Su un sito internet viene pubblicata la frase :
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 27 aprile – 18 giugno 2012, n. 24118
(Presidente Marasca – Relatore Settembre)
Ritenuto in fatto
1. Ricorrono il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Bari e la parte civile C.D. avverso la sentenza della Corte di appello di Bari del 2-11-2010 che, in riforma della sentenza del Tribunale di Bari del 24-3-2009, ha assolto S.V.A. dal reato di cui agli artt. 57 - 110 -595, comma 3 e 596-bis cod. pen. per avere, in concorso con P.R., offeso la reputazione di C.D., avvocato, attraverso la pubblicazione di un articolo di stampa comparso sul periodico “l'Informatore” e sul sito Internet “hptt://www.ilformatore.it”, nel quale si diceva testualmente: “l'avvocato C. pensi a fare il penalista e non il lanacaprinista. A meno che questo non sia il biglietto da visita per farlo candidato sindaco alle prossime amministrative per la sinistra”. Ciò facendo il P.R. nella veste di redattore dell'articolo e S.A.V. quale direttore responsabile del citato periodico, per avere omesso di esercitare la prescritta attività di controllo in ordine al contenuto dell'articolo. Reato commesso in Bari il 19-7-2004.
2. La Corte territoriale, premesso che il procedimento a carico di P.R. era stato stralciato ed era ancora pendente in primo grado, perveniva all'assoluzione dello S. in considerazione del fatto che l'autonomo reato colposo attribuito dall'art. 57 cod. pen. al direttore del giornale postula necessariamente l'accertamento della commissione del reato di cui all'art. 595, comma 3, cod. pen., completo nei suoi elementi oggettivi e soggettivi. Pertanto, poiché ciò non era avvenuto, si imponeva l'assoluzione dello S. per il reato a lui contestato.
3. Il C. ricorre con tre motivi.
1) Col primo motivo, che è comune anche al ricorso del Procuratore generale, lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per erronea applicazione dell'art. 57 cod. pen. e per manifesta illogicità della motivazione dovuta a travisamento dei fatti, in quanto il giudice, una volta disposto lo stralcio della posizione processuale dell'autore della pubblicazione, avrebbe dovuto accertare incidenter tantum tutti gli elementi del reato presupposto, valutandone sia sul piano oggettivo l'attitudine ad offendere la reputazione del ricorrente, sia sul piano soggettivo la previsione e volontà dell'evento.
2) Col secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge per avere il giudice dell'impugnazione omesso ogni pronuncia sul suo appello concernente il capo della sentenza di primo grado che aveva escluso il concorso dello S. nel reato di cui all'art. 595 cod. pen.
31) Con terzo motivo il C. censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 592, commi 1 e 4 cod. proc. pen., per avere il giudice d'appello condannato la parte civile al pagamento delle spese del giudizio di appello, pur non essendosi pronunciato sul suo appello e pur non essendo egli soccombente in un giudizio di impugnazione per i soli interessi civili, dal momento che il giudizio d'impugnazione era stato celebrato anche agli effetti penali e sull'impugnazione incidentale ai fini civili non vi era stata decisione.
4. Il Procuratore generale ricorre con unico motivo, lamentando anch'egli al violazione di legge e l'illogicità della motivazione, per non aver effettuato la Corte territoriale l'accertamento incidentale richiesto anche dalla parte civile.
5. Il Pubblico ministero d'udienza ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Considerato in diritto
Preliminare all'esame delle questioni poste dal Pubblico ministero e dalla Parte civile è quella relativa all'offensività dalla condotta ascritta all'imputato. Perché ricorra, infatti, il reato di cui agli artt. 594 o 595 cod. pen., è necessario che il soggetto abbia posto in essere una condotta obbiettivamente lesiva dell'integrità morale della persona, svilendo il sentimento di valore che ognuno ha di sé stesso o la considerazione di cui ognuno goda nella comunità di appartenenza. Questo perché essendo l'offensività un elemento necessario della fattispecie astratta contemplata dalla norma, la sua mancanza comporta una violazione di legge ed è perciò censurabile dal giudice di legittimità.
Ebbene, lo S. è accusato di essersi rivolto alla parte civile, mediante articoli di stampa e pubblicazione su un sito Inernet, con l'espressione: “l'avvocato C. pensi a fare il penalista e non il lanacaprinista”.
Tale espressione, indipendentemente da contesto in cui è stata usata, non è idonea ad offendere il bene giuridico tutelato dagli artt. 594 e 595 cod. pen., giacché non ha alcuna valenza denigratoria. Il termine lanacaprinista rimanda, infatti, alle “questioni di lana caprina” di cui vengono accusati coloro che si attardano in dispute sottili e oziose, che non hanno rilevanza concreta. Esso designa, quindi, una persona priva di senso pratico, che disputa per il piacere di discutere e di sottilizzare, senza che la sua fatica, correlativa a quella degli ascoltatori, presenti un costrutto apprezzabile. Il termine, seppur poco felice, è simile ad altri pure ugualmente diffusi, quali sofista, filosofo e via dicendo, che denotano la tendenza all'astrazione e alle complicazioni inutili. Si comprende che l'espressione possa toccare la suscettibilità della persona in tal modo apostrofata, ma non può dirsi che sia idonea a ledere i beni sottesi alla norma penale applicata nella specie.
Per questo, seppur per motivi diversi da quelli addotti dall'imputato nella discussione orale, si impone il rigetto di entrambi i ricorsi.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna la ricorrente parte civile al pagamento delle spese processuali.
04-07-2012 00:00
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