta dalla difesa in ordine alia utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal M. F.. I giudici di secondo grado innanzitutto affermavano che non era possibile ritenere il M. concorrente del L.B. in ragione del solo dato di fatto del possesso dei motori, essendo necessaria anche una adeguata prova della consapevolezza, da parte del M., della provenienza irregolare; e nel caso di specie non emergevano motivi per i quali il M. dovesse sospettare il possesso illecito di motori marini da parte del vicebrigadiere L. B., sottufficiale dei carabinieri.
La Corte smentiva la tesi della difesa anche sotto un diverso profilo: la sanzione di inutilizzabilità della testimonianza nei confronti dei terzi ai sensi dell'art. 63 c.p.p. - sul presupposto affermato dalla difesa che nel corso della audizione del M. innanzi al giudice di primo grado fossero emersi indizi a suo carico - ricorre solo quando siano acquisiti ancor prima della escussione del soggetto indizi non equivoci di reità.
Nè il divieto di utilizzazione ricorre, osservava sempre la Corte, quando gli asseriti indizi siano emersi nel corso di dichiarazioni rese davanti al tribunale in quanto il giudice non può attribuire la qualità di imputato o indagato al soggetto dichiarante ma può solo verificare che tale qualità sia stata formalmente assunta con l'iscrizione nel registro notizie di reato od equipollenti.
La difesa con un primo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione per violazione degli art. 125 c.p.p., art. 546 c.p.p., comma 1, lett. E) e art. 603 cod. proc. pen. osservando che la ordinanza emessa dalla Corte d'Appello in data 21 gennaio 2010, espressamente impugnata unitamente alla sentenza di appello, era estremamente generica nel rigettare parzialmente la richiesta di acquisizione di nuove prove. Osserva quindi la difesa che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, laddove il giudice non ritenga di accogliere la richiesta di rinnovazione della istruzione dibattimentale, comunque sia tenuto a motivare in via specifica il rigetto.
Con un secondo motivo con il quale si assume la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., lett. C) ed E) in relazione agli artt. 63, 125 e 191 c.p.p., e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. E), la difesa deduce la erroneità della decisione che rigettava l'eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni del testimone M. F..
La difesa osserva che:
il M., nel processo a carico di L.B., doveva avere veste diversa da quella di testimone in quanto coinvolto di fatto nella vicenda di appropriazione essendo lui il destinatario dei motori marini. il M. fu inizialmente sentito dalla stessa polizia giudiziaria quale persona sottoposta alle indagini e solo nel successivo dibattimento veniva invece sentito in veste di testimone.
nonostante due audizioni ai sensi dell'art. 350 c.p.p., comma 7, il M. non era mai stato iscritto nel registro degli indagati.
Secondo il difensore, una volta sentito il soggetto quale indagato, non poteva lasciarsi alla discrezionalità del Pubblico Ministero la scelta di iscrizione o meno dello stesso nel registro degli indagati dovendo invece essere ritenuto il M. raggiunto da gravi indizi sostanziali, per cui ricorreva l'incompatibilità di cui all'art. 197 cod. proc. pen. con obbligo di citazione ai sensi dell'art. 210 cod. proc. pen. e obbligatorietà degli avvertimenti di cui all'art. 64 cod. proc. pen..
Rileva poi la difesa che, pur a fronte di tali circostanze, le dichiarazioni del M. venivano considerate dai giudici di merito inutilizzabili nella parte in cui il teste si autoaccusava di avere partecipato - in prima persona e in concorso con il ricorrente - ai fatti illeciti oggetto del presente procedimento, ed invece ritenute pienamente utilizzabili nel resto.
Con terzo motivo si rileva il vizio di motivazione della sentenza impugnata in quanto la Corte non aveva tenuto conto degli argomenti sviluppati dalla difesa con i propri motivi, aderendo in via implicita e comunque apodittica alla decisione di primo grado senza rispondere ai motivi di impugnazione.
In particolare non si era data risposta alla osservazione della difesa che, come da brani di dichiarazioni riportate nel ricorso, mentre il M.F. in sede di indagini aveva detto che il secondo motore gli era stato portato presso la propria officina direttamente dal L.B., nel corso del dibattimento invece dichiarava di essersi recato lui presso la caserma con la propria autovettura a prelevare tale stesso motore.
La difesa rammenta, ancora, di aver fatto notare il fascicolo fotografico con le fotografie realizzate in occasione del ritrovamento di motori aventi data diversa da quella del ritrovamento stesso; che era impossibile entrare in una zona militare sottraendo beni voluminosi; rilevava di aver fatto notare comunque varie altre incongruità delle dichiarazioni testimoniali, senza ottenere adeguata risposta dalla sentenza impugnata.
(Torna su   ) Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo da valutare riguarda l'ordinanza che non accoglieva integralmente la richiesta di acquisizione di nuove prove.
La richiesta di rinnovazione istruzione dibattimentale era stata chiaramente proposta ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., comma 1 trattandosi di prove che non sono da qualificarsi quali "sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado".
Secondo tale disposizione, quindi, la rinnovazione è scelta discrezionale del giudice che non ritenga di essere in grado di decidere allo stato degli atti.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'esercizio della discrezionalità prevista dalla disposizione citata può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità solo laddove, a fronte di una richiesta motivata della difesa, non sia stata data una motivazione adeguata del rigetto.
Tale richiesta motivata deve riguardare non semplicemente l'invito a valutare la opportunità di acquisire il mezzo di prova, ma deve riguardare la prospettazione di una obiettiva condizione di impossibilità di decidere allo stato degli atti senza l'utilizzazione del nuovo materiale probatorio proposto dalla difesa.
Inoltre, in assenza di un diritto alla prova quale è invece previsto nel diverso caso dell'art. 603 cod. proc. pen., comma 2 il vizio derivante dalla mancanza di motivazione sul rigetto della richiesta di rinnovazione ex art. 603 c.p.p., comma 1 non può essere fatto valere di per sè quale violazione di legge che comporti la nullità della sentenza ma deve comportare un vizio della motivazione, sotto il profilo della sua insufficienza o della sua illogicità.
Questo comporta che, in sede di legittimità, la parte che intende dedurre il vizio consistente nella Inadeguata valutazione della richiesta di riapertura del dibattimento non può limitarsi, come nel caso di specie, a dolersi dell'assenza di motivazione in ordine alle pur asseritamente analitiche richieste, ma deve sviluppare specifiche motivazioni sulle ragioni per le quali non era possibile decidere allo stato degli atti una volta prospettato il nuovo materiale probatorio.
Ma il motivo proposto palesemente si limita a contestare l'assenza di motivazione sulla scelta della Corte, senza in alcun modo spiegare come ciò abbia comportato un significativo vizio della motivazione.
Si tratta, quindi, di un motivo manifestamente infondato.
Passando al secondo motivo, le argomentazioni della difesa sono maggiormente fondate sul piano teorico.
La sentenza di appello, difatti, a fronte della deduzione dell' essere il testimone M. persona che, in quanto raggiunta da indizi di responsabilità, andava sentita con le diverse forme di cui all'art. 210 cod. proc. pen., aveva negato che si possa ritenere soggetto da sentire quale indagato/imputato colui nei cui confronti non sia stata disposta alcuna iscrizione formale. Secondo la Corte, non spetta al giudice che assume la prova effettuare valutazioni di competenza del pubblico ministero e/o della polizia giudiziaria, sostituendo il proprio apprezzamento alla formale iscrizione.
E ciò la Corte decideva rispetto a due ragioni per le quali, secondo la difesa, il M. risultava "sostanzialmente" indagato:
anzitutto, nota il difensore, per due volte nel corso delle indagini il citato M. aveva reso dichiarazioni spontanee ai sensi dell'art. 350 c.p.p., comma 7; e, in tali occasioni, a dire la difesa, avrebbe ammesso le proprie responsabilità (tale affermazione della difesa è, invero, apodittica); poi, sempre a dire della difesa, anche in dibattimento il M. avrebbe reso dichiarazioni autoaccusatorie.
La soluzione data dalla Corte di Appello al tema della individuazione della condizione di persona indagata al fine di ritenere che ricorra la incompatibilità alla testimonianza, pur presente in alcuni precedenti di legittimità, non è condivisibile, soprattutto alla luce dei principi affermati dalla sentenza Sez. Un. 15208/2010 rv 246584.
Tale decisione, difatti, ritiene erronea la tesi secondo la quale sono necessari indici formali, in particolare la già avvenuta iscrizione del soggetto, per ritenere che il dichiarante abbia veste di coimputato. Del resto, se si interpretasse la disposizione in questione nel senso di rimettere alla iscrizione formale od altra simile formalità il sorgere delle condizioni di applicabilità del divieto di testimonianza, di fatto si rimetterebbe all'iniziativa del Pubblico Ministero la scelta di rendere o meno un coimputato soggetto che possa essere sentito come testimone. Si realizzerebbe, quindi, proprio la situazione che le disposizioni in materia di divieto di testimonianza intendono evitare.
E', invece, potere del giudice quello di valutare se il soggetto sentito quale teste abbia, di fatto, un ruolo di coimputato ex art. 210 cod. proc. pen..
Quindi non si può condividere l'assunto della Corte d'Appello.
Ma, e sul punto soccorre la medesima sentenza delle Sezioni Unite sopra citata, perchè possa procedersi a tale valutazione sostanziale è necessario da un lato che si sia in presenza di indici non equivoci di reità e dall'altro che ciò sia acquisito al materiale valutabile dal giudice procedente. Tali condizioni, quindi, devono risultare dagli atti del dibattimento ovvero essere concretamente rappresentate dalle parti o dal soggetto escusso.
E, infine, "L'originaria esistenza di gravi indizi di reità, inoltre, non può automaticamente farsi derivare dal solo fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo coinvolti in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a loro carico, occorrendo invece che tali vicende, per come percepite dall'autorità inquirente, presentino connotazioni tali da non poter formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente l'esistenza di responsabilità penali a carico di tutti i soggetti coinvolti o di taluni di essi".
Applicati tali criteri al caso di specie, valutata anche la più ampia motivazione della sentenza di primo grado sul punto, va osservato che:
alla stregua delle sentenze di merito ed in assenza di specifiche indicazioni da parte della difesa di atti del processo da cui risulti la presunta "autoaccusa" del testimone nel corso del dibattimento, non si ravvisa alcuna dichiarazione autoaccusatoria resa dal M. innanzi al tribunale.
Si dovrebbero, quindi, valutare le dichiarazioni rese dal M. spontaneamente in fase di indagini, secondo le regole di cui all'art. 350 c.p.p., comma 7.
Ma si tratta di atti non prodotti insieme al ricorso, laddove ciò sarebbe stato necessario per chiederne la valutazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, ultima parte.
Nè dell'esistenza di questi atti si ha alcuna notizia utile dalle sentenze rese in fase di merito. La sentenza di primo grado, infatti, osserva espressamente che tali verbali erano assenti, escludendo la possibilità di valutarli; la sentenza di secondo grado non vi fa alcun riferimento.
Del resto, secondo una ragionevole lettura della vicenda, la difesa riferisce di una tipica situazione che è solo potenzialmente suscettibile di dar luogo ad addebiti a carico del dichiarante; dalle due sentenze di merito emerge come il testimone fosse sostanzialmente persona che riceveva il materiale in buona fede da un soggetto della cui onestà, tenuto anche conto della qualifica professionale, non aveva ragione di dubitare.
Anche in tale caso, non essendo stata data alcuna concreta indicazione sul perchè ritenere vietata la testimonianza, il motivo è inammissibile.
In ordine al terzo motivo, con il quale si rileva il vizio di motivazione per la mancata risposta alle specifiche doglianze la parte, va ritenuta la manifesta infondatezza.
Premessa la complessiva adeguatezza e logicità della motivazione delle sentenze di merito, il vizio di motivazione non può essere ritenuto per la mancata risposta ad ogni singola osservazione della difesa ma tale vizio rileva esclusivamente quando comporti un difetto della motivazione in ordine alla dimostrazione della responsabilità del soggetto. Nel caso di specie, al di là della frammentarietà delle osservazioni proposte dalla difesa, quest'ultima indica punti dubbi che, però, non toccano il tema centrale della consegna dei motori marini in custodia al rimessaggio del M.. Tutte le questioni poste, difatti, se del caso, attengono alla responsabilità per l'omesso controllo da parte di altri soggetti ovvero si tratta di apparenti incongruità il cui rilievo non risulta indicato neanche dalla difesa.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese e della sanzione pecuniaria.
(Torna su   ) P.Q.M.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2012
Avv. Antonino Sugamele

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