Una signora pugliese viene colpita al volto da un giovane che gesticola mentre discute con tre amici nella pubblica via. E' reato.
Cassazione penale sezione IV sentenza 21 giugno 2012 n 24993
Lesioni personali, colpa, pubblica via, gesti scomposti,
illegittimità
La quarta sezione penale
(Presidente Brusco – Relatore Foti)
Ritenuto in fatto
-1- T.D.F. è stato chiamato in giudizio davanti al Giudice di
Pace di Corato per rispondere del reato di cui all'art. 590 cod.
pen. per avere, per colpa, cagionato a Q.G. lesioni personali
consistenti in "edema palpebrale marcato in od, con
ecchimosi congiuntivale in od, dolenzia marcata, emorragia
sottocongiuntivale in od, cefalea", con prognosi di giorni 8 s.c.
-2- Con sentenza del 3 maggio 2006, il giudice di pace ha
assolto l'imputato per non avere commesso il fatto.
-3- Su impugnazione proposta dalla persona offesa, parte
civile, Q.G., il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Ruvo di
Puglia, ha confermato la sentenza assolutoria pur mutandone
la formula, avendo ritenuto che il fatto contestato non
costituisce reato.
Nel ricostruire la vicenda, il giudice del gravame ha sostenuto
che la Q. ha riportato le richiamate lesioni perché, trovandosi
a camminare lungo un marciapiede cittadino, era stata
colpita inavvertitamente al volto, in corrispondenza dell'occhio
destro, dal dorso della mano di un giovane, identificato in
T.D.F., che gesticolava nel conversare con altre tre persone.
Lo stesso giudice ha ritenuto di escludere la responsabilità del
T. per quanto accaduto alla Q., non avendo riscontrato nella
condotta dello stesso profili di colpa. Egli ha, in particolare,
sostenuto che l'accompagnare con gesti della mano una
conversazione è abitudine comune a molte persone e non
integra una condotta violatrice di regole cautelari. Tale
abitudine, ha soggiunto il giudice del merito, potrebbe
assumere rilievo, in termini di violazione di una regola
cautelare, solo ove, per la singolarità del contesto
(sovraffollamento, ristrettezza dello spazio disponibile) o per la
particolare concitazione o scompostezza dei movimenti, quel
contegno divenga prevedibile fonte di pericolo per l'altrui
incolumità.
Avverso tale decisione ricorre per cassazione la parte civile
che deduce violazione di legge e vizio di motivazione della
sentenza impugnata. Sostiene la ricorrente che il tribunale
avrebbe erroneamente apprezzato le emergenze processuali
ed avrebbe omesso di apprezzarne altre ritenute significative
in tesi d'accusa. Il T., si sostiene nel ricorso, non aveva tenuto
una condotta diligente, pur trovandosi in un frequentato ed
angusto marciapiede cittadino, in un contesto, cioè, che
avrebbe dovuto consigliargli di evitare gesti scomposti. Il
giudicante, inoltre, non avrebbe compiutamente esaminato gli
elementi probatori acquisiti e le dichiarazioni della persona
offesa, né avrebbe argomentato in termini di prevedibilità e di
evitabilità dell'evento.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato, essendo certamente sussistenti i vizi dedotti.
Occorre anzitutto premettere che non è oggetto di discussione
la circostanza che la Q. abbia ricevuto dal T., presumibilmente
preso dal fervore della discussione intrapresa con altre
persone, un colpo al viso, infertole con il dorso della mano, né
lo è la natura delle lesioni che il colpo ha procurato alla
donna; di guisa l'esistenza di un danno alla stessa causato da
un comportamento del T., è fuori discussione. Ciò di cui si
discute è solo la qualificazione, in termini giuridici, del gesto
compiuto, certo inavvertitamente (neanche questo è oggetto
di contestazione), dallo stesso T.
Orbene, secondo l'argomentare del tribunale, nella condotta
del T. non si ravviserebbero profili di colpa data la generale
abitudine delle persone di conversare gesticolando con le
mani. Osservazione che presenta evidenti estremi di illogicità
anzitutto perche, evidentemente, non è la generalizzata
diffusione dei comportamenti a rendere lecita una condotta,
essendo in ogni caso primario, nell'agile dell'uomo, il rispetto
del principio del "neminem ledere". E dunque, l'abitudine di
accompagnare con i gesti una conversazione, di per sé
certamente lecita, perde il carattere di liceità nel momento in
cui essa, per le modalità che caratterizzano la gestualità e per
il contesto in cui essa si manifesta, rappresenti una violazione
delle ordinarie regole di prudenza e diligenza che, comunque
ed in ogni caso, devono accompagnare qualsiasi
comportamento umano. Di guisa che, ove nella richiamata
abitudine si rinvengano eccessi, atteggiamenti che violino le
ordinarie regole di comportamento, di essi l'autore deve
rispondere allorché dagli stessi sia ad altri derivato un danno.
Neanche il successivo argomentare del giudice di merito si
presenta, a giudizio della Corte, improntato a criteri di
coerenza logica. Egli invero, dopo avere esattamente
premesso che il gesticolare, comportamento di per sé
innocuo, assume rilievo in termini di violazione di regole
cautelari allorché per la particolarità del contesto
(sovraffollamento, ristrettezza dello spazio a disposizione) o per
la concitazione o scompostezza dei movimenti, esso diventa
prevedibile fonte di pericolo per l'altrui incolumità, è poi giunto
a conclusioni che tali premesse contraddicono.
È stato lo stesso giudice, invero, a ricordare che l'accesa
conversazione del T. si svolgeva, su un ristretto marciapiede
cittadino, tra lui ed altre tre persone. Circostanza che
evidentemente realizza le prime condizioni indicate in
premessa dal giudicante quali elementi idonei a rendere
illecito il gesticolare, cioè la ristrettezza dello spazio a
disposizione dei conversanti (un marciapiede) e l'affollamento
del luogo, se è vero che su quello spazio ristretto si trovavano
almeno cinque persone: i quattro conversanti e la persona
offesa.
Ed è stato lo stesso giudice a fare riferimento ad un braccio del
T. che si era "allargato" durante la conversazione, cioè ad un
gesto a tutto braccio che, per avere colpito tanto duramente
al volto la donna da provocarle le lesioni sopra descritte, non
poteva che essere stato fortemente scomposto, oltre che
incurante del luogo e della presenza dei passanti, tanto da
avere reso persino inutile il prudente atteggiamento della Q.,
scesa dal marciapiede proprio per evitare il gruppo di
conversanti.
Non coerente rispetto alle premesse e con quanto accertato e
sostenuto nella stessa sentenza è, quindi, la indicazione del
comportamento del T. come un innocuo "gesticolare con le
mani per dar forza al discorso".
Non coerente, inoltre, si presenta la decisione impugnata
anche rispetto alle primarie e più elementari regole di
condotta alle quali ciascun cittadino deve improntare i propri
comportamenti.
In realtà, la pubblica via non è il salotto di casa; di essa
ciascuno ha il diritto di godere ma anche il dovere di lasciarne
godere alla generalità dei cittadini, e dunque di rapportare il
proprio comportamento al rispetto del diritto altrui. Ed è alla
stregua di tali regole di comportamento che andava valutata
la condotta del T.; anche attraverso l'approfondimento dei
principi di prevedibilità e di evitabilità, che pure contribuiscono
a tracciare la linea di demarcazione oltre la quale l'evento
dannoso, pur involontariamente prodotto, deve essere
addebitato all'agente a titolo di colpa.
La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata ai fini
civili, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente
per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata ai fini civili e rinvia per nuovo
esame al giudice civile competente per valore in grado
d'appello.
17-09-2012 15:13
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