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Sentenza

Una bambina viene tenuta nascosta da entrambi i genitori perchè frutto di una relazione extraconiugale. Soppressione dello stato civile. Questione di incostituzionalità.
Una bambina viene tenuta nascosta da entrambi i genitori perchè frutto di una relazione extraconiugale. Soppressione dello stato civile. Questione di incostituzionalità.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE , ORDINANZA 7 giugno 2012 23167 Pres. – est. De Roberto , n.23167 - Pres. – est. De Roberto

OSSERVA

 

1. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Brescia, con sentenza 18 marzo 2010, pronunciata in esito a giudizio abbreviato, affermava la penale responsabilità di F.C. e C. D. M. in ordine al reato di cui all'art. 566 c.p., comma 2, loro addebitato perchè, nella qualità di genitori della minore F.E.N., nata a (OMISSIS), non dichiaravano all'ufficiale di stato civile la nascita della stessa nel termine previsto dal D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, e fino al 27 gennaio 2005, occultando la neonata e sopprimendone così lo stato civile.

Entrambi gli imputati venivano conseguentemente condannati, concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di anno uno e mesi quattro di reclusione; in applicazione dell'art. 569 c.p. veniva dichiarata la perdita della potestà genitoriale sulla minore F.E.N..

Veniva concessa la sospensione condizionale delle pene principale ed accessoria ed applicato l'indulto sulla pena principale.

La Corte di appello di Brescia, con sentenza 12 luglio 2011, confermava la decisione di primo grado, impugnata da entrambi gli imputati.

Rilevava la Corte territoriale:

- che il F. e la C., entrambi coniugati con figli, coltivavano una relazione dalla quale era nata la piccola E. N.;

- che il parto era avvenuto in una casa privata;

- che dalla "dichiarazione sostitutiva" prevista dal D.P.R. n. 396 del 2000, art. 30, comma 3, e consegnata all'ufficiale di stato civile dal F. (sottoscritta anche dalla C.) risulta che la bambina nacque in una casa privata e che al parto assistette il padre;

- che, quindi, la decisione di non presentarsi nel prescritto termine all'ufficiale di stato civile è, pacificamente, addebitabile ad entrambi i genitori, mentre le prescelte modalità del parto fecero sì che lo stesso si verificasse senza la presenza di alcun altro dei "successivi legittimati" che, in luogo dei genitori, avrebbero dovuto presentare la dichiarazione; dunque, la situazione posta in essere dagli imputati già al momento del parto era tale che, non essendo essi disposti a presentare la denuncia, nessun altro (ostetrica, medico o altri che avesse assistito al parto) potesse adempiere a tale obbligo;

- che l'occultamento previsto dall'art. 566 c.p., comma 2, non deve intendersi nel senso corrente ed equivalente alla segregazione o al nascondimento del neonato agli occhi dei terzi, dovendo esso coincidere con quella specifica condotta omissiva che non consente al nuovo nato di acquisire lo status che gli compete ed è, conseguentemente, irrilevante che il nuovo nato sia accreditato in un determinato contesto sociale quale figlio di una determinata madre o di un determinato padre perchè questa condizione sociale non vale ad attribuire al bambino quel complesso di posizioni giuridiche necessario a qualificarlo nei confronti dell'ordinamento giuridico anche in relazione ai suoi ascendenti;

- che tali conclusioni non possono essere poste in discussione in forza della possibilità (ora) consentita dal D.P.R. n. 396 del 2000, art. 31, di presentare la dichiarazione tardiva perchè altrimenti si perverrebbe ad escludere la consumazione del delitto fino a che vi sia possibilità di denunciare (pure tardivamente) la nascita e cioè fino a che l'ufficiale di stato civile, avvedutosi che la dichiarazione seppure tardiva è stata presentata, non ne abbia fatto segnalazione alla procura della Repubblica ai fini dell'instaurazione del procedimento di rettificazione; in tal modo, infatti, resterebbero sfornite di sanzione penale fattispecie chiaramente lesive dell'interesse tutelato e caratterizzate dalla clandestinità del nuovo nato perdurante per una durata di tempo indefinita e lasciata all'arbitrio dei genitori;

che la previsione della possibilità di rendere una dichiarazione di nascita tardiva rileva esclusivamente ai fini dell'ordinamento dello stato civile senza che da essa possa farsi discendere un qualche effetto modificativo della fattispecie penale sotto il profilo della condotta, determinando una mera semplificazione - ispirata al favore per l'attribuzione di stato - degli adempimenti richiesti ai fini della formazione dell'atto di nascita così da rendere superfluo il procedimento di rettificazione (previsto ora soltanto per la mancata dichiarazione); tanto più che, ricevuta la dichiarazione tardiva, l'ufficiale di stato civile deve fare comunque la segnalazione al procuratore della Repubblica: un adempimento che non rileva ai fini dell'ordinamento dello stato civile perchè, in ogni caso, l'ufficiale (nell'ordinario caso in cui la dichiarazione sia accompagnata dall'attestazione dell'avvenuto parto o da una dichiarazione sostitutiva) è tenuto a formare l'atto di nascita e non è, allora, ad altro preordinato se non a portare a conoscenza dell'organo della pubblica accusa fatti suscettibili di avere rilievo penale;

che in quest'ultima prospettiva assumono particolare significato "le ragioni del ritardo" che il dichiarante deve indicare, ai sensi dell'art. 31 dell'ordinamento dello stato civile, contestualmente alla dichiarazione tardiva perchè solo queste possono valere a qualificarla in termini di illecito penale la tardiva dichiarazione, definendone anche il contesto psicologico;

- che neppure in presenza della nuova normativa sullo stato civile vi è quindi ragione di deflettere da quell'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale l'omessa dichiarazione della nascita all'ufficiale di stato civile vale senz' altro ad integrare la condotta punibile;

- che il caso di specie si segnala per la sua manifesta evidenza perchè la figlia del F. e della C., per lo Stato italiano, non è stata tale (nè è stata figlia di altri) per un periodo di tempo davvero rilevante durante il quale la nuova nata è rimasta inevitabilmente priva non solo di ogni suo diritto allo status di generata dai suoi genitori ma anche di ogni connotazione di titolare di diritti verso le istituzioni pubbliche;

- che, conseguentemente, il perfezionamento della fattispecie va individuato nel protrarsi della condotta omissiva oltre il decimo giorno previsto quale termine per la tempestiva dichiarazione di nascita a prescindere dalla possibilità, data dalle norme sullo stato civile, di presentare tale dichiarazione anche successivamente;

senza che ciò significhi che scaduto il decimo giorno il soggetto tenuto alla dichiarazione sia senz' altro punibile ai sensi dell'art. 566 c.p., comma 2, perchè a tal fine sarà necessario appunto esaminare le ragioni dell'omissione al fine di verificare anche la presenza dell'elemento soggettivo richiesto per l'integrazione del delitto;

che gli imputati hanno giustificato la condotta omissiva spiegando di non avere denunciato prima la figlia "per motivi di salute e per non creare ulteriori problemi alle famiglie di origine": proprio il tenore delle giustificazioni addotte, il riferito nascondimento della gravidanza, la "clandestinità" del parto nei termini descritti dagli stessi imputati, la successiva crescita della bambina in un' abitazione in cui a turno si recavano i genitori, la perdurante e "sistematica elusione di ogni atto che potesse svelare la nascita non dichiarata (visite pediatriche e vaccinazioni presso il servizio sanitario nazionale, iscrizione a nidi di infanzia e scuole) rendono infatti evidente che l'intendimento degli imputati era proprio quello di evitare che la nascita della loro figlia venisse esternata davanti alle istituzioni pubbliche in modo che potesse cosi ufficializzarsi anche agli occhi delle rispettive famiglie";

- che altro non appare necessario per la configurazione del reato, non essendo evidentemente rilevante ricercare alcuna prava volontà di privare la nuova nata di attenzioni materiali e anche dell'affetto e dell'assistenza (che certamente non le sono mancate): l'interesse tutelato dalla norma è che al rapporto naturalistico di filiazione corrisponda la pronta attribuzione al nuovo nato del corrispondente status e la consapevolezza e la volontà di impedire questo risultato sono senz' altro sufficienti a dare completezza alla fattispecie penale attribuendo rilievo alla già precisata condotta omissiva;

2. Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati deducendo vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale, insistendo sulla necessaria integrazione dell'art. 566 c.p., comma 2, con il D.P.R. n. 396 del 2000, art. 31.

Premettono i ricorrenti che la fattispecie di cui all'art. 566 c.p., comma 2, si configura, a tutti gli effetti, come una norma penale in bianco, con la conseguenza che essa non può sottrarsi alla necessaria interazione con le prescrizioni vigenti in tema dello ordinamento di stato civile e, più in particolare, con le disposizioni di cui al D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 30, 31 e 32 in tema di formazione dell'atto di nascita.

L'art. 566 c.p., comma 2, che prevede una condotta per effetto della quale si "sopprime lo stato civile", consente di affermare preliminarmente che l'attribuzione dello stato civile (nell'unica accezione corretta, vale a dire quale esistenza giuridica di un soggetto titolare di diritti e doveri giuridicamente rilevanti) si abbia per effetto della nascita, l'iscrizione nei registri dello stato civile rivestendo valore "certificativo e non certo costitutivo".

Sotto il profilo del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice i ricorrenti assumono essere prevalente, l'orientamento giurisprudenziale e dottrinale ad avviso del quale il bene giuridico che il legislatore ha inteso tutelare è l'interesse dello Stato a che vi sia una corrispondenza, in tema di nascite, fra la realtà di fatto e quella risultante dei registri di stato civile.

Ed a tal riguardo il vigente ordinamento dello stato civile prevede e disciplina tre diverse modalità, di cui le prime due alternative l'una rispetto all'altra e puntualmente descritte dal D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 30, 31 e 32. Più in particolare, l'art. 31 prescrive gli adempimenti imposti per la formazione dell'atto di nascita nel caso in cui la nascita stessa venga dichiarata dopo il decorso del termine di dieci giorni; utilizzando modalità procedimentali assolutamente coincidenti con quelle previste dall'art. 30 per la dichiarazione effettuata nei dieci giorni, con la sola ulteriore imposizione per il dichiarante, preclusiva della ricezione della dichiarazione e della formazione dell'atto, di specificare le ragioni per cui non si è provveduto entro il termine indicato dall'art. 30.

Ma, proseguono i ricorrenti, esiste anche un' ulteriore modalità di iscrizione, quella prevista dall'art. 32 che descrive gli adempimenti imposti nel caso in cui, in difetto sia della dichiarazione tempestiva sia di quella tardiva - l'ufficiale di stato civile apprenda, autonomamente, della nascita di un neonato per il quale non si è proceduto alla formazione dell'atto di nascita.

Gli imputati, dunque, si sono limitati a far formare tardivamente l'atto di nascita con dichiarazione resa all'ufficiale dello stato civile del comune di Palazzolo sull'Oglio in data 27 gennaio 2005 completa della prescritta esposizione dei motivi a giustificazione del ritardo, senza che possa ritenersi integrato il delitto di cui all'art. 566 c.p., comma 2.

3. In prossimità dell'odierna udienza il difensore degli imputati ha presentato un' "istanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale", denunciando l'illegittimità agli artt. 566 e 569 c.p..

Si rileva che, successivamente alla presentazione del ricorso, la Corte costituzionale, con sentenza 23 febbraio 2012, n. 31, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 569 c.p. "nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato previsto dall'art. 567 c.p., comma 2, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell'interesse del minore nel caso concreto"; una statuizione riferibile a fortiori all'ipotesi di reato di cui all'art. 569 c.p., comma 2, vulnerando l'automatismo dell'applicazione della pena accessoria i medesimi parametri costituzionale posti a base della sentenza n. 31 del 2012.

4. Questa Corte ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale così come eccepita dai ricorrenti.

In punto di rilevanza va osservato che agli imputati è stata inflitta la pena accessoria della perdita della potestà genitoriale quale conseguenza del reato per cui è intervenuta condanna. La concessione del beneficio della sospensione della pena accessoria non incide, ovviamente, sulla rilevanza della questione, potendo il beneficio stesso essere revocato in forza del precetto dell'art. 168 c.p.; senza contare i profili di ordine morale e sociale connessi alla applicazione della pena accessoria pure se sospesa.

Il presente giudizio non può, dunque, essere definito senza la previa verifica della legittimità costituzionale della norma di cui è stata denunciata la illegittimità, considerato che, in caso di rigetto o inammissibilità dei ricorsi, dovrebbe comunque essere applicata la pena accessoria.

In più vi è da evidenziare, sempre in punto di rilevanza, la particolare situazione concreta oggetto della verifica di questa Corte, risultando dalla sentenza impugnata che comunque una dichiarazione di nascita, sia pure tardiva di oltre quattro anni, fu effettuata dai ricorrenti che, per giunta, presentarono le giustificazioni richieste dal D.P.R. n. 231 del 2000, art. 31 e che proprio da tali giustificazioni è risultato che la bambina fu allevata da entrambi i genitori. La stessa Corte territoriale, nello stigmatizzare il comportamento dei ricorrenti, non ha mancato, però, di precisare che non fu presente negli imputati la volontà di privare la nuova nata delle attenzioni materiali e anche dell'affetto e dell'assistenza che certamente non le sono mancate.

5. In punto di manifesta infondatezza è sufficiente richiamare la ratio decidendi della sentenza costituzionale n. 31 del 2012 che ha dichiarato l'illegittimità dell'569 c.p., nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato previsto dall'art. 567 c.p., comma 2, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell'interesse del minore nel caso concreto.

Inevitabile è il riferimento alle norme parametro degli artt. 2, 3 29 e 30 Cost., vulnerate perchè, escludendo qualsiasi valutazione da parte del giudice in ordine all'interesse del minore, non tutelerebbe i diritti inviolabili dei minori nel caso concreto, quali sarebbero quelli di crescere con i genitori e di essere educati da questi, salvo che da ciò derivi un grave pregiudizio. In più (di qui il richiamo all'art. 117 della Costituzione) la Convenzione dei diritti sul fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia, con L. 27 maggio 1991, n. 176, dispone all'art. 3, comma 1, che "In tutte le decisioni relative ai fanciulli di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una condizione preminente"; analogamente, la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti del fanciullo, adottata dal Consiglio d' Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con L. 20 marzo 2003, n. 77, nel disciplinare il processo decisionale nei procedimenti riguardanti un minore, detta le modalità cui l'autorità giudiziaria deve conformarsi "prima di giungere a qualunque decisionè', stabilendo che l'autorità stessa deve acquisire "informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell'interesse superiore del minore"; la Carta dei diritti fondamentali dei diritti dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 2007 a Strasburgo, all'art. 24, commi 2 e 3, prescrive, da un lato, che "In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente", e dall'altro lato, che "II minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora sia contrario al suo interesse".

L'ordinamento internazionale, dunque, come ha già rilevato la Corte costituzionale nella pronuncia sopra ricordata, di cui si sono riportati integralmente taluni riferimenti normativi, considera preminente l'interesse del fanciullo ed analoga centralità è stata individuata nel sistema del diritto interno sia nella legge di riforma del diritto di famiglia sia nella riforma della disciplina dell'adozione, che hanno introdotto forme sempre più incisive di tutela dei diritti del minore.

Sulla base di tali argomentazioni codesta Corte ha rilevato che la norma allora denunciata si rivela irragionevole perchè ignora l'interesse del minore con lo statuire la perdita della potestà genitoriale (secondo la definizione assunta nella stessa sentenza) sulla base di un mero automatismo che esclude il potere del giudice di valutare e di bilanciare, nel caso concreto, la necessità di applicare la pena accessoria dando esclusivo rilievo all'interesse punitivo.

Un vizio che colpisce anche la norma denunciata nel suo combinato disposto, potendo qui ripetersi per la tipologia della fattispecie entro la quale il detto automatismo viene ad operare e per le variegate concrete modalità di realizzazione del delitto di soppressione di stato, le medesime argomentazioni addotte dalla sentenza costituzionale n. 31 del 2012.

 

P.Q.M.

 

Vista la L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, comma 3, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità, in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 117 Cost., dell'art. 569 c.p., nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di soppressione di stato, previsto dall'art. 566 c.p., comma 2, consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell'interesse del minore nel caso concreto. Sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Manda alla cancelleria per le prescritte notificazioni e comunicazioni.
Avv. Antonino Sugamele

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